AMARCORD. Doppio Facci al cianuro: "Travaglio attira i frustrati che lo amano (target Di Pietro). Ambisce alla scorta. E' un fracco di balle, tutto errori, sciocchezze e omissioni. E' un mascalzone"

Tuesday, 26 August 2008
Pubblicato nella categoria AMARCORD

di Filippo Facci

Sul serio: che dobbiamo fare con Marco Travaglio? Perché vedete, quelle di Marco Travaglio non sono «opinioni diverse»: sono piccole e grandi falsità mischiate a omissioni, ciò che nell’insieme forma una cosa che si chiama propaganda.

Che sia per se stesso, o per i suoi amici, è propaganda. E che dovremmo fare? Si sbaglia in ogni caso. Se te ne occupi fai il suo gioco vanesio e legittimante, oltretutto perdi un sacco di tempo perché la quantità di cose appunto false e omissive da lui dette è talmente clamorosa da rischiar di consumare, solo per replicargli e smentire, tutto il tuo tempo e tutti i tuoi articoli.

Se invece non te ne occupi, viceversa, c’è il rischio che il silenzio passi per assenso e dunque che lui, per farsi notare e fare sempre più il fenomeno, ogni volta alzi la posta delle cretinate che scrive e che ripete a pappagallo. Che fare, dunque? Va considerato peraltro che l’ego pubblico del ragazzo è talmente devastante da farlo esser fuori casa sette giorni su sette: presentazioni di libri suoi, libri di altri, spettacoli teatrali, girotondi, kermesse satiriche, comizi di Grillo, convegni organizzati da circoli culturali o da banche, soprattutto talk show illiberali sinché non lo invitano, questo secondo uno schema nondimeno brutale: se l’invitano deve poter dire qualsiasi cosa di questo regime, sennò è la prova che il regime c’è; se non l’invitano, be’, vuol dire che il regime c’è definitivamente.

A proposito: Biagi è stato cacciato. Non è vero, è documentalmente provato che è falso, niente di serio prova il contrario: ma a lui e altri lo ripetono sperando che la cosa passi in cavalleria. Propaganda? I signori conduttori, nel dubbio, lo invitano. Travaglio oltretutto alza gli ascolti perché attira sia i descolarizzati & frustrati che lo amano (target Di Pietro) sia quelli che lo detestano e allora lo guardano come si guarda, dicendo «che schifo», un gatto spiaccicato sull’autostrada.

Nel frattempo il terzo gode: si chiami Santoro, Fazio o chi volete. Che ci vuole: è sufficiente dissociarsi con una formuletta. L’ha fatto l’altro giorno Fabio Fazio, tutto contento, perché Travaglio è uno che fa comunque rumore e che fa parlare della tua trasmissione. Travaglio ha detto cose orrende del neopresidente del Senato, Renato Schifani, estraendo dal cappello alcune remote frequentazioni tra lui e altra gente che è stato indagata per mafia 18 anni dopo.

A Travaglio non par vero di potersi auto-associare a giornalisti come Lirio Abbate (persona seria, minacciata dalla mafia, ma essenzialmente cronista come Travaglio non è mai stato) o come Roberto Saviano, l’autore di Gomorra che ad Annozero, qualche settimana fa, in confronto, ha fatto sembrare Travaglio come un figurino patetico e impiccato ai suoi verbalini. Minacce mafiose: conoscendolo, è la medaglia cui Travaglio ambirebbe maggiormente. E una bella scorta, magari. Perché lui è libero e il regime vuole ucciderlo, mentre non siamo prigionieri e non ci fila nessuno: lo schema, involuto, è questo. Da capo: che fare, dunque? Non se ne uscirà, di questo passo. La logica degli ascolti e la vanità di questo addetto stampa della magistratura italiana presto ce lo mostrerà anche alla Prova del cuoco ad accusare Giuliano Ferrara di essere grasso (la sfottò per difetti fisici è una sua ossessione, da fascistello qual è) o a spiegare che la lobby dei tacchini natalizi era chiaramente citata nel «Piano di Rinascita nazionale» caro a Licio Gelli.

