Geronzi a tutto campo: "Su Alitalia potremmo non esserci, ma non escludo un coinvolgimento"
Friday, 1 August 2008Passaggi dell’intervista di Ferruccio de Bortoli (direttore de “Il Sole24Ore”) a Cesare Geronzi (presidente di Mediobanca)
Nell’ufficio del presidente di Mediobanca l’ora è sempre segnata da un rispettoso orologio del Settecento anche se il ticchettio è sovrastato dal sonoro di un televisore a cristalli liquidi, sempre acceso su SkyTg24.
Nulla sembra turbare la sua sicurezza e il suo umore. Anche dopo dure battaglie come quella che si è appena conclusa sulla governance con il management e una parte (UniCredit) dei suoi azionisti. Gli orologi Hour Lavigne e La Vallèe in piazzetta Cuccia continuano il loro onorato servizio ma, con questo colloquio, Cesare Geronzi, 73 anni, sembra dire, piaccia o no, che i tempi dell’istituto li scandisce lui. Punto.
«Sa, direttore, io sono in banca dal 1960 e ho sempre seguito una regola aurea: freddezza, distacco e trasparenza. Io, quando ci sono momenti difficili, mi confronto, dialogo, magari litigo, ma ragiono. Non dico, come nei casi Rcs e Telecom, “non mi interessa nulla di questioni di mero potere”, e poi salto fuori d’incanto in una domenica di luglio perché ho cambiato idea…».
«Sono in Mediobanca da sedici anni. Quando vi entrai, i giovani di oggi erano funzionari o dirigenti alle prime armi. Ho passato otto anni con Cuccia e poi con Maranghi. Mi sono trovato in contrasto con Maranghi, con il quale conservai una amichevole consuetudine fino alla morte, una sola volta, sa quando? Quando l’autoreferenzialità del manager, pur bravo, ma che non era Cuccia, arrivò a calpestare i diritti degli azionisti».
Si direbbe che lei, presidente, con i giovani manager (vedi Arpe in Capitalia) non sia mai andato troppo d’accordo. Forse, non le viene il dubbio che qualche volta la responsabilità sia sua? «Guardi, io ho pièna fiducia in loro, e l’ho riconfermata. Pensi che alla vecchia governance io non avevo messo mano, loro sì. …».
Dunque, lei non andrà mai a Trieste? «No, Bernheim si troverà lui un successore. Resto convinto che un presidente delle Generali debba avere più poteri e che due amministratori delegati siano troppi».
Geronzi ribadisce di non avere mire personali, di essere a fine carriera e di coltivare solo l’ambizione a svolgere il ruolo di un banchiere attento anche alle complessità e alle esigenze del proprio Paese. Conferma di tenere in modo particolare al rapporto privilegiato con il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, felice del sistema duale, Giovanni Bazoli, anche lui favorevole a una banca di sistema, a un istituto di credito che persegua oltre al valore per gli azionisti, l’interesse generale.
«Mediobanca è sempre stata al centro del sistema, non può emarginarsi». Dunque, se c’è da salvare Alitalia deve esserci? «Può decidere di non esserci, e non escludo che possa essere coinvolta, ma deve guardare le carte e poi eventualmente dire di no. Intesa comunque sta facendo un buon lavoro. Era più vicina, per tanti motivi, a molti dei possibili investitori. Ma l’operazione va fatta se è solida, non perché si è costretti a farla».
(Nelle foto a sinistra Cesare Geronzi, a destra Ferruccio de Bortoli)



Fabrizio dice:
Sunday, 3 August 2008 alle 01:59
Io tifavo per Matteo Arpe.