Gioacchino Giampaolo Giuliani, i suoi studi sulla previsione dei terremoti interessano gli americani. I connazionali lo hanno denunciato per procurato allarme, viva l'Italia

Monday, 6 April 2009
Pubblicato nella categoria ARTICOLI

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di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Nella dolorosa situazione del disastroso terremoto che ha colpito l’Abruzzo, oltre alle drammatiche cronache tutti i media riportano articoli su di uno studioso, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Si chiama Gioacchino Giampaolo Giuliani, il suo nome è balzato improvvisamente in primo piano in quanto aveva “previsto” il terremoto imminente. Leggi il resto –> »

UNA STORIA VERA: LA BANCA CHE SUGGERISCE IL MIGLIOR MUTUO

Friday, 3 April 2009
Pubblicato nella categoria NONSOLOSOLDI

di Gianluigi De Marchi per dituttounblog.com

Mio fratello da anni ha un mutuo a tasso variabile. Glielo aveva suggerito il direttore di banca qualche anno fa, spiegandogli (lui aveva chiesto un prestito a tasso fisso) che era meglio optare per una soluzione che gli avrebbe consentito di beneficiare del ribasso del costo del denaro.

Qualche settimana fa, effettuato un controllo dell’ultima rata, si è recato allo sportello per protestare perché, secondo lui, il tasso era eccessivo rispetto al costo del denaro. Il direttore lo ha ricevuto con garbo, gli ha spiegato che si trattava di una rata semestrale, quindi il livello indicato era relativo a sei mesi prima, e che ovviamente la rata in scadenza ad aprile sarebbe stata calcolata ai livelli attuali.

Ma non si è fermato qui. Gli ha anche suggerito di passare al tasso fisso, approfittando del previsto ribasso del tasso ufficiale della banca centrale europea (puntualmente avvenuto ai primi di aprile). “Ma quanto mi costa il cambio?“. “Nulla” gli ha risposto sorridendo il direttore.

Detto, fatto, ha trasformato il contratto firmando quello nuovo nel giro d 10 minuti, oggi paga il 2,5% per  prossimi 13 anni che restano alla scadenza. Un esempio bellissimo di ottima consulenza, di trasparenza, di efficienza e di disponibilità alle esigenze della clientela.

Ah, dimenticavo, mio fratello è residente in Svizzera e la scena si è svolta in una banca di Lugano…

E allora facciamo un paio di considerazioni.

Quanti in Italia ricevono lo stesso trattamento?

Quanti possono oggi trasformare (come è giusto, dato il costo quasi nullo del denaro) un mutuo dal tasso variabile a quello fisso al 2,5% annuo d’interesse?

Quanti riescono a trasformare un mutuo con un costo pari a zero in poco più di dieci minuti?

E soprattutto: perché la filiale svizzera di una banca italiana si comporta in maniera diversa da una banca italiana operante in Italia?

Sono domande che hanno la solita, nota risposta: perché in Italia il sistema è falsamente concorrenziale, perché ogni istituto di credito misura la propria efficienza non sulla capacità soddisfare il cliente, ma sulla capacità di produrre utili mostruosamente elevati per distribuire ai dirigenti bonus faraonici (finendo, però, con il cappello in mano, a chiedere l’elemosina di Stato).

Amarcord: Il cosa e il come

Friday, 3 April 2009
Pubblicato nella categoria AMARCORD

dal blog di Daniele Luttazzi – www.danieleluttazzi.it – pubblicato il 11-settembre-2007

Su Beppe Grillo ho tutta una serie di riserve che riguardano il cosa e il come. Spunti per una riflessione, niente di più: Grillo è ormai un tesoro nazionale come ( fatevi da soli il paragone: è la “democrazia dal basso” ) e a caval donato non si guarda in bocca. Certo non mi auguro che finisca come Benigni, a declamare Dante in braccio a Mastella. ( Il Benigni di vent’anni fa si sarebbe fatto prendere in braccio da Mastella solo per pisciargli addosso. E una volta l’ha fatto! Bei tempi. )

AVVERTENZA AI FIGLI DI BUONA DONNA
I figli di buona donna che allignano nei bassifondi della repubblica mediatica saranno tentati di strumentalizzare questo post ( ” LUTTAZZI CONTRO GRILLO ” ) per dare addosso in modo becero a Beppe, come hanno già fatto inventandosi l’insulto a Marco Biagi durante il V-day. L’alternativa è che me ne stia zitto per evitare l’ennesimo circo: ma dovete ammettere che il tema è troppo interessante; e tacere sarebbe, in fondo, come subire il ricatto dei figli di buona donna. Ho aspettato tre giorni, così almeno ho evitato il rendez-vous immediato. ( L’informazione all’italiana prevede infatti: giorno uno, la notizia; giorno due, la polemica; giorno tre, i commenti sulla polemica; giorno quattro: parlare d’altro. E invece eccomi qua. ) Se questa precauzione non dovesse bastare, vorrà dire che chi ne approfitterà finirà dritto dritto in uno speciale elenco dei bastardi che mi stanno sulle palle. ( Sul quaderno apposito ho già scritto ” volume uno “. )

IL COSA
In soldoni, la proposta di legge per cui Grillo ha raccolto 300mila firme mi sembra che faccia acqua da tutte le parti.

Primo, perchè un parlamentare con più di due legislature è una persona la cui esperienza può fare del bene al Paese. Pensiamo a gente del calibro di Berlinguer o di Pertini ( talenti che non ci sono più, ma questo è un problema che non risolvi con una legge, ci vorrebbe il voodoo ). Grillo li manderebbe a casa dopo due legislature, in automatico. Perchè “i politici sono nostri dipendenti.” Le accuse di populismo che gli vengono rivolte sono qui fondatissime, specie quando le rigetta usando non argomenti che entrino nel merito, ma lo sfottò, che è sempre reazionario. ( “Gli intellettuali con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra hanno evocato il qualunquismo, il populismo, la demagogia, uno con la barba ha anche citato, lui può farlo, Aristofane, per spiegare il V-day. “ Non è “uno con la barba”: è il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, filosofo, che ha espresso civilmente il suo parere contrario, argomentando. )

Due, perchè chi è condannato in primo e secondo grado non lo è ancora in modo definitivo. In Italia i gradi di giudizio sono tre. Il problema da risolvere è la lentezza della giustizia. I magistrati devono avere più mezzi, tutto qui. ( “Tutto qui” è ovviamente l’understatement del secolo. )

C, perchè poter esprimere la preferenza per il candidato ha dei pro e dei contro che si bilanciano ( come capita nel modo attuale ). In passato, ad esempio, poter esprimere la preferenza non ha impedito ai partiti di far eleggere chi volevano ( collegi preferenziali eccetera ) . Nè ha impedito alla gente di scegliere, col voto di preferenza, degli autentici filibustieri.

L’illusione alimentata da Grillo è che una legge possa risolvere la pochezza umana. Questa è demagogia.

Ma non è solo il cosa. E’ soprattutto IL COME. Un esempio: dato che Di Pietro ha aderito alla sua iniziativa, Grillo ha detto:-Di Pietro è uno per bene.– Brrrr. Quindi chi non la pensa come Grillo non lo è? Populismo.

L’anno scorso, a Padova, gli “amici di Grillo” avevano riempito il palazzetto dove avrei fatto il mio monologo con volantini WANTED che mostravano la foto dei politici condannati. Li ho fatti togliere spiegandone la demagogia: gli amici di Grillo puri e buoni contro i nemici cattivi. Quando arriva Django?

Lenny Bruce sosteneva, a ragione, che chi fa satira non è migliore dei suoi bersagli. Se parli alla pancia, certo che riempi le piazze, ma non è “democrazia dal basso”: al massimo è flash-mobbing.

AMBIGUITA’
Grillo si guarda bene dallo sciogliere la sua ambiguità di fondo: che non è quella di fare politica ( satira e teatro sono politici da sempre, anche se oggi c’è bisogno di scomodare Luciano Canfora per ricordarcelo ) ( -Canforaaaaa!- ), ma quella di ergersi a leader di un movimento politico volendo continuare a fare satira. E’ un passo che Dario Fo non ha mai fatto. La satira è contro il potere. Contro ogni potere, anche quello della satira. La logica del potere è il numero. Uno smette di fare satira quando si fa forte del numero di chi lo segue. Grillo il problema manco se lo pone. ( La demagogia è naif. Lo sa bene Bossi, che ieri gli ha pure dato dell’esagerato: perchè una cosa sono i fucili, una cosa ben diversa è il vaffanculo. )

Scegli, Beppe! Magari nascesse ufficialmente il tuo partito! I tuoi spettacoli diventerebbero a tutti gli effetti dei comizi politici e nessuno dei tuoi fan dovrebbe più pagare il biglietto d’ingresso. Oooops!

– I partiti sono il cancro della democrazia.- dice Grillo, servendosi di una cavolata demagogica che era già classica all’epoca di Guglielmo Giannini. Come quell’altra, secondo cui ” in Italia nulla è cambiato dall’8 settembre del 1943 “. Ma va’ là!

Adesso Grillo esalta la democrazia di internet con la stessa foga con cui dieci anni fa sul palco spaccava un computer con una mazza per opporsi alla nuova schiavitù moderna inventata da Gates. La gente applaudiva estasiata allora, così come applaude estasiata ora. Si applaude l’enfasi.

Il marketing di Grillo ha successo perchè individua un bisogno profondo: quello dell’agire collettivo. Senza la dimensione collettiva, negata oggi dallo Stato e dal mercato, l’individuo resta indifeso, perde i suoi diritti, non può più essere rappresentato, viene manipolato. E’ questo il grido disperato che nessuno ascolta. La soluzione ai problemi sociali, economici e culturali del nostro Paese può essere solo collettiva. A quel punto diventerebbe semplice, anche per Grillo, dire:- Non sono il vostro leader. Pensate col vostro cervello. Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo.

Grillo scatenato e la D’Amico fa da tappetino

Friday, 3 April 2009
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accontento (si fa per dire) Matteo che ha evocato questo articolo di Filippo Facci per ilgiornale.it – esilarante ed appropriata la battuta sulla voce della conduttrice (sf)

Prima che di Grillo ci sarebbe da occuparsi di questa Ilaria D’amico e del suo inutile Exit su La7, ma sappiamo che anche le critiche più devastanti da noi vengono considerate medaglie, se va bene invidia di qualcosa, ma correremo il rischio: perché questa D’amico, diciamo lo stesso, è palesemente la più incapace tra tutte le non-conduttrici che per meriti speciali si sia affacciata dalle nostre disgraziate televisioni, e questo lo sappiamo.

E allora perché non dirlo? Perché sennò non t’invita?

E chi se ne frega: sarebbe splendido che tra i mendicanti di apparizioni qualcuno cominciasse anche a dire no. Anche perché mercoledì sera, umili e piccini di fronte al maxi-schermo col Grande Monologante, gli invitati facevano una discreta pena.

D’accordo, la D’Amico è l’archetipo della televisione dove tutti ormai possono fare tutto, e tuttavia ci si chiede: quale spettatore al termine di una puntata di Exit ha capito o imparato qualcosa?

Ha imparato, se gli va bene, quale voce dovesse avere Rosa Russo Iervolino da giovane; ha capito che alzare la tonalità e interrompere di continuo è buona e producente cosa; ha capito che senza una traccia scritta certe conduttrici sono niente, e lo dimostra la disinvoltura con cui la D’Amico a un certo punto ha detto che «ci sono 20mila disoccupati» prima che le suggerissero, sottovoce, che sono 20 milioni. Le scrivessero che c’è al governo Fanfani, forse, lo direbbe: ma detta così è cattiveria.