Perché un altro punto, e ve lo dice uno che i verbali giudiziari li ha letti e masticati per vent’anni, è che Travaglio non è uno appunto che ha «opinioni diverse», Travaglio è un cialtrone.

Marco Travaglio è un grandissimo cialtrone inviso a qualsiasi persona intellettualmente onesta e minimamente informata. È la faziosità pura, la riproposizione dei passaggi di alcune sentenze al posto di altri, di certi verbali al posto di altri, di certi avversari al posto di altri.

È l’enfasi delle sentenze di condanna e in caso di assoluzione è la sottolineatura delle parti che la condanna auspicavano. È l’invenzione di status giuridici inesistenti (prescritto al posto di non colpevole, soprattutto) o è la citazione dell’articolo articolo 530 come «insufficienza di prove» anziché «assoluzione perché il fatto non sussiste».

È dire «in nessun paese del mondo avviene che» anche se non è vero, sapendo che nessuno o quasi andrà a controllare: vedasi il caso delle intercettazioni telefoniche, o del celebre conflitto di interessi, che negli Usa sarebbe tranquillamente tollerato come ha ripetuto Al Gore di recente.

Più in generale, Marco Travaglio è un fracco di balle di cui nessuno si accorge perché lui è così «documentato» che nessuno si prende la briga di controllare, tantomeno conduttori e direttori e capiredattori. Per anni Travaglio ha attribuito a Paolo Borsellino la citazione di una telefonata tra Mangano e Dell’Utri dove si parlava di droga: appreso che questa telefonata non è mai esistita, lui ha continuato a citarla.

Travaglio ha scritto balle contro Mediaset e Fedele Confalonieri: condannato, ma non lo sa nessuno. Ha scritto balle contro Cesare Previti: condannato, ma non lo sa nessuno. E pochi sanno degli errori materiali (chiedete a Giuseppe Ayala) e pochi sanno dei casi di omonimia di cui ha dovuto scusarsi (chiedete a Pier Ferdinando Casini, Giuseppe Fallica e Antonio Socci) e pochi sanno soprattutto delle tantissime sciocchezze e omissioni che nessuno sta neppure a smentire.

All’ultimo Annozero Travaglio ha detto che Grillo non può essersi arricchito con l’antipolitica perché i quattro milioni di euro da lui dichiarati, in realtà, sono del 2005, e cioè di quando i vaffanculo day neppure li faceva. Non è vero, sono i redditi dell’anno scorso: ma a lui basta dirlo. Al V-day di qualche settimana fa Travaglio ha tuonato contro i finanziamenti pubblici all’editoria e ha detto che anche L’Unità percepisce contributi «come tutti i giornali italiani»: e non è vero, perché la sua Unità percepisce più contributi di tutti, in quanto stampa politica come tantissimi altri giornali non sono. Se vai suo internet e cerchi l’ultimo articolo di Travaglio contro Gianni Alemanno, nei sindaco di Roma, trovi le accuse più incredibili contro di lui ma neppure la citazione del dettaglio che è stato assolto. Sempre assolto. Il nostro precisino sa essere tremendamente impreciso: ogni volta alza la posta dell’invettiva, abbassa l’asticella del target e tutto il resto è regime: magari citando e ricitando Montanelli. Quando un Montanelli redivivo, oggi, a uno come Travaglio, gli rilascerebbe sul sedere un bel verbale a forma di tacco. (Il Giornale, 12 maggio 2008)

di F. F. C’è che la democrazia è in pericolo, torna il fascismo, in Rai sono pronte le liste di epurazione: il copione è così sfibrato che il titolo del prossimo libro di Travaglio potremmo scriverlo noi.

Lui, invece, ha tratteggiato il fosco destino che potrebbe attendere la sua modesta persona e di conseguenza il Paese: «L’Authority sanzionerà Che tempo che fa con un provvedimento diretto alla Rai, che mi ha consentito di dire cose vere. Poi la Rai mi denuncerà e così io non potrò più partecipare a Annozero». Non è ancora noto se il prossimo libro verrà scritto a Caprera o nella solita copisteria del tribunale, sta di fatto che il leit-motiv già risuona e Travaglio infatti vi ha rifatto cenno: «Però le cose che Travaglio ha detto su Schifani sono vere», dice.

