SCOOP! Ricordate nel 2000 le immagini dei pedofili al Tg1 delle 20 con le dimissioni di Lerner? Alla Rai una multa da 80 milioni di lire, confermata dal Tar che l'ha condannata a pagare altri 3.000 euro

Thursday, 18 September 2008
Pubblicato nella categoria ARTICOLI, SENTENZE

di Gabriele Mastellarini

Era il 27 settembre del 2000. Il Tg1, allora diretto da Gad Lerner, e il Tg3 diretto da Nino Rizzo Nervo mandarono in onda delle crude immagini di pedofilia su Internet. “Una vera bufera quella che ha travolto i vertici delle due testate della Rai”, scrisse Repubblica. Un caso che portò alle dimissioni (vedi video in alto) di Lerner e all’apertura di un’inchiesta penale da parte della procura della Repubblica di Torre Annunziata, ma il Giudice per l’udienza preliminare prosciose Lerner e gli altri giornalisti imputati (compreso l’attuale vicedirettore del Tg1, David Sassoli).

Dopo 8 anni si torna a parlare di quella vicenda, perché il Tar Lazio (seconda sezione, sentenza n. 8323 depositata nei giorni scorsi) ha confermato la multa di 80 milioni di lire affibbiata alla Rai dall’Autorità per le comunicazioni, per aver violato la Carta dei doveri e degli obblighi del servizio pubblico.

La Radiotelevisione di Stato aveva fatto ricorso  chiedendo l’annullamento di quella sanzione, ma il Tar l’ha confermata condannando la Rai a pagare anche 3.000 euro di spese processuali.

I servizi dei due tg riguardavano l’inchiesta che portò all’arresto di 11 persone e a 1.700 indagati tra Italia e Russia. ”Abbiamo trasmesso immagini semplicemente ignobili oltre che violente e di questo sentiamo il dovere di chiedervi scusa”, disse in diretta tv Gad Lerner, annunciando le sue dimissioni e parlando anche di richieste di raccomandazioni ricevute da politici.

LA SENTENZA DEL TAR LAZIO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. Reg. Sent.
Anno 2008
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO N. Reg. Ric.
– SEZIONE I I^ –