Occorre invece ammettere che tre cose la signorina ha perlomeno capito: che postura e seriosità contano più dei contenuti, che occorre saper dosare le scollature (Giuseppe Caschetto, agente suo e della sinistra wannabe, le ha raccomandato che nelle trasmissioni dove parla di calcio la scollatura dev’essere più abbondante) e soprattutto pare aver capito, la signorina, che sparare raffiche di domande senza ascoltare le risposte, magari intimando di rispondere risolutamente «sì» o «no» anche a proposito della fissione dell’atomo, ecco, è tutta roba che fa grande giornalista d’assalto.

Detto questo, eccoci finalmente a Grillo e a una situazione che alla D’Amico è scappata di mano subito e senza che la riacciuffasse neppure una volta. Abbiamo avuto un monologo di diciotto minuti dove il comicante ovviamente ha insultato a destra e a manca, ma ha pure ripetuto concetti e situazioni già da tempo sbugiardate. Ma non ci ha fatto mancare generiche preziosità come questa: «I cittadini si sono rotti i c… i di quella gente che avete lì in studio». E la gente in studio intanto restava silente, passiva, fatalista come col maltempo: erano il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, il sottosegretario allo Sviluppo economico Adolfo Urso, Bruno Tabacci dell’Udc e il collega Sergio Rizzo. Difesi da chi? Da una conduttrice che nei venti minuti ha biascicato le seguenti frasi:

1) «Sottolineiamo la trasparenza con cui quest’azienda ti accoglie a braccia aperte e sta cambiando tante cose, e tu lo sai»;

2) Beppe, io… »;

3) Beppe, proviamo a raccontare anche come si cambia tutto questo… ?»;

4) «Beppe, tu hai detto una cosa che mi ha fatto molto piacere…».

A quel punto, quando a intervenire ha provato qualche ospite, ecco le interlocuzioni del buffone: «Stia zitto un attimo che poi me ne vado»; «Fammi parlare», «No no no…».

Poi ha tentato ancora di raddrizzare in chiave vittimistica tutti i flop degli ultimi due anni. Nell’ordine: «Abbiamo fatto il Vaffanculo day e i partiti ci sono andati, affanculo». Ah sì? A dire il vero Grillo aveva invitato all’astensione, e alle scorse politiche c’è stata una delle affluenze più alte degli ultimi anni. Poi: «Abbiamo raccolto le firme per mandare a casa i parlamentari dopo due legislature». Ah sì? E com’è che allora si è imparentato con l’Italia dei valori per le prossime amministrative? Com’è che per le provinciali alcuni suoi candidati si presenteranno direttamente con Di Pietro? Ce lo chiediamo perché l’ex magistrato di mandati parlamentari ne ha già accumulati cinque, per un totale di anni dodici.

Infine: «Le nostre firme sono ferme, noi promuoviamo i referendum, ma le ho perse io, le firme?». Sì. Le ha perse lui. Grillo infatti raccolse il grosso delle firme durante il vaffa-day del 25 aprile 2008, firme inutili. Ricordiamo la dinamica che già lo sputtanò l’anno scorso: per proporre un referendum ci vogliono 500mila firme raccolte in tre mesi, ma la legge dice che dal giorno in cui vengono indette le elezioni non si possono depositare firme per altri sei mesi; ed essendo state indette le elezioni il 6 febbraio 2008, significa che Grillo non avrebbe potuto depositarne sino al 7 agosto: dovendo appunto raccogliere le firme in tre mesi, i tre mesi precedenti il 7 agosto partivamo dal 7 maggio, non prima: quelle raccolte prima non valevano, ma Grillo le raccolse lo stesso e soprattutto a ridosso del suo vaffa-day del 25 aprile: firme inutili che lui, nel luglio successivo, consegnò solo per non buttarle via.

Se ci avete capito poco, figuratevi Grillo: resta che ai suoi grillini non disse niente o quasi. A Exit, però, ha citato sospettosamente Corrado Carnevale, capo della Commissione per il referendum in Cassazione: «Avevo davanti Carnevale, di firme ce n’erano la metà…». E certo: c’erano solo quelle valide. E poi suvvia, non se la prenda con Carnevale, che già avrà il suo da fare in purgatorio: è l’uomo che presiedeva, nel 1981, la commissione che promosse Antonio Di Pietro alla carriera di magistrato.

Beppe Grillo torna in diretta TV su La7: che delusione

Friday, 3 April 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

dal blog di Federico Pistono – direi un grillino deluso, a giudicare dalla pagina e dai toni

Dopo parecchio tempo torno a scrivere un post su questo blog. In questo periodo di silenzio sono uscite notizie ben più importanti di quella che mi accingo a commentare, ma come spesso capita non si ha mai tempo di scrivere un articolo sensato, ricercato e approfondito in mezzo a lavoro, studio e tutto il resto. Trovo, quasi per fortuna, il tempo di scrivere qualche pensiero, trascinato dall’emotività del momento, senza pretese. Poca analisi, molti pensieri.

Dopo 15 anni, a parte una minuscola parentesi a Striscia la Notizia nel novembre 2003, Beppe Grillo torna finalmente in diretta TV in Italia. La notizia mi ha colto di sorpresa, stupore e un po’ di scetticismo. Fino ad oggi Beppe ha avuto innumerevoli occasioni di andare in televisione. Trascinatore, blogger insaziabile, catalizzatore di premi Nobel, fisici, architetti, professori e grandissimi personaggi, è riuscito a costruirsi una fittissima rete di persone motivate e pensanti, un movimento di giovani capaci che si muovono senza guru ma con una grande figura di riferimento. Lui.

Corteggiato da programmi televisivi ormai sull’orlo del declino, Grillo ha sempre evitato accuratamente di far parte di quei programmi farlocchi dove la gente si parla addosso, dove gli invitati sono alla fine tutti d’accordo e il conduttore è un servetto con la manina che gli spunta di dietro. È un atteggiamento coraggioso, che richiede un considerevole sforzo e coerenza, facili da predicare ma difficile da applicare, soprattutto quando con una piccola eccezione potresti fare un due ore quello che faresti in tre mesi di serate nei palazzetti di mezza Italia.

Beppe è andato avanti, come un treno, contro tutti e con tutti contro, sbeffeggiando quei giornalisti che cercavano di demonizzarlo, ridicolizzarlo. Evitandoli. Parlando alla gente, con la gente, per la gente.

Fino a stasera.

Come ho già scritto, non ci credevo molto, la mia “natura” scettica mi portava a dubitare di questo fatto annunciato così apertamente da tutti. In un’intervista dell’8 settembre 2007, in occasione del primo V-Day, Beppe dichiarò che non sarebbe stato disposto a prender parte ad un dibattito televisivo, perché la “TV non è veritiera”. Non riesco a capire cosa sia cambiato questa volta. Leggo la lista degli ospiti, normale amministrazione. Non guardando mai la TV ho dovuto fare qualche ricerca per scoprire chi fosse la presentatrice. Ilaria d’Amico, una bellissima donna che sembra essere molto conosciuta per i suoi programmi su Sky riguardanti il calcio Italiano. Anche qui, non capisco.

Navigo ancora un po’: la nostra Ilaria sembra essere presa bene. Il post sul suo blog dedicato alla serata raccoglie 613 commento ed è stato letto 12,000 volte. Non male, soprattutto tenendo conto che di media fa 30 commenti e un migliaio di letture a post. (eccone uno stralcio):

Dopo anni di assenza dalle reti generaliste, Beppe Grillo torna in tv. Domani, mercoledì 1 aprile, sarà ospite d’eccezione di “Exit”, il programma di informazione condotto da Ilaria D’Amico, in onda alle 21.10 su LA7. In collegamento da Bruxelles, Grillo interverrà su un tema che lo vede impegnato in prima persona: la privatizzazione dei servizi pubblici. Al centro della prima parte della puntata, i pro e i contro della gestione privata dei servizi pubblici: dall’acqua potabile, ai trasporti urbani, dai rifiuti, al verde cittadino. Siamo sicuri che gli imprenditori gestiranno meglio delle amministrazioni locali quei servizi che riguardano il quotidiano di ognuno di noi?

Ospiti del talk in studio: Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio; sottosegretario allo Sviluppo economico Adolfo Urso; Bruno Tabacci, deputato Udc; il giornalista del “Corriere della sera” e tra gli autori de “La casta” Sergio Rizzo e Corrado Oddi, membro del Forum italiano dei movimenti per l’acqua.

Con il dubbio che mi assale e in attesa di scoprire cosa sta succedendo mi preparo: accendo quella scatola nera in cucina (roba dei miei coinquilini) e mi sintonizzo su La7. La ragazza mi colpisce subito. A parte la bellezza disarmante, sembra essere ben preparata sull’argomento e ha una buona presenza scenica. Insomma, pare sappia il fatto suo. parte il primo servizio sull’acqua. Ben curato, sintetico ma preciso, racconta cose vere. Un mini report. Ottimo. Si torna in studio, è tutto pronto.

Ecco che arriva il momento che non riuscivo proprio a spiegarmi: il collegamento in diretta con Beppe dal parlamento Europeo di Bruxelles.

Ecco la delusione totale.

Beppe prende la parola, parte con il suo tipico monologo (giustissimo) e poi saluta tutti. Se ne va. Insomma, lancia dieci bombe atomiche di informazione in studio e poi si defila. Non è giusto, è sbagliato ed infantile. Certo, è vero che i suoi interlocutori per la gran parte non capivano nemmeno ciò di cui stesse parlando, e quindi avrebbero fatto discorsi senza senso, critiche sterili. Ben vengano! Avrebbe finalmente avuto la possibilità di smontare gli argomenti fumosi sugli inceneritori, tema ancora oggi incompreso da molti, sbugiardare le panzane del sottosegretario allo Sviluppo economico Adolfo Urso (PdL), far crollare i loro discorsi mediocri da impastatori di parole… insomma far valere gli argomenti che giustamente presenta e per cui si batte tutti i giorni. Invece no, ha fatto il loro gioco. Ha confermato che Grillo no sa e non può affrontare una discussione. Grillo che non fa parlare, Grillo che non ascolta. Purtroppo, tutto vero.

Mi spiace anche per la d’Amico. Si vedeva che era sincera, che ci teneva e che si stava impegnando. Ce l’ha messa tutta ed è stata tradita, proprio sulla fiducia. Beppe, così non si fa. Una caduta di stile è dire poco, direi proprio un comportamento spiacevole.

Non si fa, non così.

Beppe ha usato le buone intenzioni della d’Amico per far passare i messaggi che voleva, e poi è scappato. Una scelta sbagliata, perché così non convince nessuno. Non convince nessuno dei meetup e delle liste civiche, che già conoscono quello di cui ha parlato, quindi non ci ha detto nulla di nuovo. Non convince quelli che non lo sopportano, perché con il suo stile di presentazione a macchinetta ed incalzante non lascia respiro allo spettatore. E soprattutto non convince le milioni di persone che non lo seguono ma nemmeno lo evitano, la maggior parte degli italiani che avrebbero potuto farsi una buona impressione di lui finalmente, per vedere chi è davvero, una persona che dice cose giuste, ragionevole, che sa cosa dice e che è capace di argomentare quando serve.

Insomma, non ha convinto nessuno. Anzi, a me ha lasciato l’amaro in bocca. Beppe, se volevi sfruttare la visibilità e basta ti conveniva accettare una delle innumerevoli offerte passate. Così mi sei proprio caduto in basso.

Master in Giornalismo investigativo

Thursday, 2 April 2009
Pubblicato nella categoria LETTERE

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riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Roma, apertura delle iscrizioni al Master in Giornalismo investigativo e analisi delle fonti documentarie – Sconto del 15% per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti del Lazio.