E ora noi dovremmo spiegare che invece sono cose irrilevanti, sono pretestuose e nondimeno, per come presentate, false. Dovremmo circostanziare che sono irrilevanti perché stiamo parlando di persone che Renato Schifani ha frequentato 30 anni fa (nel 1979) e che solo 18 anni dopo sono state riconosciute come mafiose: non è un caso che gli stessi dioscuri di Travaglio, i magistrati, non abbiano mai interrogato né accusato Schifani per questa faccenda. Il libro ormai datato da cui Travaglio ha copiato le sue accuse, inoltre, diversamente da come ha fatto in trasmissione da Fabio Fazio, riporta la questione in maniera corretta: tanto che Schifani il libro non l’ha mai querelato.

Ecco perché è particolarmente odioso che Travaglio abbia cercato e cerchi di ripararsi dietro Lirio Abbate, autore del libro e ottimo cronista già minacciato dalla mafia: «Devono avere il coraggio di dire che Abbate è un mascalzone» ha infatti detto Travaglio da Fazio. Ma Abbate non è un mascalzone, e Travaglio invece sì, perché mente. Travaglio, in trasmissione, ha dolosamente e genericamente citato delle amicizie di Schifani come se corrispondessero a una notizia, a una rivelazione che tutti nascondono tranne lui: «I giornalisti non scrivono che Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi, perché non lo vuole né la destra né la sinistra, ma io faccio il giornalista, devo raccontarlo» ha detto testualmente il nostro eroe.

I giornalisti normali, in effetti, non hanno tirato fuori una vicenda notoriamente vecchia, penalmente irrilevante e già pubblicata più volte: vicenda che ora Travaglio si è reinventata da capo per trasformarla in una primizia molto vaga e peraltro spolverata con lombrichi e muffe: e questo solo perché Schifani intanto è diventato presidente del Senato. E c’è ancora, in questo quadro, chi fa spallucce se si reclama un contraddittorio: inteso come possibilità di spiegare al pubblico le malizie di un fazioso professionale. C’è ancora, come fanno lo stesso Travaglio e un imbarazzatissimo Antonio Padellaro, direttore dell’Unità, chi sostiene che dovrebbe essere Schifani a fornire spiegazioni. È la follia.

Rendetevi conto: Travaglio deve ancora fornire spiegazioni, detto tra parentesi, circa l’episodio che lo rese noto: la volta ossia che andò da Luttazzi a sostenere riga per riga tutte le accuse che dipingevano Berlusconi come un mafioso. Quelle accuse sono cadute tutte, ma lui non si è mai scusato. L’allora presidente dell’Ordine Mario Petrina, che già allora aveva rimarcato una perfetta assenza di contraddittorio nella trasmissione di Luttazzi, fu invitato a dimettersi direttamente da Repubblica. Due giorni dopo Indro Montanelli (proprio lui) disse pubblicamente che Petrina aveva ragione: era il 17 marzo 2001. Il pubblicista Giancarlo Caselli giunse a scrivere una lettera privata a Petrina affinché perdonasse Travaglio. Ma cercate queste cose nei libri di Travaglio, se vi riuscite. Aspettate di ascoltarle ad Annozero. Macché: Travaglio ha continuato a riportare ogni singola accusa mafiosa contro Berlusconi in tutti i suoi libri. Tutte: precisando di sfuggita che le indagini sono magari state archiviate, sì, «ma con motivazioni durissime».

In natura esiste qualcosa del genere: si chiama scarabeo stercorario. Nel giornalismo italiano si chiama Marco Travaglio. E il suo prossimo libro presumibilmente sarà questo: «RESTAURAZIONE. Come il Regime si è ripreso il Paese. Biagi, Santoro, Luttazzi, Travaglio, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Ciccio Graziani: storie di censure e di bugie nell’Italia di Berlusconi. Prefazione di Beppe Grillo. Postfazione di Enrico Beruschi». (Il Giornale, 13 maggio 2008)

Puoi lasciare un commento, oppure pubblicare un link sul tuo sito.

