Posta e risposta. Il Monicelli del vino e le uve da bluff
Tuesday, 22 July 2008Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Sono assolutamente d’accordo con Tommaso per quanto riguarda il fatto che una certa categoria di produttori che definisco “appassionati” debba alzare la voce contro quelli che fanno “di tutta un’erba un fascio”. Sono anche convinto e mi riferisco a quanto scritto da Gabriele che è ridicolo poter pensare che dentro una una bottiglia da 80 centesimi vi sia del “vino” e che contro questa gente il nostro governo e le istituzioni ci debbano tutelare ma non inchieste e copertine ad effetto da rotocalco ma bensì con intelligenza ma sopra tutto educando i consumatori a: “bere poco ma buono”.
Anselmo
Caro Anselmo,
il caro Tommaso Farina ti ha definito il “Monicelli del vino italiano” e il tuo intervento sul tema ci inorgoglisce non poco.
Personalmente non sono un esperto a differenza di Tommaso e ho già espresso il mio giudizio nel post precedente cui tu ti riferisci. Credo sia necessario incentivare i produttori “veri”, quelli che imbottigliano vino di qualità, diffidando degli altri.
Ad esempio, vedo che tutti ormai fanno il “pecorino”, ma questo vitigno autoctono è presente in quantità minime. Mi chiedo, ma è tutto un bluff?
Saluti
Gabriele
Risponde il “nostro” esperto enogastronomico Tommaso Farina. Per lui e gli altri appassionati abbiamo coniato la nuova rubrica “Bevi&Mangia”. Slurp!
Il mio paragone con Monicelli non tragga in inganno. Non voglio additare Anselmo come una specie di “grande vecchio” (anche se la sua famiglia ha una ricca tradizione vinicola), ma semplicemente sottolineare come un Anselmo che commenta un blog più o meno gastronomico sia quasi un Monicelli che ne commenta uno cinematografico. Cioè, un punto di riferimento nel suo campo, che decide di intervenire nelle discussioni che gli sembrano interessanti.
Il pecorino, che è diffuso anche nelle Marche, in effetti è un’uva che fino a qualche anno fa nessuno si filava, pur avendone magari qualche pianta o addirittura qualche vigna. Adesso, con l’enfasi sull’autoctono, qualcuno ha scoperto che dal pecorino si possono trarre vini bianchi di struttura e corpo. Quindi, nelle cene che contano, quelle piene di enosnob e di esperti sentenziosi, non azzardatevi a chiedere: “Ma il pecorino non era un formaggio?”.
Tommaso Farina

Tommaso Farina dice:
Tuesday, 22 July 2008 alle 19:28
Il mio paragone con Monicelli non tragga in inganno. Non voglio additare Anselmo come una specie di “grande vecchio” (anche se la sua famiglia ha una ricca tradizione vinicola), ma semplicemente sottolineare come un Anselmo che commenta un blog più o meno gastronomico sia quasi un Monicelli che ne commenta uno cinematografico. Cioè, un punto di riferimento nel suo campo, che decide di intervenire nelle discussioni che gli sembrano interessanti.
Il pecorino, che è diffuso anche nelle Marche, in effetti è un’uva che fino a qualche anno fa nessuno si filava, pur avendone magari qualche pianta o addirittura qualche vigna. Adesso, con l’enfasi sull’autoctono, qualcuno ha scoperto che dal pecorino si possono trarre vini bianchi di struttura e corpo. Quindi, nelle cene che contano, quelle piene di enosnob e di esperti sentenziosi, non azzardatevi a chiedere: “Ma il pecorino non era un formaggio?”.
giulio contini dice:
Tuesday, 22 July 2008 alle 20:18
Triste è doversi confrontare con la realtà del nostro paese, una volta ricco di industrie anche all’avanguardia ed innovative, basti pensare al diesel common-rail messo a punto nel centro ricerche Fiat nel 1994 e poi ceduto alla Bosch, oggi la tecnologia più diffusa nei motori alimentati a gasolio. Avevamo centri studi di eccellenza come Bologna, oggi l’ombra di quello che è stata un tempo e con i nostri laureati che debbono andare a specializzarsi all’estero se vogliono esibire titoli riconosciuti come validi. E così via, gli esempi tristi potrebbero continuare ancora per molto.
Oggi rimane non molto, ma quel poco è un patrimonio ancora immenso: arte, cultura, ambiente e made in italy. Per le prime voci c’è chi ci lavora da molti anni affinché vengano adeguatamente ridotte a praterie da lottizzare per sistemare su comode poltrone amici e amici degli amici.
Il made in italy invece viene sempre più contaminato da imprenditori senza scrupoli, dediti al business aggressivo: si fanno soldi oggi, domani si vedrà ed al massimo si fa una bella bancarotta con la srl per ributtarsi dentro con un altro brand dal futuro abbastanza certo e breve. La viticultura sta pagando lo scotto dell’insolenza di certa imprenditoria come il resto del made in italy, hai voglia a faticare e sudare per realizzare un prodotto di qualità quando c’è sempre qualcuno che è bravissimo a sputtanare anche te.