Cos’è il giornalismo investigativo e quali tecniche, strumenti intellettuali e documentari prevede?

Il Master in giornalismo investigativo e analisi delle fonti documentarie (giunto alla sua seconda edizione) promosso dall’Associazione di Giornalismo Investigativo con il patrocinio dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e
di Reporters sans frontières delle testate il Riformista, Polizia e democrazia, la Scena del Crimine e Misteri d’Italia, è nato con l’ambizione di dare una risposta alla suddetta domanda e di contribuire allo sviluppo di un modello di giornalismo orientato all’analisi, accurata e documentata, delle dinamiche sociali e politiche.

Il corso, diretto da Paolo Cucchiarelli, esperto di giornalismo investigativo, è diviso in cinque moduli: insegnamenti propedeutici, analisi investigativa, analisi delle fonti documentarie; giornalismo scritto e on-line, giornalismo televisivo e tecniche di scrittura.

Tra i docenti del Master  vi sono alcuni tra i nomi di spicco del giornalismo d’inchiesta, della ricerca storica e archivistica, del mondo delle professioni giuridiche e delle professionalità criminologiche e investigative: come Loretta Napoleoni (autrice della nuova economia del terrorismo, esperto internazionale di terrorismo e
di economia dei sistemi criminali), Otello Lupacchini, magistrato e autore di un libro inchiesta sulla Banda della Magliana, Vincenzo Spagnolo, esperto di ‘Ndrangheta per Sat 2000, Giancarlo de Cataldo, Magistrato e autore del libro Romanzo criminale, Roberta Bruzzone, psicologa e criminologa, Mauro Falesiedi, dell’Europol, Giulia Barrera, archivista presso il Ministero per i beni e le attività culturali, Leandro Abeille della rivista Polizia e Democrazia, Fabio Mini, generale dell’esercito italiano, esperto di questioni militari e membro
del Comitato Scientifico della rivista di geopolitica Limes, Sandro Provvisionato, autore di Terra, Giovanna Boursier giornalista di Report, Marco Travaglio, e molti altri.

L’offerta formativa si completa con un percorso di stage e/o project work da svolgersi nelle
testate giornalistiche nazionali, regionali e locali.

Sono previsti da uno a tre mesi di stage e/o project work, presso le seguenti testate: il Riformista o, la Peacereporters, Narcomafie, La Scena del Crimine ed altre testate al momento in fase di conferma.

Le iscrizioni si aprono il 16 marzo 2009 e hanno termine il 20 Aprile 2009.

Il Master si svolgerà il venerdì e il sabato, per un totale di 339 ore di lezioni frontali. Le lezioni, partiranno l’8 Maggio 2009 e si concluderanno 18 Dicembre 2009 con  una pausa durante il mese di agosto.

Il costo del master è di 4.500 euro Iva compresa.

Per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti del Lazio, Stampa Estera e a Reporters sans Frontiéres è previsto uno sconto del 15%.

Info e iscrizioni: www.giornalismoinvestigativo.net

Master in Analisi delle fonti documentarie e giornalismo investigativo

giornalismoinvestigativo.netinfo@giornalismoinvestigativo.org

Leonida Reitano

Grillo di nuovo in tv: non è che se ne sentisse proprio la mancanza

Thursday, 2 April 2009
Pubblicato nella categoria ARTICOLI

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di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Un comico è bene valutarlo per quanto e come fa divertire: questa sera il Beppe nella sua performance televisiva in diretta si è rivelato poco divertente, e nemmeno profondo nelle sue esternazioni. Piuttosto banale, tanto per selezionare un aggettivo appropriato. Sempre i soliti elementi di verità conditi da una pseudo incazzatura di fondo, come se la veemenza delle stantie riproposizioni potesse compensare in misura adeguata la superficialità delle stesse. Con fuga strategica dal confronto e dalle confutazioni che potevano arrivare dai presenti in studio. Sputazzare sentenze e teorie velleitarie di fronte ad un pubblico consenziente è certamente più consono al personaggio.

Tanto per parlare di uno dei molti argomenti ricorrenti di Grillo, è vero che Telecom è stata parecchio inguaiata da Colaninno prima e da Tronchetti poi. Oltre ai pochi minuti di diretta di questa sera su La7, a Beppe non manca certo la possibilità per spiegarlo meglio sul suo blog, ma non lo fa. Seppure frequentandolo saltuariamente, su Telecom non ho trovato in quel sito qualcosa di più significativo di quanto ha trattato questa sera in televisione, la solita zuppa insomma. Eppure ci sarebbe parecchio da dire, accidenti se ce ne sta di materiale.

Giusto per fare un esempio, basterebbe ricordare che un tempo l’azienda pubblica Telecom Italia S.p.A. ha avuto più di 120.000 dipendenti, con bilanci sempre in attivo ed una efficienza e qualità del servizio da rimpiangere ai giorni nostri. C’è stato anche un periodo nel quale Telecom pensava di espandersi all’estero, magari comprando una certa compagnia spagnola dal nome Telefonica. Poi è arrivato un ragioniere, Colaninno, che si è comprato tutto senza sborsare cifre astronomiche. Anzi a dire la verità l’ha fatto con un grosso debito, subito ribaltato sull’azienda acquisita. Così, da una società pubblica con un normale indebitamento derivante da investimenti, bilanci attivi e dividendi sostanziosi per gli azionisti, una delle aziende più importanti del paese si è trovata a dover smaltire i debiti di chi l’aveva acquistata. Un capolavoro della finanza nostrana, con il beneplacito del potere (leggi D’Alema) e la giusta ma purtroppo perdente contrapposizione all’OPA dell’allora manager Bernabé.

Ma non è finita qui, magari lo fosse. Una volta che l’operazione finanziara, e non industriale come era stata contrabbandata dalla stampa, era ormai matura a sufficienza, ecco che senza preavviso il pacchetto di controllo passa di mano a Tronchetti Provera. Apparentemente una buona prospettiva per Telecom, che veniva acquisita da un industriale in luogo di un finanziere senza tanti scrupoli. Sicuramente un affare, in termini economici, per chi cedeva il controllo.

Le cose non sono però andate come gli ottimisti si aspettavano: nel giro di pochi anni gli stabili di proprietà Telecom venivano ceduti a Pirelli Real Estate, ovvero Tronchetti vendeva a se stesso il molto rilevante patrimonio immobiliare. Parte veniva ceduto per far cassa, la quasi totalità affittato a Telecom stessa che per ragioni logistiche ci doveva stare per forza. Spostare altrove le strutture tecniche di rete era quasi impossibile, sicuramente troppo costoso. Fra gli stabili ceduti, l’attuale palazzo che ospita  “Repubblica” in Via Cristoforo Colombo a Roma ed un grosso stabile in Piazza San Silvestro, sempre nella capitale, attualmente in uso alla Camera dei Deputati.

Così, in men che non si dica, una grande e solida società italiana con ambizioni di espansione all’estero si è trovata con il capitale sociale dimezzato, le proprie strutture immobiliari ridotte a zero, con decine di miliardi di Euro di indebitamento e con il personale ridotto a meno di 60.000 persone in pochissimo tempo. Grazie Tronchetti. Ridotti talmente male che la Telefonica spagnola, tempo fa nel mirino di Telecom come possibile preda di acquisizione, nel frattempo si è consolidata ed ha comprato la quota di maggioranza da Tronchetti, fagocitando l’azienda italiana di maggior interesse strategico. Un capolavoro.

Caro Beppe, scusa se ti do del tu ma non siamo così distanti in quanto ad età anagrafica: mi spieghi per favore perché stai sempre a battere sugli stessi temi quando parli di Telecom? Quello che dici è in gran parte vero, ma (tanto per usare un linguaggio a te consono, così mi comprenderai meglio) come cazzo è che non dici tutte le cose come stanno veramente e ti limiti a parlare sempre delle stesse stronzate? Se lo fai per un argomento che conosco un pochino, posso anche pensare che per abitudine ti limiti a scalfire la realtà delle cose. Tanto per arricchire la schiera dei tuoi seguaci e fottertene di loro e di quanti in apparenza stai citando, ad esempio.

Forse mi sbaglio, nel qual caso ti chiedo scusa e ti invito ad andare molto più spesso in tv. La prossima volta però fammi contento: non te ne andare appena ti confutano una virgola o ti pongono un quesito, potresti fare una figura migliore. Grazie

Amarcord: biografia non ufficiale di Beppe Grillo

Wednesday, 1 April 2009
Pubblicato nella categoria AMARCORD

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Dopo lunga assenza, Beppe Grillo torna questa sera in tv. Sarà in diretta da Bruxelles su La7 alle 21:10, ospite di Ilaria D’Amico in “Exit”. La puntata odierna sarà dedicata alla privatizzazione dei servizi pubblici. Alle 18:30 il Grillo multimediale sarà invece in video streaming sul suo sito www.beppegrillo.it,  sempre dalla capitale belga dove è in visita al Parlamento Europeo. La sua molteplice attività mediatica viene salutata a modo suo da Filippo Facci, che oggi pubblica una nota su Facebook: è una biografia critica pubblicata su Il Giornale circa un anno fa, buona lettura. (sf)

Giuseppe Piero Grillo è nato il 21 luglio 1948 a Savignone, Valle Scrivia. Secondo l’imbarazzante e compiaciuta agiografia «Beppe Grillo», forse il più insignificante libro pubblicato da Mondadori negli ultimi vent’anni, Beppe da Bambino «lanciava urli (sic) alla James Brown» e il padre commentava affettuosamente «Sembra una bestia. Tuo figlio è un idiota». La famiglia in ogni caso di base stava a Genova nel quartiere di San Fruttuoso della celebratissima Piazza Martinez, fucina di geni e lazzaroni dove piccoli leader minimi e massimi sedevano tra il bar Cucciolo e la fermata dell’autobus. Qualche bici, poche motociclette, le ragazze migliori della zona e in qualche modo anche il giovane Grillo, patito di calcio come tutti gli altri. «Aveva 12 anni e lo portai a fare un provino per una squadra locale sponsorizzata dalla Shell» racconta uno che c’era, «il problema è che il Giuse era una balena, lo chiamavamo Porcellino. Aveva un buon tocco di palla, ma l’allenatore ricordo che mi disse: ma chi mi hai portato?». Giocava a pallone anche Antonio Ricci, che era di Albenga e però a Piazza Martinez, assieme a Roby Carretta, era in qualche modo collaterale: «Ma Ricci non era molto portato. Mi ricordo che nella sua squadra c’era anche Donato Bilancia, il serial killer. Stava sempre al bar Cucciolo». E’ vero: ma era un tipo innocuo e lo chiamavano Belinetta. Del giro era anche Vittorio De Scalzi, quello dei New Trolls. L’unico davvero portato per il calcio pareva il Portento, Orlando Portento, il bello della compagnia nonché un talento comico che quasi tutte le fonti indicano come il vero mentore e inventore di Beppe Grillo, privo tuttavia della sua pervicacia. Portento giunse alla serie B, e nella Sampdoria dei giovani Marcello Lippi e Roberto Vieri, padre di Bobo, ma poi s’infortunò. E’ tornato clamorosamente alla ribalta, Portento, come cabarettista e come marito di quell’Angela Cavagna che ha partecipato al reality show La Fattoria. Un paio di fonti indicano come vero scopritore di Grillo, invece, il gallerista Luigi De Lucchi, fondatore de L’Instabile, localino di cabaret forse unico nel suo genere.