Nessun commento presente per “AMARCORD. Doppio Facci al cianuro: "Travaglio attira i frustrati che lo amano (target Di Pietro). Ambisce alla scorta. E' un fracco di balle, tutto errori, sciocchezze e omissioni. E' un mascalzone"”

  1. Carlo Gambino dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 02:27

    ?!!?

    Sto via un mese e qui ancora si parla di Travaglio?

  2. Orlando dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 09:42

    Facci dice il falso su Grillo. La dichiarazione è del 2005 e quindi ante-Vdays. Inoltre il messaggio: “Grillo fa i VDay per arricchirsi” non è comprovabile, non basta a Facci dire Travaglio è un bugiardo. Anche se a voi basta e avanza vedo… questo non è giornalismo, mi dispiace per voi.
    Grillo, comunque, riempiva gli spettacoli da ben prima dei VDay (che piacciano o non piacciano gli spettacoli così era e così è) con argomenti che, se attirano “spettatori”, forse stanno a cuore alla gente. Demagogia e populismo? forse, per fortuna però qualche coscienza si è smossa.

  3. tequilero dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 13:06

    “A proposito: Biagi è stato cacciato. Non è vero, è documentalmente provato che è falso, niente di serio prova il contrario: ma a lui e altri lo ripetono sperando che la cosa passi in cavalleria”
    Guardi Facci, ripetere continuamente la cazzata che in Bagi è prevalso il deisderio di essere liquidato con un alto compenso non la rende meno cazzata.
    Quali dicumenti ha in mano?
    Mi risulta una ricostruzione diversa su Regime del pessimo Travaglio e dell’ottimo Gomez.
    E per utilizzare i suoi parametri, che io sappia, nessuno ha sporto querela nei confronti degli autori per quanto scritto in quel libro sulla vicenda di Biagi.
    Evidentemente “riporta la questione in maniera corretta”.
    Su Schifani.
    Si dimentica di dire che il libro “i complici” porta la firma anche di Peter Gomez il quale così si esprime:
    “è indubbio che il senatore Schifani, presidente della Camera alta del Parlamento, abbia avuto rapporti con persone poi condannate per mafia. Noi (io e Lirio Abbate) all’interno del nostro libro ne individuiamo una serie che ruotano solo in parte alla Sicula Brokers, questa società fondata nel 1979 anche da Schifani, che teneva otto milioni di capitale, da La Loggia Giuseppe ed Enrico, perchè Renato Schifani lavorava nello studio legale del vecchio La Loggia, il senatore Giuseppe La Loggia. Poi in quella società figuravano anche Nino Mandalà, che come dice correttamente Schifani solo molti anni dopo verrà condannato in primo grado per intestazione fittizia e mafia, in quanto reggente della cosca di Villabate che in quel momento (quando Mandalà viene arrestato) tiene in mano Bernardo Provenzano ovvero gli garantisce la latitanza, ma figuravano anche Benny D’agostino, un grande imprenditore palermitano, che verrà poi condannato per fatti di mafia, e grande amico di Michele Greco (il papa della mafia). Ma c’è di più e di peggio all’interno di questa società entrano anche gli uomini dei famigerati cugini Salvo di Salemi, a quel tempo grandi esattori siciliani ma soprattutto uomini d’onore dell’omonima famiglia, che verranno poi arrestati da Falcone nel 1984. Altri soci invece avranno dei problemi giudiziari legati a bancarotta immediatamente prima. Schifani, per la verità, entra nel 1979 dopo circa un anno e mezzo esce dalla società ma secondo le carte che abbiamo consultato e secondo quello che scrivono i carabinieri ci rientra nel 1983 come amministratore in sostituzione di Nino Mandalà”.
    “La cosa rilevante in tutto ciò che è avvenuto risiede nell’informazione: quando si fa una biografia di un personaggio che è la seconda carica dello Stato non dico di farci un titolo ma in tre righe la storia va raccontata. Siamo noi giornalisti che abbiamo sbagliato. Questa storia di questi rapporti (di Schifani) con persone poi condannate per mafia è uscita al momento dell’elezione sule colonne de El Pais e non è uscita sui giornali italiani con eccezione de Il Giornale che l’ha raccontata brevemente”.
    Messa così va meglio rispetto a quanto detto da Travaglio?
    Per l’intervista intera di Gomez si veda qui:
    http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o11905
    Su Grillo e i suoi redditi.
    Lei scrive:
    “All’ultimo Annozero Travaglio ha detto che Grillo non può essersi arricchito con l’antipolitica perché i quattro milioni di euro da lui dichiarati, in realtà, sono del 2005, e cioè di quando i vaffanculo day neppure li faceva. Non è vero, sono i redditi dell’anno scorso: ma a lui basta dirlo”
    Il suo articolo è del maggio di quest’anno.
    A maggio del 2008, quindi, i redditi di Grillo del 2007 erano già stati predisposti e resi pubblici.
    Complimenti per la prontezza nel riportare le notizie.
    Ma visto che a Lei “non basta dirlo”, perchè non ci fornisce la prova che a maggio del 2008 era in possesso della dichiarazione dei redditi 2007 di Grillo e li pubblica per fare un confronto tra quelli citati da Travagio?
    Solo per fare una verifica visto che Lei dice che 4 milioni di Euro Grillo li ha dichiarati nel 2007 e non nel 2005.
    Vediamo le differenze carte alla mano.
    Saluti.