composto dai Signori:
CONS. DOTT. LUIGI TOSTI, PRESIDENTE;
CONS. AVV. CARLO MODICA DE MOHAC, RELATORE;
PRIMO REF. DOTT.SSA ANNA BOTTIGLIERI, COMPONENTE
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. reg. gen. 7109/2001, proposto dalla RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Massimo Luciani, presso lo studio del quale, in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78, è elettivamente domiciliato;
contro
l’AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede di Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, domicilia per legge;
per l’annullamento,
previa sospensione
– della deliberazione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 256/01/CSP del 27 marzo 2001, recante “Ingiunzione a carico della società RAI Radiotelevisione Italiana S.p.a. (TG1) per la violazione dell’art. 15, comma 10, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Proc. n. 236)”, con cui si ordina alla RAI Radiotelevisione Italiana S.p.a. di pagare quale sanzione amministrativa la somma di Lire 80.000.000 in riferimento ad un servizio del TG1 delle h. 20.00 del 27 settembre 2000;
– del regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
– di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso.
Visti gli atti depositati dal ricorrente;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;
visti gli atti tutti della causa;
designato relatore il Consigliere Avv. Carlo Modica de Mohac;
uditi, alla pubblica udienza del 21 maggio 2008, l’avv. prof. Massimo Luciani e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
I. In data 27 settembre 2001 la RAI Radiotelevisione Italiana S.p.a. trasmetteva sull’emittente RAI 1, nel corso del telegiornale delle ore 20.00, un servizio giornalistico che documentava la scoperta di una rete internazionale di pedofili e pedonecrofili avente centro di produzione in Russia e centro di distribuzione in Italia.
Il servizio giornalistico (della durata complessiva di circa tre minuti e mezzo), con una introduzione verbale della conduttrice del telegiornale che divulgava la notizia, era corredato da immagini e fotografie ricavate da siti Internet, raffiguranti minori, talvolta in tenera età, nudi ed in pose o situazioni immediatamente (e, in un caso, esplicitamente) riconducibili alla verosimile consumazione di atti sessuali, o alla sottoposizione ad atti di violenza
Con delibera n. 473/00/CSP del 5 ottobre 2000, l’AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI (d’ora innanzi “Autorità”) contestava alla RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA (d’ora innanzi “Rai”) la violazione dell’art. 15, comma 10, legge 6 agosto 1990 n. 223, ammettendo la società, ai sensi dell’art.16 della L. 24.11.1081 n.689, al pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria, quantificata il £.20.000.000, e concedendo termine per il deposito di eventuali memorie difensive.
In data 20.11.2000 la Rai depositava presso il Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’Autorità, una memoria difensiva con la quale contestava la delibera impugnata ed avanzava istanza di audizione e di accesso agli atti del procedimento.
In data 10.1.2001 si teneva l’audizione presso il Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’Autorità, e veniva autorizzato l’accesso agli atti.
In quella sede i legali rappresentanti della Rai producevano la videoregistrazione del Telegiornale in questione, ribadivano la carenza di legittimazione passiva della società, la non volontarietà del comportamento del Direttore del Telegiornale e la mancata integrazione delle violazioni contestate, sostenendo – al riguardo – che le immagini non avevano carattere pornografico e non costituivano manifestazione di violenza gratuita.
Con nota in data 25.1.2001 la Rai depositava presso la Commissione servizi e prodotti dell’Autorità note autorizzate nelle quali sviluppava le argomentazioni svolte nelle memorie, e chiedeva ulteriormente di essere ammessa ad audizione innanzi ad essa.
Tale richiesta restava senza utile effetto.
Infine, con delibera n. 256/01/CSP notificata in data 2 aprile 2001 l’Autorità ha ingiunto alla società ricorrente il pagamento di £.80.000.000, quale sanzione pecuniaria conseguente alla violazione del succitato art. 15, comma 10, L. 223/90.
II. Con il ricorso in esame la ricorrente ha impugnato i provvedimenti in questione, unitamente agli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi, e ne chiede l’annullamento per le conseguenti statuizioni e con vittoria di spese.
Ritualmente costituitasi l’Amministrazione resistente ha eccepito infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
Nella camera di consiglio del 4.7.2001, la ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
All’udienza del 21.5.2008, uditi i Difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.