Il giovane Grillo tutto sommato stava economicamente benino. Si diplomò ragioniere all’Ugolino Vivaldi, che era un istituto privato per rampolli-bene con retta piuttosto esosa. S’iscrisse anche a Economia e commercio, ma presto la piantò lì. Il padre, Enrico, possedeva una fabbrica di fiamme ossidriche (la Cannelli Grillo) e lo reclamava, ma lui da principio non ci pensava neanche. Secondo il più interessante libro «Beppe Grillo» di Paolo Crecchi e Giacomo Rinaldi (Ariberti editore) «il ragionier Grillo prova a lavorare nell’azienda di papà con scarsi risultati, rimettendoci 200mila lire degli anni Sessanta». Altrimenti consigliato, per un certo periodo fece il piazzista di jeans per la Panfin, ma fu licenziato. Era un ragazzo normale, un po’ buffo, tifava Sampdoria, vestiva decentemente, aveva i jeans Sisley che furoreggiavano, andavano di moda le basette lunghe che lui però non aveva: le improvvisava schiacciandosi giù i capelli col sapone. Non era bello, ma sopperiva con la simpatia. Era secondogenito e un po’ il cocco di casa, suo padre non disdegnava di prestargli la Fiat 1100 che per rimorchiare si rivelò fondamentale, anche se aveva il difettuccio del pesare come una balena e quegli incisivi molto sporgenti: e con le ragazze era un problema, dicevano che baciandolo le pungeva. La soluzione fu drammatica: un giorno, alla discoteca Peppermint che era la più importante di Genova, ebbe la pensata di tampinare la ragazza di un certo Luciano Rovegno, che non era propriamente uno stinco di santo: e infatti reagì dandogli una tale testata da fargli saltare tutti gli incisivi che restarono lì, sparsi per terra. Glieli rimisero. Dritti.

La celebre tirchieria di Grillo (parsimonia, si dice a Genova) in quel periodo prende le forme di incontrollabili leggende. Ben quattro presunti testimoni raccontano che girasse con una tuta appositamente senza tasche per non avere soldi da spendere. All’epoca fumavano tutti, ma lui prendeva le Hb nel pacchetto da dieci. Non pagava mai niente, non offriva mai niente, e questo lo dicono davvero tutti: occorre tener conto che dei genovesi che lamentano la tirchieria altrui sono come dei napoletani che accusassero qualcuno d’essere chiassoso. «Non era tirchio, era malato» racconta un suo ex sodale: «”Offrì qualche caffè ogni tanto, risparmierai col cardiologo” gli dicevamo sempre». Più avanti, nel 1980, la concessionaria Fiat Piave di Genova gli regalò una Punto: lui si lamentò perché non aveva l’autoradio. Altra leggenda vuole che nella sua villa di Sant’Ilario abbia frutti e ortaggi di plastica, e la citata biografia di Crecchi e Rinaldi conferma tutto: «Era guardato con diffidenza dai contadini perché rifiutava ostinatamente di coltivare le sue fasce di terra, ma un giorno ha avuto un’intuizione delle sue sistemanfo ortaggi di plastica turgidi e coloratissimi tra gli ulivi e i pitosfori».

Andrea detto Andreino, il fratello minore, ha raccontato alla Stampa d’avergli prestato un completo di gabardine nero salvo riaverlo completamente liso. «Mi deve ancora restituire una giacca a soffietto che gli prestai negli anni 70» racconta invece Portento, “e mi deve ancora pagare una camicietta da donna che regalò a un’amica, dice l’ex amico che ai tempi aveva un negozio di abbigliamento. Antonio Ricci ha raccontato che «Io sparecchiavo, e se buttavo via delle briciole Beppe le recuperava dalla spazzatura e il giorno dopo ci impanava la milanese». E’ stata invece la seconda moglie di Gillo, Parvin Tadjk, intervistata a Crozza Italia su La7, a parlare degli snervanti controlli del marito sugli scontrini della spesa. Dopo la balzana ipotesi che Beppe Grillo si sia fatto crescere la barba per risparmiare sulla lamette, altro ritornello genovese, la carriera di Grillo entra nel vivo.

Le prime tracce visive di un Beppe Grillo volontariamente comico sono del 1970: un cortometraggio in super 8 diretto da Marco Paolo Pavese e scritto e interpretato e persino doppiato dal solito Portento; lì si vede il primo Grillo, imberbe. Italia Uno ne mandò in onda degli spezzoni qualche anno fa. Ma Grillo aveva cominciato già da tempo con seratine di cabaret accompagnandosi con la chitarra: circolini, qualche discoteca, molte feste e festicciuole politiche per liberali e socialdemocratici e democristiani e socialisti. Socialisti, sì. «Gl’importava zero della politica» dice ora Portento, «era un frivolo, un cinico», anche se Grillo ogni tanto raccontava di qualche simpatia familiare per i liberali di Giovanni Malagodi. L’avvocato Gustavo Gamalero, boss dei liberali genovesi, lo ingaggiò per alcune cene elettorali prima delle elezioni regionali: 15mila lire a serata. Più di 20mila, in giro, non se ne spuntavano: per questo gli amici lo aiutarono dopo che la famiglia chiuse o quasi i rubinetti. Lo aiutava qualche giovane imprenditore che voleva mettersi in vista; lo aiutava la bella ragazza con la quale stette per quasi dieci anni, Graziella, che vanamente cercò di farsi impalmare; lo aiutava qualche giornalista cui Grillo pietiva sempre qualche buona recensione, e tra questi ha memoria buona Vittorio Siriani, ai tempi al Corriere Mercantile. Insomma lo aiutavano tutti, il che va benissimo: ma ce ne fosse uno che non lamenti ingratitudine. In quel periodo, comunque, i localini di cabaret furoreggiavano: il Kaladium dietro la chiesa di Santa Zita, oppure il Meeting, o ancora L’Instabile di via Trebisonda dove si esibì anche Antonio Ricci o Enzo Braschi. L’Instabile apparteneva al citato Luigi De Lucchi, mentore di Grillo che tuttavia una sera dovette avvedersi dell’ormai storica ingratitudine del suo ormai ex pupillo. Il 27 dicembre 1977 lo aveva invitato all’Instabile, oltretutto per consegnargli un premio, e centinaia di spettatori aspettavano trepidanti. Ma niente: Grillo telefonò e fece sapere che non ce la faceva, era stanco. Disastro: De Lucchi dovette rimborsare i biglietti. Salvo accorgersi, il giorno dopo, che Grillo in realtà aveva preferito esibirsi in un altro localino, il P4, dove lo pagavano di più.
Il vero problema di Grillo, all’epoca, è che non aveva ancora un repertorio tutto suo: prendeva a destra e a manca. Il gran suggeritore rimaneva Portento, per il resto rubacchiava qua e là: cantava sempre, tra altre, le canzoni di Pippo Franco che all’epoca nessuno conosceva. O quasi: “Gli organizzai un provino con un boss di Telemontecarlo, il ragionier Moracca, e il Giuse cantò due canzoni con la chitarra», racconta Portento, che certo non nasconde una quantomeno forte antipatia per Grillo, «poi Moracca mi prese da parte e mi disse: “Orlando, ma è questo il fenomeno? Uno che canta le canzoni di Pippo Franco?”. Ai tempi Grillo non aveva niente di suo: solo la faccia, i denti digrignati».

Nei primi anni Settanta, per cercar di sfondare, Grillo provò a trasferirsi a Milano. Pagavano anche 25mila a serata, da quelle parti. Si fece crescere la barba. Andreino, il fratello, tempestò tutti di telefonate affinchè lo convincessero a tornare: «Fallo provare ancora un anno, è bravo» gli rispose Portento. Poi, più o meno al terzo anno milanese, la grande occasione: al localino «La Bullona» venne Pippo Baudo con una commissione Rai. Grillo s’inquietò, chiamò Portento, si rispolverarono vecchie battute. La sera fatidica Portento sbarcò alla «Bullona» con una sostanziosa claque e tutto scivolò liscio, o quasi. Grillo, sul suo sito, ha scritto che quella sera “improvvisò un monologo”, ma non improvvisò niente. Anzi rischiò, perché Baudo fu curiosamente attratto proprio da Portento che s’agitava dalla platea e lo additava: «Ma dove si veste quello? All’Italsider?». Più tardi, anche se il provino del Giuse era andato benissimo, attorno a Portento si formò un capannello dove spuntava il testone di Baudo, e Grillo non resse la scena. Se ne andò, ingelosito. Una scena analoga a quella raccontata da Dino Risi a margine del film «Scemo di guerra», anno 1984: «Già depresso perché ridotto al ruolo di spalla», ha detto il regista al Corriere della Sera, «Beppe si ingelosì del rapporto speciale che avevo con Michel Coluche: e così, per ripicca, fece la mossa classica dell’attore indispettito: e si diede malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché qualcuno non gli fece sapere che se non fosse tornato avrebbe dovuto pagare una penale. Parola magica: da buon genovese si ripresentò sul set». Il controllo legale chiesto dalla casa cinematografica ebbe buon gioco. Grillo girò altri due film, tutti purtroppo sfortunati e distrutti dalla critica: Cercasì Gesù di Luigi Comencini e Topo Galileo di Francesco Laudadio. A Dino Risi è rimasto il dente avvelenato: «La cosa che gli è riuscita meglio è la svolta antipolitica, anche perché è più attore oggi di quando cercava di farlo per davvero. Attenzione, però: non c’è niente di vero nel personaggio che interpreta».

Qui ricomincia l’avventura. E qui si perfeziona la straordinaria attitudine di Grillo di mollare tutti quelli di cui non ha più bisogno. Normale? Dipende. Altri personaggi come Paolo Villaggio e Tullio Solenghi, a Genova, te li raccontano come comunque legati ad amici e radici genovesi: Grillo no. Trovare qualcuno che te ne parli bene, in città, è un’impresa. Per cominciare mollò la fidanzata. Altri non lo ricordano volentieri: «E’ l’essere piu’ falso e opportunista che abbia mai conosciuto in vita mia» racconta il presentatore Corrado Tedeschi, «e non ha neanche un pizzico di umanità. C’é stato un periodo che ci siamo frequentati insieme alle nostre compagne, pensavo che ci fosse stato un minimo di amicizia, poi seppi che parlava malissimo di me». Pare che Walter Chiari non avesse un’opinione molto diversa, ma vallo a sapere. Anche il rapporto con Portento cominciò ad allentarsi, ma resistette perché ancora utile: dopotutto era stato Portento a scrivere “Te la do io la Francia” ancora nel 1969, ben prima dei fortunati «Te la do io l’America» e «Te lo do io il Brasile»: «Dovevamo anche fare “Te la do io Reggio Calabria”, perché io sono di Bagnana Calabra, ma non se ne fece più nulla» dice l’ex amico. Grillo ormai era lanciatissimo. Nel 1977-78 sulla Rai partecipò a «Secondo voi» e nel 1979 a «Luna Park», stesso anno in cui esordì come presentatore a «Fantastico» assieme a Loretta Goggi, programma di Antonio Ricci. Di lì in poi potrà scegliersi nuovi autori che gli scrivano le battute: Ricci medesimo, Stefano Benni, Michele Serra. E’ il successo vero e nondimeno i soldi veri che il fratello Andreino (più grande di lui, in realtà) prese a gestirgli anche perché il Giuse non si fidava di nessuno. La Cannelli Grillo era stata ceduta agli stessi operai che ci lavoravano, e cominciarono altri investimenti. L’attico di Corso Europa venne trasformato in un centro benessere (massaggi, ecc.) curato da certo professor Mario Miranda, ma l’impresina fallì quasi subito. Ben prima di acquistare una villa al Pevero, in Costa Smeralda, acquistò tre appartamenti nel residence Marineledda nel golfo di Marinella, dove Silvio Berlusconi ha la sua famosa villa. Ottenne forti sconti, Grillo, promettendo che sarebbe venuto a fare delle serate di cui non si ha notizia. Fece tutto col fratello, da cui rileverà la maggioranza assoluta (99 per cento) dell’immobiliare Gestimar di Genova. Cominciò anche la sfilza delle belle auto, in ordine sparso: Porsche, Chevrolet Blazer, secondo alcuni una Maserati, e sicuramente, più avanti, una Ferrari 308 bianca e una Ferrari Testarossa (rossa, chiaro) che terrà parcheggiata davanti alla discoteca Davidia di Genova, coperta da apposito telone. Prese persino una moglie: a Rimini conobbe la proprietaria di una pensioncina, Sonia Toni, e in breve si sposarono. A avranno una figlia, Valentina, e Davide, nato purtroppo con dei seri problemi motori. Il girovagare di Grillo tra i residence di Roma e Milano, tuttavia, renderanno le cose difficili molto presto. Su un importante quotidiano nazionale, pochi anni dopo, la moglie rilascerà un’ intervista in cui accuserà il marito di non andarla a trovare praticamente mai e soprattutto di lasciarle sempre pochissimi soldi. Ma oggi i rapporti sono ottimi: per quanto, da ex candidata per i Verdi a Rimini, si è vista negare il famoso bollino grillesco che suo marito rilascia alle liste civiche. Si è arrabbiata molto.