  4. Domenica dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 14:41

    L’unico atto che fa fede è il documento in cui il dottor Biagi concorda la buonuscita con la RAI, dicendosi soddisfatto e non facendo alcuna menzione su eventuali liti e rescissioni. Si consideri che il dottor Biagi, anziano già indebolito dalla malferma condizione di cardiopatico, volle concordare la sua uscita definitiva dalla RAI, per trarne il legittimo guadagno di fine rapporto (che durava da moltissimi anni, con contratti vantaggiosi e miliardari: di norma, un giornalista a 65 anni va in pensione).
    Il dottor Biagi era un bravo cronista, uno scrittore popolare, un permaloso. Spadolini lo stimava. Anche Prezzolini e Gianna Preda lo stimavano (per questo motivo “il Borghese” non lo trattò mai male). Scambiava cordialità con Montanelli. Nessuna relazione di cui gloriarsi invece ebbe con Malaparte. Tutti questi citati, più grandi e colti di lui, sono morti prima di lui. Era l’ultimo sopravvissuto di una generazione che aveva frequentato les maisons de plaisirs e che poi era stato sostenuto da buoni uffici delle pubbliche relazioni e da una schiera di collaboratori (“negri”: vedi i reportages esteri, i fumetti e i racconti di storia). Era ben pagato, ma non era il migliore. Il mweglio di sé lo diede alla direzione di Epoca.
    Peccato che in vecchiaia pensò di essere Catone. I suoi lettori continuavano a seguirlo nelle rubriche ripetitive (eguali argomenti ed eguali citazioni – “settembre, andiamo…”- sul Corriere e su L’Espresso), molti di loro poi votavano Berlusconi (il quale quando Biagi fu operato al cuore, gli fece un’affettuosa telefonata di auguri: come si sa, al funerale di un uomo di rispetto chi si presenta per primo a porgere le condoglianze è il mandante. Questa non ve l’aspettavate, nevvero, vedovi di Biagi?)