D I R I T T O
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Con il primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 15 L. 223/90, dell’art. 1, comma 6, lett. ‘b’, n. 6 L. 249/97 nonché della Carta dei doveri e degli obblighi degli operatori del Servizio pubblico deducendo:
– che la citata normativa vieta di trasmettere scene di violenza quando la loro diffusione è ingiustificata e/o senza causa;
– che, però, nel caso di specie, la diffusione delle immagini aveva lo scopo – encomiabile o comunque giustificabile sul piano morale ed etico – di garantire la completezza e l’efficacia dell’informazione, di sensibilizzare, mediante la visione di immagini crude, ma reali, l’opinione pubblica su una piaga di carattere sociale e sulla necessità di porvi rimedio, nonché di contribuire allo sviluppo psichico e morale ed alla crescita degli stessi minori (possibili spettatori) allertandoli in ordine ai pericoli ai quali sono soggetti;
– che devono ritenersi “pornografiche” non tutte le scene che abbiano ad oggetto rapporti sessuali (non lo sono, ad esempio, quelle che li documentano a scopo o in contesto scientifico o pedagogico), ma solamente quelle che siano dirette o atte a suscitare nello spettatore un compiacimento, o almeno uno stimolo, di natura sessuale;
– che, però, nel caso di specie ciò non è accaduto, posto che il contesto mediatico nel quale sono state diffuse ed il contenuto del messaggio non voleva essere e non era di tipo ludico, e non aveva alcun connotato che celasse una qualche ricerca di stimolazione estetica e/o di esperienza edonista;
– che pertanto l’Amministrazione ha equivocato sul senso profondo del messaggio, sulle giuste ragioni che hanno spinto a diffonderlo e finanche sull’effetto che esse hanno prodotto nel pubblico;
– che, ed in ultima analisi, è da escludere – per la serietà della trasmissione e per il modo in cui il tema è stato posto ed affrontato – che le immagini trasmesse possano essere ritenute a contenuto “gratuitamente” violento o pornografico.
L’articolata doglianza, pur se elegante ed accattivante, non può essere condivisa.
1.1.1. La norma invocata dalla ricorrente prevede distinte fattispecie di illecito amministrativo.
In particolare, il divieto di trasmissione è riferito:
a) a programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori;
b) a programmi che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche;
c) a programmi che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
Ora, non è revocabile in dubbio che la diffusione di immagini reali (mutuate, cioè, dalla realtà) aventi ad oggetto la consumazione di rapporti sessuali fra adulti e minori (talvolta infanti in tenera età,) con sottoposizione di questi ultimi ad atti di sadica violenza, può determinare stati emozionali e situazioni di forte turbamento e disagio in chiunque le veda; e massime se non sia stato prima avvisato del contenuto fortemente incisivo ed impressivo delle stesse.
A maggior ragione immagini di tal fatta possono impressionare, eccitare la fantasia e produrre le più disparate reazioni emotive nei minori; e, fra essi, sia negli adolescenti in età di sviluppo puberale (che si affacciano, con forti pulsioni ed in stato talvolta confusionale, alle prime esperienze sentimentali e sessuali), sia negli infanti (che, nella loro innocenza, non conoscono ancora, se non a livello inconscio e viscerale, la sessualità di carattere genitale).
Ed è parimenti evidente che il forte turbamento emotivo – anche se concentrato in brevi momenti – può scatenare in loro ulteriori reazioni (anche a livello inconscio) atte a cagionare, anche nel lungo periodo, seri disagi, conseguenze di carattere psicologico, e turbe sul carattere in via di formazione.
Questa elementare osservazione sarebbe già di per sé sufficiente a definire la questione.
Ma l’insistenza di certe argomentazioni difensive invita il Collegio a svolgere alcune ulteriori considerazioni.
Non può essere ignorato, ai fini di una compiuta valutazione dei fatti e delle condotte, che gli stessi vertici della Rai, avendo valutato la delicatezza del tema oggetto delle notizie, avevano dato disposizioni precise in merito alla loro diffusione; disposizioni che sono state disattese.
Ciò equivale, evidentemente, ad una ammissione: la stessa Amministrazione ha avuto ben chiaro che tra l’”interesse alla completezza dell’informazione” e l’”interesse alla tutela dell’integrità psicologica dei minori”, il primo avrebbe dovuto recedere.
Ossia, che tra il pericolo insito nella diffusione di informazioni aspecifiche e il pericolo di produrre lesioni all’integrità psicologica dei minori e di incidere sul loro sviluppo caratteriale, quello da evitare era quest’ultimo.