Il tardo 1981 e non il 1980, come erroneamente riferito nel suo blog, è l’anno in cui il comico diviene protagonista di un episodio destinato a segnarlo per sempre. Il 7 dicembre, da Limone Piemonte dove quell’anno scarseggia la neve, decide di partirsene con alcuni amici alla volta di Col di Tenda, un’antica via romana tra la Francia e la Costa ligure che per secoli è stata attraversata da eserciti e mercanti: in pratica sono delle strade sterrate militari che portano a delle antiche fortificazioni belliche. L’idea è sua, e fa niente se la strada è chiusa al raffico. Con lui ci sono i coniugi Renzo Giberti e Rossana Guastapelle, 45 e 33 anni, col figlio Francesco di 8, oltre a un altro amico, Alberto Mambretti. Per farla breve: quel viaggio, d’inverno, fu una follia. E’ una strada d’alta quota non asfaltata: non a caso altri amici e un’opportuna segnaletica l’avevano vivamente sconsigliato. Grillo aveva uno Chevrolet Blazer scuro, un costoso ed enorme fuoristrada rivestito esternamente di legno e peraltro inquinantissimo, e pensava di potercela fare. Un quinto amico, avvedutosi del pericolo, decide a un certo punto di scendere. Finì malissimo: l’auto sbandò su un ruscelletto ghiacciato e scivolò verso una scarpata; Grillo riuscì a scaraventarsi fuori dall’abitacolo, ma gli altri no: i due coniugi col figlio piccolo morirono, l’altro amico rimane gravemente ferito. Sconvolto, Grillo si rifugiò nella casa di Savignone che divideva col fratello.

Aspettando il processo riprese vorticosamente a lavorare. E qui c’è un episodio, raggelante, raccontato in parte dall’unità del 21 settembre scorso. Grillo accetta di partecipare alla Festa dell’Unità di Dicomano (nel fiorentino) per un cachet di 35 milioni. La sera dello spettacolo però diluviava, e gente pochina, sicchè di milioni ne incassarono 15. Flop. I compagni di provincia cercarono di ricontrattare il compenso, ma niente da fare: neppure una lira di sconto. Della segreteria comunista, tutta giovanile, l’unico che aveva una busta paga si chiamava Franco Innocenti, un 26enne che dovette stipulare un mutuo ventennale nonostante avesse la madre invalida al cento per cento.
Poi vennero i film. Aveva appena ultimato «Te la do’ io l’America» e nel 1982 fu protagonista di «Cercasi Gesù» diretto da Luigi Comencini. «Te lo do io il Brasile» invece l’attendeva nel 1984, anno in cui va a processo per l’omicidio colposo.
Emblematico l’interrogatorio in aula: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». Il 21 marzo, dopo una lunga camera di consiglio, Grillon venne assolto dal tribunale di Cuneo con formula dubitativa, la vecchia insufficienza di prove: questo dopo aver pagato 600 milioni alla piccola Cristina di 9 anni, unica superstite della famiglia Giberti. La metà dei soldi forono pagati dall’assicurazione: «La stampa locale, favorevolissima al comico, gestì con particolare attenzione la fase del risarcimento» racconta il collega Vittorio Sirianni. Il Secolo XIX, quotidiano di Genova, s’infiammo con un lungo editoriale a favore dei giudici e dell’avvocato Pasquale Tonolo, ma l’entusiasmo fu di breve durata: l’accusa propose Appello e venne fuori la verità, ossia le prove: il pericolo era stato prospettato, oltretutto, da una segnaletica che nessun giornalista frattanto era andato a verificare. La strada era chiusa al traffico.

La Corte d’Appello di Torino, il 13 marzo 1985, lo condannò a un anno e quattro mesi col beneficio della condizionale, ma col ritiro della patente: “Si può dire dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (…). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non potesse evitare di finirci sopra», sicchè l’imputato «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» ma non lo fece, anzi decise «consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione».
Non andrà meglio in Cassazione, l’8 aprile 1988: pena confermata nonostante gli sforzi dell’avvocato Alfredo Biondi, improvvidamente inserito da Grillo nella lista dei parlamentari condannati e dunque da epurare: il reato fiscale di Biondi in realtà è stato depenalizzato e sostituito da un’ammenda, tanto che non figura nemmeno del casellario giudiziario, diversamente dal reato di Grillo che perciò, secondo la sua proposta di non candidatura dei condannati, non potrebbe candidare se medesimo.

Ma la vita continua. Nel 1986, poco in linea con certe sue intransigenze future, fu protagonista di alcuni spot per gli yogurt Yomo: «Ci hanno messo 40 anni per farlo così buono», diceva indossando una felpa con scritto «University of Catanzaro». «Lo yogurt è un prodotto buono», si difese lui. Per quella pubblicità vinse un Telegatto. E’ il periodo in cui andò a vivere a Sant’Ilario, la Hollywood di Genova: una bellissima villa rosa salmone, affacciata sul Monte di Portofino, con ulivi e palme e i citati frutti e ortaggi di plastica. Non fece scavare una piscina, ma due: cosa che piacque poco ai vicini e soprattutto al dirimpettaio Adriano Sansa, già poco entusiasto del terrazzo di 100 metri quadri che Grillo fece interamente ricoprire. Qualche modesto provincialismo anche all’interno, tipo la foto dilui avvinghiato a Bill Clinton appoggiata sopra il pianoforte.
Poi c’è la telenovela dei pannelli solari, pardon fotovoltaici. L’ex amministratore delegato dell’Enel, Chicco Testa, si è espresso più volte: ««Grillo diceva che a casa sua, con il solare, produceva tanta energia da vendere poi quella in eccesso. Ma feci fare una verifica e venne fuori che da solo consumava come un paesino». In effetti si fece mettere 20 kilowatt complessivi contro i 3 kilowatt medi delle case italiane, sicchè consumava e consuma come 7 famiglie. L’Enel, dopo varie lagnanze di Grillo, nel 2001 decise di permettere l’allacciamento alla rete degli impianti fotovoltaici (come il suo) e addirittura di rivendere l’elettricità in eccesso all’Enel stessa: quello che lui voleva. Il suo contratto di fornitura, con apposito contatore, fu il primo d’Italia. E da lì parte la leggenda dell’indipendenza energetica di Grillo: in realtà il suo impianto di Grillo è composto da 25 metri quadri di pannelli e produce al massimo 2 kilowatti, buoni per alimentare il frullatore e poco altro.
A ogni modo le polemiche ambientaliste di Grillo ebbero a salire proprio in quel periodo: «Anche Chicco Testa dovrebbe essere ecologista, e tutto quello che sa dire è che ci vuole più energia quando il 90 per cento di energia di una lampadina va sprecata. Non si tratta di produrre più energia, ma di risparmiarla». Lui intanto cosumava come una discoteca.

Secondo la vulgata internettiana, nel 1986, Grillo fu cacciato per sempre dalla Rai dopo una famosa battuta sui socialisti: «Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?». Ma è una sciocchezza, anche se è vero che Craxi si arrabbiò moltissimo e che Pippo Baudo si dissociò in diretta: girarono le scatole persino ad Antonio Ricci. Ma Grillo in realtà deve ancora inscenare la performance migliore di sempre (Sanremo 1989, 22 milioni di spettatori) e in ogni caso tornerà in Rai nel novembre e dicembre 1993: due recital dal teatro delle Vittorie dove attaccherà le speculazioni telefoniche del numero 144 e tirerà in ballo Biagio Agnes, chiamandolo «magnaccia» e procurandogli involontariamente, per strada, una serie di minacce fisiche da parte di un gruppo di grillini ante litteram. Ma soprattutto, come rilevato da Libero il 3 ottobre scorso, Grillo metterò il suo primo bollino elettorale proprio su Silvio Berlusconi: «Sono da mandare via, da mandare via questa gente qua, da votare gli imprenditori, ecco perché sono contento che è venuto fuori Berlusconi: lo voglio andare a votare».

Nella primavera successiva Grillo modifica il suo giudizio e lo spruzza di una venatura appena megalomane: «Candidarmi sarebbe un gioco da ragazzi, prenderei il triplo del Berlusca» dice a Curzio Maltese su Repubblica. «Mi presento in tv e dico: datemi il vostro voto che ci divertiamo, sistemo due o tre cose. Un plebiscito». Già covava.

Infine, a chiudere provvisoriamente questa cronistoria, qualche mistero e qualche numero. Mistero, per esempio, su come sia stato possibile che Beppe Grillo si sia risposato nella chiesa di Sant’Ilario con la benedizione di Don Glauco Salesi (questo recita un’Ansa del 21 dicembre 1996) giacchè era divorziato e così pure lo era la neo-sposa, Parvin Tadjk, iraniana, colei che due anni prima gli aveva dato il figlio Rocco. Ci fu qualche polemicuccia: il mensile Vita Pastorale giunse a chiedersi se il matrimonio potesse definirsi cristiano, viste le battute di cui Grillo aveva infarcito la cerimonia. L’illustre teologo Silvano Birboni si arrabbiò alquanto. Facezie.
Altro mistero, data la vena anticapitalista, è come abbia potuto presenziare a pagatissime convention Fiat e di altre grosse aziende. Nondimeno, nel 2005, resta da capire come abbia potuto scrivere sul suo blog d’avere solo “due case, una a Genova e una in Toscana” (quest’ultima in effetti è a Bibbona, Livorno: circa 380 metri quadri e 5.600 metri quadri di terreno) quando risulta intestato a lui anche l’appartamento di Rimini dove stava con l’ex moglie e senza contare che la Gestimar, la sua società immobiliare gestita dal fratello, possiede i tre citati appartamentini a Marinelledda, una villa a Porto Cervo, due locali più garage a Genova e infine un esercizio commerciale a Caselle, oltrechè un garage in Val d’Aosta. «La barca l’ho venduta» ha scritto ancora Grillo sul suo blog: ma se è quella che diciamo noi, il panfilo «Jao II» di 12 metri, in realtà risulta affondato alla Maddalena il 5 agosto 1997: c’erano a bordo anche Corrado Tedeschi con la sua compagna Corinne. Finì su una secca peraltro segnalatissima e fu salvato dalla barca dei Rusconi, gli editori. Grillo fu indagato per naufragio colposo, procedimento archiviato. Un’altra volta, il 29 maggio 2001, riuscì nell’impresa si insabbiare un gommone nel mar ligure, alla foce del Magra: con lui c’era Gino Paoli, fu una giornata senza fine.