  5. tequilero dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 15:20

    Non riconosco Berlusconi come giudice. Io non sono entrato in politica per fare affari. Sono un vecchio cronista che ha fatto i suoi mesi di praticantato e in più di 60 anni non ho mai avuto una querela per diffamazione. Ci provò un prefetto, ma perse. Mi attaccano perché intorno a Berlusconi c’è un coro di sì e allora chi ha qualche obiezione e non crede tanto alla sua vocazione politica, ma piuttosto a una soluzione dei problemi personali, certamente è contrastato dal coro […]. Per quanto riguarda poi queste manovre, credo che il «Corriere» rappresenti per qualcuno un ambizioso traguardo. Chi ha in mano il «Corriere» ha in mano il più grande quotidiano italiano e forse la mia lettera di licenziamento. Insomma, quel dito alzato a Bolzano c’era o no? Mi pare che ci siano le foto a dimostrarlo. Questo ho raccontato. L’ennesimo attacco di Berlusconi a me, con tutti i problemi che dovrebbe avere, la dice lunga sulla grandezza dello statista. Ve lo immaginate Giolitti che risponde a un articolo di qualche gazzetta nello stesso modo? Con la sceneggiata penosa che ha fatto ieri davanti agli imprenditori edili […]. Lui vorrebbe che io venissi licenziato anche dal «Corriere della Sera». Con la Rai è stato più facile. Lì ha trovato uomini come il dottor Saccà, disposti ad applicare immediatamente i suoi ordini. Sono stato fatto fuori con ricevuta di ritorno. Ma con il «Corriere» è un po’ più complicato
    Enzo Biagi.
    Fa fede anche quanto ricostruito nel libro Regime che descrive molto bene come si è arrivati alla lettera di licenziamento.
    Se è riferita anche a me l’espressione “vedovi di Biagi” sono davvero molto orgoglioso di questa definizione.
    Grazie.

  6. Domenica dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 20:48

    Veramente, il presidente Giolitti non era per nulla tenero con i gazzettieri. “Rispondeva” attraverso la proprietà dei giornali. E come: potrei trovare qualcosa nel mio archivio, poi magari ve la riferisco. I Biagi dell’epoca cercarono di impallinarlo; egli fu costretto a riparare per qualche tempo in Svizzera, inseguito da articoli e interpellanze. Superò la crisi, qualche suo detrattore no.
    Essendo moglie di un editor, ed essendo stata anche publisher, so la permalosità di alcuni personaggi che, avendo già maturato buoni contratti, possono fare sfoggio di coraggio a buon mercato. Se il dottor Berlusconi avesse continuato ad incensare e baciare le mani ai “santoni” di Panorama e de L’Espresso e del Corriere, non avesse rotto gli equilibri con l’acquisto della Mondadori (aiutato o no, questo è un altro problema: la Mondadori non doveva finire a sinistra; Andreotti magnanimo – mai stravincere – fece restituire a Caracciolo L’Espresso-Repubblica) si sarebbe risparmiato le ironie e gli insulti e le cattiverie che gli provocarono anche dei disturbi fisici, fino all’insorgenza di un tumore, per fortuna eliminato in tempo.
    Vorrei ricordare Rinaldi e Biagi, due suoi oppositori.
    Povero dottor Rinaldi, che in fin di vita, mentre il morbo paralizzante avanzava, pensava ancora a ironizzare sui tacchi e sui capelli e sullo stile del dottor Berlusconi, invece di prepararsi alla misericordia divina riconciliandosi con il prossimo, almeno con la scrittura.
    Povero dottor Biagi, che non si peritava di non essere riverito e osannato e consultato dal dottor Berlusconi, il quale dal canto suo si dimostrò verso di lui convalescente un signore premuroso, anche se non prono. C’era nell’inconscio del dottor Biagi, di origine emiliana povera, un retaggio classista, che influenzava il suo lessico antiberlusconiano (nonostante il dottor Biagi fosse ormai ricco e continuasse ad essere superpagato, sfotteva l’esibizione di ricchezza del Cavaliere milanese).
    Povero dottor Biagi, come era abile. Rifilò alla RAI, per decine di milioni, il bidone della borsa del dottor Calvi, con qualche mazzo di chiavi dentro e nessun documento, grazie ai buoni uffici del dottor Flavio Carboni (che la deteneva e aveva cercata di piazzarla ad altri, anche a mio marito) e del senatore Giorgio Pisanò.
    Povero dottor Biagi, come era sensibile. Nella villa all’EUR del dottor Carboni, dove si era recato per concordare una intervista, il grande giornalista si commosse fino alle lacrime ascoltando il racconto dei guai privati-pubblici del finanziere (“faccendiere” è riduttivo) amico e socio del principe Caracciolo. Come recitava bene il dottor Carboni, quando parlò della umiliazione subita dalla moglie perquisita intimamente prima di visitarlo in carcere. Il dottor Biagi si commosse, dimostrando che anche un giornalista ha un cuore. Per questo, si commosse anche padre Virginio Rotondi, assiduo frequentatore del dottor Carboni allora agli arresti domiciliari.
    Il dottor Carboni era uso a fare regali anche a tutti i giornalisti con i quali veniva in contatto. Al dottor Biagi riservò un registratore giapponese, più grande e tecnologicamente più avanzato dei recorders donati ad altri (tra i quali mio marito).
    A me piaceva il motto del dottor Biagi, che una volta scrisse (cito a memoria, cercherò la frase originale e poi ve la riferirò) che compito di un cronista è raccontare la vicenda di un uomo senza giudicare. Mantenne fede a questo assunto anche con il signor Luciano Leggio (detto Liggio)e con altri “malacarne” della cronaca nera. Alla fine, fece una eccezione solo per il dottor Berlusconi: raccontò (a modo suo) e giudicò. Per diritto-dovere di cronaca? No, per fatto personale.
    Eppure, anche il dottor Biagi è un uomo da rimpiangere. Non ne abbia a male, caro Tequilero.

