MICHAEL JACKSON e Le Grand Macabre.

Tuesday, 30 June 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

macabro

di Nicoletta Salata per www.bedo.it/nicolettasalata

Alcune notizie su Michael Jackson fornite oggi dai Tg e l’aver visto poco dopo in internet il video tratto dall’opera Le Grand Macabre, andata in scena nei giorni scorsi all’Opera di Roma, m’inducono ad una riflessione.

Dunque, le news di oggi ci informano che Michael era gravemente e forse irrimediabilmente consumato. Al che c’è già da chiedersi come uno staff di medici altisonanti abbia potuto consentire che si riducesse così.

50 chili per 1.78 di altezza, senza capelli tanto da indossare una parrucca, un’enorme cicatrice sopra l’orecchio destro causata dall’ustione in cui presero fuoco i capelli sul set della pubblicità della Pepsi nel 1984, la cartilagine e il ponte del naso inesistenti, il volto scavato e a tratti ceduto, le corde vocali compromesse, costole toraciche sfondate nel tentativo di rianimarlo, buchi di iniezioni all’altezza del cuore (altro tentativo di rianimarlo iniettandogli l’adrenalina necessaria a far ripartire il battito) e in altre parti del corpo tra cui fianchi, cosce e spalle. Muscoli atrofizzati, numerose cicatrici conseguenza di operazioni chirurgiche, lividi sulle ginocchia e sulla schiena dovuti probabilmente ad una recentissima caduta, stomaco con residui soltanto di pillole e farmaci (tanto che la ex tata dei suoi figli ha dichiarato che lei stessa lo sottoponeva spesso a lavanda gastrica), per il resto vuoto.

VUOTO.

Per ridursi così Michael non lo aveva soltanto dentro questo stato di assenza e mancanza. Questa paradossale sensazione contrastante con il fatto di avere posseduto e goduto di successo, privilegi e ricchezza si era evidentemente insinuata in lui come un morbo devastante. Ma è intuibile che oramai il vuoto, che deve avere cominciato ad avvertire molto presto, lo percepiva tutt’intorno, ovunque, sempre. Il suo talento e il suo genio artistico, miscelati con chissà quanti e quali eventi, lo avevano posseduto inducendolo a trasformarsi in una creatura poi drammaticamente e miseramente fantasiosa più che fantastica. Un personaggio da cartoon, irreale nell’aspetto ma tangibilmente presente, modellato su un’immagine di infantile candore ed eterna giovinezza, che nessuna matita e nessun colore hanno saputo correggere e mantenere inalterata. Se poi, altra notizia, è vero che è stato trovato un documento in cui lui esprime la volontà di essere cremato e che le sue ceneri vadano sparse sulla luna, questo non è che l’epilogo non tanto di una sua supposta eccentricità quanto il desiderio di un bambino sognatore, che intravede nell’immagine della luna significati da favola.

Ed una favola tra il grottesco e l’assurdo è Le Grand Macabre di György Ligeti del 1977. In un paese di fantasia senza regole in cui si vive fuori misura e tutto è permesso, sopraggiunge la Morte sentenziando l’imminente fine del luogo. La paura della morte spinge gli abitanti di quello strano paese a cimentarsi in azioni che, in circostanze normali, non avrebbero compiuto. Ma la morte, sicura di sé, si ubriaca, e forse per questo non porta a compimento il suo progetto. Quel che mi ha sorpresa e colpita  sono state queste immagini tratte dall’Opera, che ben si conformano, tragicamente, alla descrizione fatta sopra del corpo di Michael.

La scena si apre con un enorme cartello-segnale di pericolo di morte, su del cibo-rifiuto lasciato disordinatamente nel caos, sull’involucro di un hot dog che in questo caso si chiama Mac-Abre. Sul palco un mastodontico corpo di donna (17 x 9 metri!) che rappresentando anche il concetto di “madre terra” è il luogo in cui entrano ed escono, attraverso impensabili aperture, gli abitanti del paese. Ma è anche e soprattutto l’espressione della Morte, attraverso suggestive proiezioni si intravedono infatti le sue viscere e lo scheletro scarnito; è un brulicare di germi e le sue parti vengono sezionate fino alla decomposizione che culmina nell’incendio. Un corpo martoriato che crolla e infine si annulla.

Soprattutto  visionando queste immagini credo possano risultare le ragioni di questa mia non del tutto avventata associazione, in cui alcune analogie sono evidenti.

Oltretutto la vicenda si svolge in un paese di fantasia che, prendendo spunto dalla confusionaria, vivace e simbolica ambientazione degli splendidi quadri del pittore fiammingo P.Bruegel il Vecchio e dai suoi temi popolari, fantastici, talvolta mostruosi (Giochi di fanciulli, La caduta degli angeli ribelli, Il trionfo della morte ecc..), viene battezzato Bruegellandia.

Anche Micheal aveva fondato un suo “regno” immaginario e surreale, denominandolo Neverland(ia), ovvero l’isola che non c’è di Peter Pan, che solo i bambini grazie alla loro immaginazione (seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino) possono raggiungere.

Per concludere, c’è un terzo luogo legato a Bruegellandia per contrasto (lì la morte non ti dimentica) e a Neverland per le ovvie implicazioni ovvero citazioni:  è Wiki…landia, luogo virtuale ma che sa essere assai crudo e realistico.

Michael, immortale “stella” pop che  mirava alla “luna” con incanto, che ne danzava il passo creando un’illusione, e che sembrerebbe ambire a lei anche come luogo ultimo, è prontamente aggiornato morto.

Registrazione sconfortante in puro stile demografico, perfino “macabra” nella sua solerzia e simultaneità con gli eventi,  ma purtroppo in questo caso, fatto tristemente vero.

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