Del condono tombale chiesto e ottenuto per due anni e per due volte dalla citata Gestimar, dal 1997 al 2002, diamo conto velocemente. Fu certo lecito, ma non obbligatorio. Il problema è che era esattamente il genere di condono contro il quale Grillo si era scagliato più volte, e in particolare con una lettera indirizzata al direttore di Repubblica risalente al giugno 2004. Se vorrà ne parlerà Grillo medesimo, tra un vaffanculo e l’altro.

Siamo tutti Maniaci

Tuesday, 31 March 2009
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pino-maniaci

di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Bellissimo questo titolo, anche per questo non è mio: è copiato da lastampa.it e credo non ci sia inizio migliore ad un articolo che vuole esprimere piena solidarietà ad un operatore dell’informazione, Pino Maniaci, che è stato rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione, quella di narratore di fatti allante comune.

Le notizie lo definiscono direttore di TeleJato da Partinico, provincia di Palermo. In realtà, come riportato da Apcom e da La Stampa, è un imprenditore edile che ha rilevato nel 1999 l’emittente televisiva, facendone uno strumento di denuncia del malaffare. Sarebbe stato molto più comodo, da imprenditore, fare affari con la mafia.

Invece questo signore baffuto, asciutto e dagli occhi vivi e brillanti ha deciso che c’era bisogno di qualcuno che parlasse dalla televisione delle cose losche che avvengono nella sua terra. Scelta pericolosa, dalla quale non è receduto nonostante le contrarietà si siano manifestate molto rapidamente. Minacce ed intimidazioni non sono mancate, tanto da arrivare ad essere sotto tutela da parte dei Carabinieri. Lo scorso anno gli hanno bruciato l’auto, come riporta repubblica.it, e non è ancora finita. Un giorno arriva in procura una denuncia, sembra anonima, nella quale si fa notare che Maniaci commenta le notizie da TeleJato senza avere la tessera da giornalista. La magistratura indaga, ed oggi lo rinvia a giudizio per esercizio abusivo della professione.

A questo punto, per solidarietà ed amore per la giustizia sono costretto ad auto denunciarmi: in gioventù ho praticato pure io questa criminosa attività, senza avere titoli accademici o tesserini di qualsivolglia ordine. Per anni ho letto notizie di natura giornalistica attraverso i microfoni di emittenti radiofoniche private. Ho intervistato personaggi politici, una volta addirittura l’On. Cicchitto, quando era socialista. Oltre a vari cantanti e musicisti e discografici. Pure Pippo Baudo, a Chianciano Terme nel corso del Girofestival,  un episodio di una gravità inaudita!

E non finisce qui: ho perseverato anche fuori della radio a commettere il reato, sono andato addirittura in una televisione privata come speaker del TG ed a condurre servizi esterni con un operatore! Signori censori e magistrati, rinviatemi a giudizio ve ne prego! Forse conservo ancora addirittura una video cassetta di un telegiornale che ho condotto, ho qui le prove: mandate i ROS, i RIS, CSI, NCIS, FBI, chi vi pare ad arrestarmi. Per l’attività sul blog invece nulla da segnalare, per la Cassazione i siti di discussione online non sono assimilabili agli organi di stampa.

Sulla vicenda se ne parla praticamente ovunque in rete, segnalo qualche link interessante: linklinklinklink

Hanno fatto fuori Paolo Mieli dal Corriere. E’ l’inizio del giro di vite finale sull’informazione di carta e di schermo

Tuesday, 31 March 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

paolo-mieli

di Paolo Guzzanti, da Il Giornale del 31 marzo 2009 e dal blog www.paologuzzanti.it

Il controllo del rubinetto della verità vale più del controllo su quello del petrolio. Vi racconto il “mielismo” come l’ho conosciuto io

Il mielismo, dunque. Questa curiosa categoria del giornalismo su cui si sono scritte parole inutili, o magari solo banali. Lui, Paolo Mieli, lascia la direzione del Corriere e poiché io lo stimo moltissimo e gli voglio bene, me ne dispiace. Non che abbia condiviso tutto, anzi. Ma lo stile di Paolo è ciò che ha creato il nuovo giornalismo moderno, dopo la modernizzazione sontuosa e audace di Repubblica ai tempi in cui non avevano ancora rinchiuso Scalfari nel magazzino delle scope a scrivere fondi domenicali. La Repubblica di Ezio Mauro, sibaritica e rozzamente partigiana per quanta fuffa le venga inzeppata dentro, non ha più nulla da insegnare, da anni. Il Corriere della Sera di Paolo Mieli, sì. Anche oggi che Mieli lascia. Io li ho avuti tutti e tre come direttori e come amici, Eugenio, Paolo ed Ezio, anche se con il primo e con l’ultimo non è finita bene per motivi politici.

Paolo è stato estromesso dal Corriere e gli succede Ferruccio de Bortolis che fu anche colui che gli succedette una prima volta, quando Mieli lasciò una prima volta, e poi dopo Stefano Folli. Sembrano, messi in fila, più che nomi di persone, cavallini della giostra. Tu ti fermi e li vedi passare, uno dopo l’altro, sempre loro, cambiano solo i finimenti.

Mieli viene dimesso dal Corriere per una questione di assetti ed equilibri societari e padronali. Nulla, ma proprio nulla, che abbia a che fare con l’informazione, la sua qualità, la sua onestà, la sua completezza, il suo ruolo di servizio pubblico. Le banche, i debiti, i poteri, gli equilibri, i salotti, i tavoli, i miliardi, gli interessi, tutto un giro di valzer della cui comprensione gli esseri umani, i cittadini utenti, sono graziosamente esentati: apprendono che Mieli lascia il Corriere come potrebbero apprendere che è caduta una slavina in Val Camonica. Un fatto che non richiede spiegazioni.

Noi, io, le spiegazioni non le sappiamo e non possiamo darle.

Posso dire che tutto ciò non mi piace, democraticamente parlando, perché ormai sono diventato un settario fanatico della tutela della libertà, che ha come fondamento e presupposto, condizione necessaria e anche sufficiente, l’accesso alla verità, alla verità semplice, non filosofica, alla verità del buon giornalismo, per cui i fatti sono i fatti ed andarono così e così. L’uscita di Mieli apre il gioco della sedia e del cerino perché se De Bortoli lascia il Sole 24Ore e Riotta va al suo posto, lascia scoperta la poltrona del direttore del TG1 e si fanno i nomi che girano e che non si dicono perché sono nomi che girano, ma girano un sacco di nomi. Siamo alla vigilia, anzi all’inizio di uno tsunami delle direzioni dei giornali perché la legge che regola il rapporto fra verità e consenso è nota e dunque il rubinetto della verità vale più di quello che regola il petrolio.

Il mielismo dunque è in crisi. Spero bene che Paolo Mieli torni a darsi al giornalismo e non soltanto agli studi storici che fecero di lui, allievo di De Felice, un eretico dubbioso e fecondo della sinistra radicale e uno studioso tanto serio quanto disincantato.

Negli ultimi tempi il suo Corriere mi sembrava molto filogovernativo e la cosa mi sorprendeva, ma anche molto corretto. Mieli, non dimentichiamolo, fu quello che face di fatto cadere il primo governo Berlusconi dando l’annuncio del famoso avviso di garanzia di Napoli che provocò il ribaltone. L’annuncio di garanzia finì in una vittoria giudiziaria di Berlusconi, ma intanto il governo cadde e Paolo aveva in pugno la pistola fumante.

Un giorno che venne a Roma passeggiammo per ore intorno allo stesso blocco di isolati parlando del futuro e io gli dissi che volevo dare l’anima a una destra liberale. Spiegai che era per questo che stavo con Berlusconi: perché aveva promesso una rivoluzione liberale di cui, questa la mia opinione malgrado le recenti dichiarazioni, non ha tuttora la più pallida idea. Mi disse che ero matto, ma che ero anche eroico. Paolo è un uomo che sa valutare i giochi del potere, sa sedere a tavola col potere, sa fare la sua parte e tuttavia restare se stesso. Ma capisce le persone, è un sentimentale, sa ridere ed è spesso triste. Dicono che se ne va anche perché avrebbe rifiutato di avviare un piano micidiale di ristrutturazione del giornale che manderà a casa gran parte del personale.

“Il Corriere è una nave enorme e tu non puoi metterti in cabina e guidarla come se fosse un motoscafo. Devi sempre stare in mezzo ai tuoi capitani e nostromi e mettere insieme con loro la rotta. Poi, un giorno dopo l’alto, introduci piccole correzioni, miglioramenti, introduci novità e alla fine cambi la nave e la rotta”.
Così mi disse quando arrivò al Corriere lasciandomi alla Stampa dove mi aveva portato salvandomi da Repubblica dove ormai per me l’aria era irrespirabile.

Alla Stampa lasciò il suo condirettore Ezio Mauro con cui aveva stipulato un patto durante uno storico viaggio a Pechino, quando i due decisero una staffetta fra Repubblica, Corriere e Repubblica. Anche l’Unità, in seconda fila, era della partita, quando Walter Veltroni ne era il direttore e Paolo con Ezio, per telefono e per fax gli disegnavano la prima pagina concordando insieme i titoli di apertura, di spalla e di taglio. Ogni giornale si lasciava poi una notizia buffa e fuori concorso per un taglio basso. Mieli per un certo periodo governò l’informazione intera, anche perché RaiTre seguiva Repubblica e i telegiornali facevano la loro scaletta basandosi su quello che i tre quotidiani maggiori, Corriere Repubblica e Stampa, decidevano. La televisione seguiva la grande stampa e la piccola stampa seguiva la televisione e tutti insieme seguivano Paolo Mieli. Naturalmente parlo di cose che ho visto con i miei occhi e anzi alle quali ho partecipato. In fondo c’era una centrale direttiva ed era quella di Paolo e centrali succursali che si attenevano al canone Mieli.

Ma soltanto Paolo Mieli sapeva fare il giornale seguendo la filosofia del mielismo che consiste nel costruire un percorso ideale per il lettore, fatto di tappe faticose e tappe di riposo. Si disse che aveva messo in minigonna il Corriere, ma non è così. Paolo Mieli è curioso e pettegolo, Vuole sapere sempre tutto di tutti e ha sempre in mente la geografia delle unioni di ogni genere, a cominciare da quelle amorose. Nessun flirt redazionale nel raggio di mille chilometri è sfuggito al suo monitoraggio, così come nessun libro importante, svolta filosofica, scientifica, economica.

Il suo giornale era fatto di panchine, viste sul parco, trailer, minuzie, notizie piccanti, in una salsa mielesca che rendeva digeribili alcune mattonate di natura culturale o storica. Le pagine della cultura diventarono il palcoscenico della storia e della storiografia, di ogni revisionismo onesto e contropelo. Io da lui ho imparato l’arte della sorpresa: bisogna sempre comparire dove non ti aspettano, mai essere dove tutti ti pensano. Essere in anticipo, sparigliare, provocare e sanare la ferita, saziare appetiti dopo averli coltivati, insieme ad un naturale spirito di eleganza e di piacere per il graffio, ecco il mielismo come l’ho capito io. Non cito i grandi nomi di chi lo ha affiancato, salvo quello di un altro grande amico e studioso come Pigi Battista, perché il teatro giornalistico di Mieli può usare tutti e nessuno, cambiare attori e scenari, fornendo sempre uno spettacolo di qualità.