Anche chi ha poi deciso di disattendere le disposizioni degli organi direttivi superiori, era dunque ben consapevole – avendole ricevute – che sussisteva il ragionevole dubbio di produrre danni (o di produrre più danni che utilità).
E poiché la semplice consapevolezza della possibilità (rectius: eventualità) di produrre danni (psicologici) anche ad un solo minore avrebbe dovuto costituire una ragione più che sufficiente per desistere dal progetto diffusivo (cfr., al riguardo, Cass. Civ., sez. I, 25 agosto 2005, n. 17284), appare evidente che l’attività informativa – condotta in spregio alle prudenti valutazioni espresse dai superiori responsabili della comunicazione – non può sfuggire, sotto il profilo dell’analisi obiettiva, alle censure mosse dall’Autorità Garante.
L’assoluta preminenza del valore del rispetto della “persona umana” – valore costituzionalmente ed incondizionatamente garantito nel nostro Ordinamento – esclude in radice, infatti, la possibilità che chiunque possa decidere se, ed in che misura, il sacrificio di uno o di pochi debba servire per l’utilità degli altri.
Ed ancora, l’assoluta preminenza del valore della dignità della persona umana, esclude – parimenti – che l’interesse alla salvaguardia dell’integrità fisica, psichica e psicologica delle persone (nella specie: dei minori) possa recedere di fronte ad altri interessi seppur importanti, quali quello alla diffusione di un’informazione completa.
Nella scala dei valori, infatti – anche di quelli giuridici – i diritti alla vita ed all’integrità fisica, psichica e psicologica della persona non possono essere mai “graduati”, e non possono mai costituire oggetto di calcoli proporzionalistici volti a comprimerne il contenuto sostanziale, in funzione di altre o di altrui “utilità”.
E poiché, invece, chi ha deciso di mandare in onda le immagini in questione non ostante la consapevolezza della possibilità che le stesse potessero danneggiare qualcuno, non può che aver operato valutazioni a contenuto proporzionalistico e gradualistico – avendo ritenuto, all’evidenza, che fosse socialmente “più utile” ed assiologicamente “più giusta” la “denuncia” della cruda realtà, che non la salvaguardia dell’integrità psicologica di pochi minori – appare ancora una volta evidente che l’attività propagandistica per cui è causa non può essere in alcun modo giustificata (cfr. Cass. Civ., sez. I, 6 aprile 2004, n. 6760).
1.1.2. D’altro canto, e ad ulteriore supporto di quanto fin qui osservato, resta del tutto indimostrato – come correttamente eccepito dalla Difesa erariale – che fenomeni come quelli denunciati dalla trasmissione, non siano documentabili, con pari incisività ed efficacia, con immagini meno crude ed esplicite.
1.1.3. Dopo quanto sopra premesso, sembra quasi superfluo sottolineare che non a caso anche la “Carta dei doveri e degli obblighi degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo” (Cfr. la Parte IX^) vieta categoricamente – proprio a tutela dei minori, ed in armonica aderenza ai principii di diritto (e di civiltà) sopra enunciati – che immagini gratuite di violenza e di sessualità vengano trasmesse nella fascia oraria che va dalle 7,00 alle 22,30; e ciò indipendentemente dal fatto che esse siano più o meno necessarie alla comprensione della notizia.
Ciò significa che in quella fascia oraria il divieto è assoluto, proprio perché è considerata assolutamente (siccome assiologicamente) preminente quella esigenza di tutela dei minori che i giornalisti diretti responsabili della comunicazione – probabilmente in buona fede, ma con una buona dose di “colpa cosciente” se non anche di “dolo eventuale” – hanno candidamente ritenuto di poter sottovalutare.
1.2. Con il secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 9 L. 249/97; degli artt. 29 e 30 del Regolamento sul funzionamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni; degli artt. 3, comma 1, e 7 ss. della L. 241/90; nonché eccesso di potere per disparità di trattamento e irragionevolezza, deducendo:
– che la sua istanza di audizione innanzi alla Commissione servizi e prodotti è stata immotivatamente respinta; e che l’impossibilità di esporre le proprie ragioni innanzi a tale Commissione si è risolta in una palese e macroscopica lesione del diritto di difesa;
– che il mancato coinvolgimento della predetta Commissione si è tradotto, inoltre, in un difetto di istruttoria, che – a sua volta – si è riflesso negativamente sulla motivazione, rendendola insufficiente o incongrua.
La doglianza non può essere condivisa.
La ricorrente non ha indicato con precisione la norma in forza della quale essa avrebbe diritto di svolgere le proprie difese orali di fronte alla Commissione Servizi e Prodotti.
