Caso Moro: buchi neri e bugie peregrine (o Pellegrine?)
Tuesday, 27 May 2008Antefatto 1) “C’è un tesoro lì dentro. Un tesoro che non abbiamo mai potuto utilizzare perché coperto dal segreto. Ma oggi a trent’anni dall’assassinio di Aldo Moro il segreto su quelle carte deve cadere”. Giovanni Pellegrino a “Panorama” del 7 marzo, esibendo una lettera ricevuta nell’agosto ’98 dall’allora Ministro degli Interni Napolitano .
Antefatto 2) “Non è consentito in Italia apporre il segreto di Stato sulle stragi”…Io li ho letti (i documenti) ho avuto modo di acquisirli durante i lavori della commissione”. Giovanni Pellegrino a “Il Messaggero” del 10 maggio.
Antefatto 3) “Una cosa comunque è certa: sul caso Moro c’è ancora molto da sapere e capire. Almeno a giudicare dalla mole imponente e dall’importanza del materiale dei servizi coperto dal segreto …Sono oltre 100 i faldoni mai trasmessi ai magistrati”. Giovanni Fasanella, “Panorama” 7 marzo 2008
Antefatto 4) “Inchiesta sul «caso Moro»: gli atti on-line. Oltre 100 faldoni di documenti, corrispondenti a circa 62 mila pagine, della “Commissione stragi – filone Moro” sono ora consultabili in Rete grazie al progetto “Commissioni d’inchiesta on-line” curato dall’Archivio storico di Palazzo Madama”. Dal sito internet www.senato.it maggio 2008
Dopo questi antefatti mi chiedo: perché l’ex Senatore Giovanni Pellegrino, già presidente della commissione stragi continua a contraddirsi? Prima parla di carte sotto segreto e poi dice che, in realtà, non c’è nulla; prima parla di 100 faldoni sotto sequestro e poi sul sito del Senato si legge che proprio “100 faldoni” (sic!) sono on-line? E poi, tramite amici comuni, vengo a sapere che attende la desecretazione di quei documenti? Perché si mischiano le carte?
Per quanto mi riguarda se entro un mese non avrò risposte positive alle mie istanze, sarò pronto ad azioni eclatanti.
– I libri di più recente diffusione mettono sempre più in relazione il sequestro e l’assassinio di Moro con quanto aveva scritto Mino Pecorelli, sul quale – per anni – si è glissato, ritenendo la sua figura inattendibile alla stregua di un ricatattatore. Ma Pecorelli, grazie ai suoi informatori di altissimo livello (vedi Dalla Chiesa e il suo braccio destro Varisco) sapeva tutto. Riporto alcuni corsivi tratti da “Op”, mentre i neretti sono miei . Torneremo a parlare di questo argomento, del furgone (utilizzato per il trasporto dell’ostaggio da una prigione all’altra?) del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani (il legionario De Vuono, vestito da netturbino?) del rullino fotografico (risulta un rullino di foto di via Fani consegnato alla polizia e mai più rinvenuto), del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite per l’operazione (quale operazione? il sequestro o il trasporto dell’ostaggio da un covo all’altro?) del prete contattato dalle Br (don Mennini?), dell’intempestiva lettera di Paolo (si era aperta un trattativa con il Vaticano e il Papa Paolo VI era intervenuto intempestivamente?), del passo carrabile al centro di Roma (zona ghetto ebraico, via Caetani 32 tra Palazzo Caetani e Palazzo Antici Mattei, dove c’è un sottotetto utilizzato già dalla Resistenza per ospitare prigionieri?) dei partiti politici che si sono arrogati il diritto di parlare in nome del Parlamento (gli uomini della Dc hanno deciso da soli?) dei presunti memoriali (mancano dei paragrafi al memoriale rinvenuto successivamente a Milano) degli articoli redazionali cervellotici scritti in funzione del fatto che lo stesso Moro, che avrebbe intuito che i carabineiri potevano intervenire aveva paura di restare ferito (il generale dei carabinieri C.A. Dalla Chiesa disse a Cossiga di aver individuato il luogo della prigionia, ma non fu fatta irruzione perché Cossiga paventò la paura di un conflitto a fuoco). Parleremo di Steve Pieczenick che, rientrato in America prima che Moro venisse ucciso ha riferito al congresso che le disposizioni date da Cossiga in merito alla vicenda Moro erano quanto di meglio potesse fare (Pieczenick, insieme agli altri membri del comitato di crisi, tutti piduisti, a un certo punto aveva preso in mano il sequestro e “traghettato” Moro verso l’uccisione, non certamente avvenuta in via Montalcini). Perché Cossiga era sicuro, crediamo (?) che Moro sarebbe stato liberato e forse la mattina in cui è stato ucciso era insieme agli altri notabili Dc a piazza del Gesù in attesa che arrivasse la comunicazione che Moro era libero. Moro invece è stato ucciso in macchina. (Evidentemente qualcuno aveva alzato il prezzo della trattativa…)
Professione crudele il giornalismo. Comporta un po’ di magia. Uno “show” per incatare il pubblico. Una voglia di competere e, naturalmente, di uscire vittorioso dalla gara. (Eugenio Scalfari, L’uomo che non credeva in Dio, Einaudi, 2008)


Francesco D. Caridi dice:
Thursday, 29 May 2008 alle 01:02
Caro Mastellarini, la verità non c’è. Esistono le verità, come percezioni, sospetti, intuizioni. Moro è stato ucciso: questo è un fatto. Da chi: si sa, l’omicida per lo Stato ha scontato la sua pena e il suo silenzio, alcuni suoi complici pure. Perché: si vorrebbe ancora capire. Il «caso Moro» non sono le informative di polizia, non è la relazione dell’inchiesta parlamentare, non è il processo (i processi). Il «caso Moro» è il Contesto. Chiunque si sia interessato all’affaire, in qualsiasi veste pubblica, ha pensato di aver trovato nelle pieghe di una dichiarazione, di un indizio, di una coincidenza, di un rapporto, di una omissione, il bandolo della matassa. Invece questa è sempre più ingarbugliata, perché non si cambia metodo di visione (di indagine ex post). Si riparta dal Contesto. Soltanto così potranno essere inquadrati: la preparazione scientifica dell’operazione, la “base” prima e la “base” ultima della prigionia (Via Montalcini è una delle “basi” di mezzo…, Via Gradoli è un incidente), la confessione (con il sacramento dell’assoluzione), l’interrogatorio secondo tecniche “didattiche”, ad uso di dibattito negli atenei e nelle centrali di Intelligence, il trasporto scortato dell’ostaggio da una parte ad un’altra di Roma, passando verosimilmente per la Gianicolense, eccetera.
Che nelle carte ancora “di vietata divulgazione” ci sia la verità, io non credo. Che ci siano le percezioni del Contesto, questo probabilmente sì, con i linguaggi della burocrazia e dei “mattinali”. Ma la lettura non sarà certo esaustiva, forse deludente, forse ripetitiva. Nessuno invece che faccia una analogia: Moro ostaggio delle BR (e dei sovietici dell’ala dura anti-eurocomunismo) fino alla sua uccisione; Andreotti ostaggio dei giudici (e dei filo-Cia) fino alla sua inoffensività. Il Contesto, appunto. Rileggiamolo, caro Mastellarini. Magari ne usciamo con un film di una noia mortale, semplice ma almeno veridico. Non quel lungometraggio grottesco a partire dal titolo (“Il Divo”), che racconta di un uomo potente che cade, però con la stessa apparente disinvoltura di quando sta in piedi, ma non spiega chi e perché lo ha fatto cadere.
Francesco D. Caridi