Naturalmente poi il mielismo è stato copiato, banalizzato, involgarito e lo stesso Corriere non ha più saputo ritrovare lo stesso canone, il che fa parte della legge dell’evoluzione. Oggi Paolo Mieli non è più al Corriere e quella formula magica se ne va con lui non perché sia misteriosa, ma perché solo lui sa confezionarla nella giuste dosi. Ora l’intera informazione italiana sarà strappata e contorta, convulsamente, e avremo una buona danza di nomine, voci, pettegolezzi, delusioni e trovate dell’ultime ore. Se ci fosse ancora Paolo al comando ci sarebbe stato di che divertirsi.

Inizia il valzer: nuovi direttori alle testate importanti della carta stampata, presto le nomine anche in Rai

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria ARTICOLI

ferruccio-de-bortoli

di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Credo di essere abbastanza monocorde su almeno una cosa in questo blog: la denuncia della scarsa qualità dell’informazione nel nostro paese. E non me ne pento affatto, la coscienza civile di una nazione si forma proprio per mezzo dell’informazione: per sapere come stiamo ridotti noi e tirare le somme basta guardarsi intorno.

Voglio augurare a tutti, me compreso, che le nuove designazioni dei direttori in due delle testate storiche della carta stampata lascino preludere a qualcosa di nuovo. Ad esempio quella di Ferruccio De Bortoli, nominato poco fa nuovo direttore del Corriere della Sera, il maggiore quotidiano italiano. I migliori auguri per il suo lavoro, conoscendo quanto ha fatto finora non ho dubbi sulla qualità che la testata saprà esprimere sotto la sua guida.

Al suo posto al Sole 24 Ore dovrebbe andare Gianni Riotta secondo adnkronos.  Una figura carica di professionalità e proveniente dal TG1. Chissà che non trovi lo spazio giusto per esprimerlo, fare il direttore di testata in Rai e mantenere la poltrona ad un anno dal cambio di colore politico del governo la dice lunga su quanto Riotta sia bravo a bilanciare la testata televisiva più importante. Auguri anche a lui.

Grandi nomi per grandi testate, spero proprio che le prossime nomine alle testate della Rai vengano attuate in base a criteri di valore professionale. Mi auguro non sia una vana speranza.

ARGENTINA, NON SCORDIAMOCENE!

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria NONSOLOSOLDI

di Gianluigi De Marchi per dituttounblog.com

La crisi finanziaria mondiale ed i recenti crack (Lehman, polizze “islandesi”) hanno fatto scivolare in secondo piano il caso delle obbligazioni argentine vendute a piene mani dalle banche a cavallo degli anni 2000, quando sapevano bene in che situazione si trovasse lo Stato sudamericano.

Il rischio di dimenticarsi di questa grande truffa (il termine truffa è legittimo, visto che lo Stato ha dato questo nome al Fondo che dovrebbe risarcire le vittime) è notevole ed espone i poveri risparmiatori alla possibilità di non ricuperare quanto loro spetta. Infatti manca solo un anno alla data in cui non si potrà più agire contro le banche per chiedere i danni subiti; è prevista infatti la cosiddetta prescrizione del credito per chi non si attiva, una norma che punisce coloro che subiscono senza reagire. Molti si illudono di salvarsi grazie ai ricorsi internazionali attivati dalla TFA, ma abbiamo già spiegato qualche settimana fa perché non ci sono speranze nel seguire questa strada.

E allora partiamo subito con il consiglio per  lettori. Avviate subito una procedura nei confronti della banca che vi ha venduto i titoli, cominciando a chiedere (con lettera raccomandata) tutti i documenti che avrebbero dovuto farvi firmare prima di prendere l’ordine (documento generale sui rischi, contratto di raccolta ordini, profilo di rischio, ecc.) ed a chiedere la copia dell’ordine firmato (se l’avete firmato…). La richiesta va fatta all’ufficio reclami e nel testo è bene precisare una frase del tipo “La presente rappresenta interruzione dei termini a sensi delle norme sulla prescrizione”; così bloccate i termini ad avete ancora anni per poter far valere i vostri diritti. Le banche sono tenute a darvi tutti i documenti entro 90 giorni. Sollecitate la vostra agenzia dopo due mesi e non lasciate che si cullino nell’illusione di “averla fatta franca” omettendo di darvi quello che avete chiesto. Se avete fortuna mancherà qualcosa; ma anche se sembrerà che ci sia tutto e sia tutto in regola, fate vedere le carte ad un esperto per valutare se vale la pena di fare causa (l’esame deve essere rigorosamente gratuito).

Potete anche rivolgervi ad un’associazione di difesa dei clienti (a Torino operano ADUSBEF, ADICONSUM, ADOC, ART e Federconsumatori). Per chiudere, una segnalazione interessante: ART (Associazione Risparmiatori Tangobond di Torino, Corso Re Umberto 88, tel.0115681299) sta attivando la raccolta di firme per una petizione da presentare al Governo per ottenere l’assistenza legale gratuita per far causa alle banche: vuoi vedere che se ci sono tante firme si riuscirà anche a non pagare nulla per riavere i propri soldi?

Di Pietro, candidati davvero "indipendenti" nelle liste IdV per le elezioni Europee?

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria LETTERE

di-pietro

riceviamo e volentieri pubblichiamo alcune considerazioni di Dean Keaton

Com’è noto, alla fine dello scorso gennaio Camilleri propose a Di Pietro, dalle pagine di Micromega, “una alleanza tra persone che non hanno “le carte macchiate” e cioè che siano oneste, con la fedina penale pulita, che non abbiano mai fatto politica e si decidano a farla in questa situazione d’emergenza”.
Di Pietro rispose promettendo una quota fino al 70/75% da destinare allo scopo e si disse disposto a valutare anche la modifica del simbolo.

Quindi Camilleri, spalleggiato da Flores d’Arcais, si spinse oltre dalle pagine di El Pais: “La lista che noi immaginiamo dovrebbe perciò vedere, accanto a personalità della società civile italiana in lotta contro Berlusconi, molti candidati spagnoli, francesi, tedeschi, polacchi… Perché il berlusconismo non è un fenomeno degenerativo solamente italiano, rischia anzi di contagiare l’Europa, ed è l’intera democrazia europea che dovrebbe preoccuparsene seriamente”.
E ancora: “Il fatto che persone indipendenti, senza partito, si costituiscono alla fine in un partito, è una contraddizione che si supera facilmente trovando un nome diverso… «gli indipendenti», tanto per fare un esempio. La nostra idea, del resto, non è affatto quella di costituire un partito tradizionale, ma solo una lista per le europee, ed eventualmente poi, se avrà successo, una organizzazione “a geometria variabile””.

Nacque qui, quindi, la famosa idea degli “indipendenti” da candidare alle Europee insieme a Di Pietro. Con un proprio nome ed un proprio simbolo. Sia ben chiaro.

Ma ecco la doccia fredda di metà marzo. L’idea era piaciuta così tanto all’ex pm che aveva deciso di farla propria, ma a modo suo. Ovviamente.
Niente simbolo diverso, nessuna quota, nè nome nuovo. Sono rimasti solo gli “indipendenti” cooptati da Tonino. E, a meno di nuovi sviluppi, trombati Camilleri e d’Arcais che in un comunicato hanno espresso il proprio rammarico: “L’Italia dei valori ha studiato la proposta e, pur ritenendola valida in linea di principio, ha ritenuto che non sia concretamente praticabile, salvo ingenerare confusione nell’elettorato per la concomitanza delle elezioni amministrative, dove tale lista comune non era neanche stata proposta. Peccato.
L’Italia dei valori ha comunque dichiarato la disponibilità e anzi la volontà di aprire largamente le sue liste a candidati indipendenti, espressioni di lotte della società civile. Ci auguriamo di cuore che tale disponibilità raccolga adesioni significative e possa convincere larga parte dell’elettorato democratico incerto”.
Di Pietro, da parte sua, li ha ringraziati: “L’Italia dei Valori conferma loro, e a quanti siano interessati, la disponibilita’ ad aprire le liste per le prossime competizioni elettorali ai migliori rappresentanti dellla societa’ civile”.
In sostanza l’ex pm i candidati “indipendenti” li sceglie lui, a suo insindacabile giudizio, e sempre e comunque sotto il suo simbolo.

Per la verità qualcosa i due hanno intuito.
Flores d’Arcais ha detto che “è evidente la differenza tra le due versioni: Idv con candidati e vera e propria alleanza tra due soggetti. Per molti potenziali elettori la semplice presenza di candidati indipendenti nel-l’Idv non sarà una novità sufficiente”.
Mentre Camilleri ha affermato che “è stata proprio la richiesta del simbolo appaiato a far sorgere dei dubbi in Di Pietro. Egli ha temuto di creare un qualche disorientamento fra i suoi elettori”.

Tutto sommato l’hanno presa bene. La loro idea è stata accolta da Tonino, anche se non proprio come l’avevano intesa in principio.
E sebbene gli “indipendenti” ora si chiamino De Magistris, Vulpio, Alfano e Vattimo.

L'alleanza di cemento tra Berlusconi e Impregilo

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

impregilo

di Antonio Mazzeo per www.carta.org

Dietro le Grandi Operette del presidente del consiglio c’è un rapporto di ferro e cemento armato con i più grandi gruppi italiani del settore. A partire dall’Impregilo, in eterna difficoltà, ma sempre pronta a vincere gli appalti più ghiotti. Come quello per il Ponte.

«È una cosa drammatica che i vertici di Impregilo dopo lavori difficili per la tratta ad alta velocità della Bologna-Firenze si sono trovati assolti dalla magistratura di Bologna e condannati a ben 5 anni da quella di Firenze. È qualcosa di patologico, è una metastasi del nostro Paese cui dobbiamo reagire perché c’è qualcuno che usa la legge come un Moloch che deve colpire. Dobbiamo trovare una via di uscita, altrimenti le società non vorranno fare lavori sul nostro territorio». La pensa così il premier Silvio Berlusconi sulla pesante condanna inflitta all’amministratore delegato d’Impregilo, Alberto Rupegni, a conclusione del primo grado del processo sui presunti crimini ambientali dei lavori per l’Alta Velocità.

Il governo ha un asso nella manica per evitare che future inchieste della magistratura possano avere conseguenze sull’iter di realizzazione delle Grandi Opere, primo fra tutti il Ponte sullo Stretto, ad altissimo rischio d’infiltrazione mafiosa. L’affidamento di tutti i controlli ad un commissario ad acta, mettendo fuori gioco le procure locali e derogando dalle leggi generali. Lo ha rivelato Milano Finanza con un documentato articolo dal significativo titolo «Impregilo, niente scherzi sul Ponte». E che si faccia realmente sul serio lo dimostrano le parole di ringraziamento del presidente della grande società di costruzioni, Massimo Ponzellini. Intervenendo alla cerimonia di inaugurazione della prima linea del famigerato termovalorizzatore di Acerra – presente Berlusconi – Ponzellini ha affermato «che con il premier al nostro fianco, dopo aver realizzato quest’opera, sapremo vincere altre sfide, come quella della Salerno-Reggio Calabria e del Ponte sullo Stretto…».