Ben vero è che la predetta Commissione ha la funzione di verificare “il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei minori. …”, ma è altrettanto vero che tale verifica ben può essere da essa svolta, come di fatto è accaduto, sulla scorta della documentazione trasmessale dal Dipartimento Garanzie e Contenzioso, che è l’Organo deputato a svolgere l’istruttoria.
Nel caso dedotto in giudizio, il procedimento seguito per giungere al provvedimento finale è stato proprio quello disegnato dall’apposito Regolamento: il Dipartimento Garanzie e Contenzioso ha svolto l’istruttoria, che è attività di sua esclusiva competenza, nel corso della quale – com’è prassi – ha provveduto a sentire, in apposita “udienza”, la parte interessata che ne aveva fatto richiesta; e, alla fine dell’istruttoria, ha trasmesso tutti gli atti – compresi i verbali relativi all’audizione – alla Commissione competente ad adottare il provvedimento conclusivo, che nel caso di specie era la Commissione Servizi e Prodotti proprio perché si trattava di verificare se fossero state violate, o meno, norme a tutela dei minori.
A questo punto la Commissione Servizi e Prodotti, acquisite note autorizzate che la ricorrente ha ritenuto di depositare direttamente presso la stessa, ha esperito le sue valutazioni ed ha adottato la delibera conclusiva.
Non si vede, pertanto, come si possa sostenere che la Commissione Servizi e Prodotti non abbia svolto l’attività procedimentale, valutativa e decisoria che le compete; che l’istruttoria sia stata condotta sommariamente e che la ricorrente non abbia avuto la possibilità di difendersi.
Né come, nello specifico, la mancata audizione innanzi alla Commissione Servizi e Prodotti si sia riflessa negativamente sul provvedimento, posto che quest’ultima è chiamata ad esperire un controllo di legittimità e che, nella fattispecie, ha ben potuto vagliare tutti i documenti e gli atti difensivi che la ricorrente ha avuto modo di produrre.
1.3. Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del Regolamento e dell’art. 3, co 1 della L. 241/90 nonché difetto di istruttoria, deducendo che il Dipartimento garanzie e contenzioso non ha convocato i giornalisti autori del servizio, né i Direttori delle rispettive testate, le cui valutazioni e testimonianze avrebbero reso completa ed esaustiva l’attività di accertamento.
La doglianza non merita accoglimento.
Se, per un verso, l’Autorità non aveva alcun obbligo di sentire i giornalisti autori della trasmissione; non appare revocabile in dubbio, per altro verso, che tale audizione sarebbe stata superflua.
Nella fattispecie, infatti, non si trattava di accertare singole responsabilità personali (come avviene nel processo penale), ma di valutare se da un punto di vista obiettivo la trasmissione avesse o meno determinato un pregiudizio o un pericolo per l’integrità psicologica dei minori.
Valutazione che poteva essere compiutamente condotta sulla scorta della documentazione acquisita.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2, commi 2 e 3 della L 241/90, deducendo che il procedimento avrebbe dovuto essere concluso entro trenta giorni.
La doglianza non merita accoglimento.
La norma invocata dalla ricorrente non trova applicazione nella fattispecie; la quale è disciplinata dalla L. n.689 del 1981, che non prevede affatto che il procedimento debba essere concluso entro trenta giorni.
1.5. Con il quinto motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell’art. 31 comma 3 della legge 223/90, deducendo che la sanzione appare eccessiva.
La doglianza non può essere condivisa.
Si è già rilevato come l’interesse all’integrità psicologica dei minori costituisca un valore assoluto ed incomprimibile, al quale l’Ordinamento accorda massima attenzione ed incondizionata tutela.
Ne deriva che la sua lesione imprime (e deve essere considerata come) una “frattura” molto grave all’ordine giuridico e sociale.
Non può destare sorpresa, quindi, che l’Autorità abbia inteso commisurare la sanzione alla estrema gravità – si pensi ai minori che avessero subìto un pregiudizio (che mai sarà sanato, né risarcito e che presumibilmente resterà latente) – della lesione inferta.
2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va respinto.
Si ravvisano, infine, giuste ragioni per condannare la parte soccombente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessive € 3.000, oltre I.V.A. e C.P.A.;
P. Q. M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. II^ , respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese di giudizio nella misura complessiva di €. 3000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 21 maggio 2008.
IL PRESIDENTE
L’ESTENSORE

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  1. Fabrizio Spinella dice:

    Friday, 19 September 2008 alle 14:37

    “Bad” Lerner…

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