  7. tequilero dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 21:42

    Guardi per giudicare Biagi mi basta il suo articolo su Enzo Tortora, non ne abbia a male cara Domenica.
    Saluti.

  8. Daniele dice:

    Wednesday, 27 August 2008 alle 22:10

    “L’unico atto che fa fede è il documento in cui il dottor Biagi concorda la buonuscita con la RAI”… di quello che diceva Biagi invece ce ne freghiamo allegramente. Dopo la sua morte Berlusconi & C. dicono che ha lasciato la RAI per i soldi, ma la mendace Wikpedia riporta questo:

    “Il 20 settembre Biagi, in una lettera al direttore generale Saccà, scrisse che se la RAI aveva ancora bisogno di lui (come dichiarato dallo stesso dg) e se questo ostacolo era rappresentato da problemi economici, egli si dichiarava pronto a rinunciare al suo stipendio, accettando quello dell’ultimo giornalista della RAI, purché detto stipendio venisse inviato al parroco di Vidiciatico, un paesino sperduto nelle montagne bolognesi, che gestiva un ospizio per anziani rimasti soli.

    Saccà replicò, con una lettera al quotidiano La Repubblica (che stava dando grande risalto alla vicenda), che il programma non poteva essere trasmesso per esigenze pubblicitarie.”

    Se fosse vero sarebbe alquanto strano che un vecchietto così attaccato ai soldi si dichiarasse disposto a percepire lo stipendio dell’ultimo giornalista della RAI.

    Biagi poi afferma: “Il direttore generale Saccà mi ha mandato la disdetta del contratto con ricevuta di ritorno, che è la cosa che mi offende di più. Io sono stato licenziato con ricevuta di ritorno, perché magari potevo dire “non lo sapevo… ma guarda, mi hanno cacciato via e non me n’ero neanche accorto!”. E dalla dirigenza della RAI non ho mai più sentito nessuno.”

    Dalla dirigenza RAI si sono poi tutti affannati a dire che Biagi non era stato cacciato e quel vecchiaccio malefico ha loro risposto “Ma, se allora tutti mi volevano, chi mi ha mandato via?”.

    Però l’atto che fa fede è il documento con cui Biagi concorda la buonuscita con la RAI, mica quello che diceva Biagi in vita. Ma che importa oramai, è morto e quindi lui ha torto e Berlusconi ha ragione. Ma i nostro amato presidente del consiglio è un signore premuroso, talmente premuroso che, quando Biagi era vivo, si è ben guardato dal dire che se ne era andato dalla RAI per i soldi; ha aspettato, molto signorilmente, che fosse morto.

    Saluti

  9. Domenica dice:

    Thursday, 28 August 2008 alle 00:30

    Infatti.

Inserisci un commento

(attendi che sia approvato dal moderatore per vederlo online)