Amore antico quello del Signore di Arcore per Impregilo e l’ecomostro dello Stretto di Messina. Berlusconi ha pubblicamente rivendicato come sia stato proprio il suo precedente governo a sollecitare un accordo tra le aziende italiane per progettare e realizzare in tutta tranquillità la megaopera. Nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo, Belusconi ha dichiarato: «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio… Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». L’episodio è stato raccontato dal giornalista Marco Travaglio su «L’Espresso» del 30 dicembre 2008. Come sottolineato dallo stesso Travaglio, «se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere – non si sa a che titolo – aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti [pilotati anche quelli?]».
Di certo in casa Berlusconi non erano in pochi i profeti in grado di prevedere per filo e segno quello che sarebbe stato l’esito della gara per scegliere la società a cui affidare i lavori tra Scilla e Cariddi. «La gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo», dichiarò nel corso di una telefonata con Paolo Savona [l’allora presidente d’Impregilo], l’economista Carlo Pelanda, proprio ala vigilia dell’apertura delle offerte delle due cordate in gara. Nel corso della stessa telefonata Pelanda spiegò di avere avuto assicurazioni in merito dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset.

Sfortunatamente, il colloquio tra Paolo Savona e l’amico Carlo Pelanda fu intercettato dagli inquirenti della procura di Monza nell’ambito dell’inchiesta sulla società di Sesto San Giovanni per falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio. Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono Paolo Savona sul senso di quella telefonata. «Era una legittima previsione», risponderà Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista del Foglio e del Giornale – quotidiani del gruppo Berlusconi – ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione «Il Buongoverno», fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Gara piena di anomalie e stranezze quella per il general contractor del Ponte di Messina. Alla fase di pre-qualifica riuscì a partecipare perfino una società su cui sarebbe stato rilevante il controllo la potente organizzazione mafiosa nordamericana diretta dal boss Vito Rizzuto. Poi, uno dopo l’altro, si ritirarono inaspettatamente quasi tutti i grandi gruppi esteri partecipanti. Il 18 aprile 2005 [quarantotto ore prima della scadenza dei termini fissati dal bando], giunse inaspettata la decisione dei vertici della Stretto di Messina S.p.A., società pubblica concessionaria per il Ponte, di concedere ai consorzi in gara un mese di tempo in più per la presentazione delle offerte. Le ragioni della benevola proroga restarono ignote, ma gli osservatori finanziari la giudicarono perlomeno discutibile, anche perché i tre mesi precedenti erano stati caratterizzati da altalenanti e contraddittori contatti tra i due colossi italiani capofila delle cordate in gara, l’Impregilo di Sesto San Giovanni e l’Astaldi di Roma.

Impregilo era al centro di una grave crisi finanziaria ed i vertici aziendali erano stati azzerati dall’inchiesta della procura di Monza. Per evitare il tracollo finanziario i principali azionisti della società avevano invocato l’intervento del governo e delle banche creditrici, auspicando l’ingresso di nuovi e più solidi soci. Nel febbraio 2005 i manager Astaldi dichiararono la propria disponibilità a fornire 250 milioni di euro per ricapitalizzare la società di Sesto San Giovanni, ma la loro offerta veniva respinta. In Impregilo fece invece ingresso un consorzio, IGLI, costituito appositamente dai gruppi Argofin [Marcellino Gavio], Techint-Sirti, Efibanca ed Autostrade S.p.A. [gruppo Benetton]. Efibanca, Techint e Sirti cederanno un anno più tardi la loro quota di IGLI a Salvatore Ligresti, il costruttore originario di Paternò a capo del gruppo assicurativo Fondiaria-Sai.
Sfumata l’ipotesi di una compartecipazione in Impregilo, Astaldi propose alla «concorrente» un’alleanza strategica per la formulazione di un’unica offerta per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. «Dopo la fuga di partner stranieri di entrambe le cordate e la scarsa convinzione degli altri, il buon senso vorrebbe che i due gruppi in qualche modo mettessero insieme le forze», dichiarò Vittorio Di Paola, amministratore delegato di Astaldi, dopo che due società spagnole partner di Astaldi si erano ritirate dalla gara. Il 2 maggio 2005, il nuovo consiglio d’amministrazione di Impregilo respinse però la vantaggiosa offerta di alleanza.

Coincidenza vuole che negli stessi giorni era stata depositata un’interrogazione parlamentare al Ministro delle Infrastrutture, a firma dei senatori Brutti e Montalbano [Ds]. In essa si affermava che la presentazione di un’unica offerta da parte di Astaldi e Impregilo per il Ponte sullo Stretto «configurava un’effettiva turbativa d’asta e quindi l’irregolarità della gara». Nell’interrogazione i due parlamentari denunciavano che i due raggruppamenti avevano avviato « una trattativa con i buoni uffici di un noto avvocato, consulente legale dell’Anas per la sorveglianza sui lavori dell’Impregilo, notoriamente legato da vincoli professionali ventennali con l’impresa Astaldi, per giungere, attraverso un rimescolamento delle carte, a presentare un’unica offerta in comune tra Astaldi e Impregilo, riducendo in tal modo ad uno il numero dei partecipanti effettivi alla fase conclusiva della gara stessa». Brutti e Montalbano aggiungevano che il rinvio dei termini della gara in questione «era stato fortemente sollecitato alla società Stretto di Messina da una delle due società concorrenti, indebolita nella sua composizione interna dall’uscita di un fondamentale partner francese». Sempre secondo gli interroganti, a tal fine il consiglio d’amministrazione della società concessionaria aveva inserito nel bando una clausola che consentiva di aggiudicare la gara anche in presenza di una sola offerta.

«Appare quanto meno sospetto un rinvio dei termini idoneo a far maturare un accordo tra i due concorrenti e la contemporanea decisione di modificare il bando, che sembra proprio spingere nella direzione dell’accordo tra i concorrenti», commentavano i senatori diessini.
Quando alla scadenza del termine, giunsero le offerte delle uniche due cordate rimaste in gara, certe «anomalie» furono sotto gli occhi di tutti. In meno di un anno si erano verificati cambiamenti rilevanti nelle composizioni dei raggruppamenti. Nell’associazione temporanea a guida Impregilo, ad esempio, non comparivano più la società statunitense Parsons. Nella cordata a guida Astaldi spiccava invece la scomparsa del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna. Vere e proprie fughe provvidenziali, verrebbe da dire, dato che hanno permesso la conclusione della gara diradando alcuni dei dubbi di legittimità e regolarità.

Il forfait di Parsons evitava infatti che la transnazionale finisse nella ragnatela dei conflitti d’interesse che hanno segnato la stagione delle selezioni dei soggetti chiamati alla realizzazione del collegamento stabile. La controllata Parsons Transportation Group, a fine 1999, era stata nominata «advisor» dal Ministero dei lavori pubblici per approfondire gli aspetti tecnici del progetto di massima del Ponte di Messina. La stessa Parsons Transportation Group ha poi partecipato al bando per il Project Management Consultant per la vigilanza delle attività del general contractor del Ponte. Se Parsons Transportation Group avesse vinto questa gara [cosa poi puntualmente verificatasi] e la società madre fosse rimasta associata ad Impregilo, la Stretto di Messina si sarebbe trovata nella spiacevole situazione di affidare i due bandi multimilionari ad una medesima entità, in cui avrebbero coinciso controllore e controllato.

Altrettanto miracolosa l’uscita di scena del Consorzio Cooperative Costruzioni. Originariamente la Lega delle Cooperative compariva in entrambe le cordate in gara per i lavori del Ponte: con la Ccc in ATI con Astaldi e con la Cmc – Cooperatriva Muratori Cementisti di Ravenna in ATI con la «concorrente» Impregilo. Con l’aggravante che proprio la Cmc risultava essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa «madre» Ccc di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici che escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che «si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo», ovverossia di società tra esse «collegate o controllate». L’ipotesi di violazione è stato sollevato, tra gli altri, dalla parlamentare Anna Donati, mentre il Wwf è ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere l’annullamento della gara.

Se poi si passa ad analizzare la lista dei professionisti che sono stati membri del consiglio di amministrazione della Stretto di Messina S.p.A., c’è il riscontro di un certo feeling con Impregilo. Nell’aprile del 2005, ad esempio, venne nominato quale membro del Cda della concessionaria del Ponte, il dottor Francesco Paolo Mattioli, ex manager Fiat e Cogefar-Impresit [oggi Impregilo], consulente della holding di Torino e responsabile del progetto per le linee ad alta velocità ferroviaria Firenze-Bologna e Torino-Milano di cui Impregilo ha ricoperto il ruolo di general contractor. Nel consiglio di amministrazione della Stretto S.p.A. sedeva al momento dell’espletamento delle gare del Ponte, il Preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, prof. Carlo Angelici. Angelici era contestualmente consigliere di Pirelli & C. e di Telecom Italia Mobile (TIM), società di cui erano (e sono) azionisti i Benetton. Edizioni Holding, altro gioiello del gruppo di Treviso, controlla la Società per il Traforo del Monte Bianco, di cui è membro del consiglio d’amministrazione un altro «storico» del Cda della Stretto di Messina, il direttore generale ANAS Francesco Sabato.

Presenze «pesanti» anche all’interno di Società Italiana per Condotte d’Acqua, altro partecipante alla cordata vincente per i lavori del Ponte. Condotte d’Acqua è quasi internamente controllata dalla finanziaria Ferfina S.p.A. della famiglia Bruno. Ebbene, nei consigli d’amministrazione di Ferfina e di Condotte Immobiliare (la immobiliare di Condotte d’Acqua) compariva nel giugno 2005 il professore Emmanuele Emanuele, contestualmente membro del Cda della concessionaria statale per il Ponte.

Dal 2002, presidente della Stretto di Messina S.p.A. è l’on. Giuseppe Zamberletti, più volte parlamentare Dc e sottosegretario all’interno e agli esteri ed ex ministro per la protezione civile e dei lavori pubblici. Invidiabile pure la sua lunga esperienza in materia di grandi infrastrutture: Giuseppe Zamberletti è stato presidente del Forum europeo delle Grandi Imprese, mentre da più di un ventennio ricopre la massima carica dell’Istituto Grandi Infrastrutture [IGI], il «centro-studi» d’imprese di costruzione, concessionarie autostradali, enti aeroportuali, istituti bancari, per monitorare il mercato dei lavori pubblici e delle grandi opere e premere sugli organi istituzionali per ottenere modifiche e aggiustamenti legislativi in materia di appalti e concessioni a vantaggio degli investimenti privati.

In questa potente lobby dei signori del cemento, compaiono quasi tutti i concorrenti alle gare per la realizzazione del Ponte. Vicepresidente vicario di IGI al tempo delle gare del Ponte, il cavaliere Franco Nobili, trent’anni a capo della società di costruzione Cogefar (poi Impregilo), passato poi nel Cda della Pizzarotti di Parma, che ha integrato in un primo tempo la cordata guidata da Astaldi per il general contractor del Ponte. Dal 1989 al 1993 Franco Nobili ha pure ricoperto la carica di presidente dell’IRI, l’istituto di cui è stato direttore generale e membro del collegio dei liquidatori l’odierno amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci.

Anche tra gli odierni vicepresidenti del consiglio direttivo dell’Istituto Grandi Infrastrutture ci sono i manager delle società entrate nel business del Ponte: Alberto Rubegni [l’amministratore delegato d’Impregilo condannato a 5 anni di reclusione nell’ambito del processo TAV]; Pietro Gian Maria Gros, presidente di Autostrade-Benetton; Vittorio Morigi, Ad del Consorzio Muratori Cementisti; il professor Carlo Bucci [rappresentante dell’ANAS, azionista di maggioranza della Stretto di Messina S.p.A., e consigliere d’amministrazione della concessionaria nel triennio 2005-2007].

Ci sono poi le aziende presenti nel consiglio direttivo dell’IGI. Anche qui abbondano le società che hanno concorso su fronti opposti alla gara per il Ponte sullo Stretto. Tra esse, Società Italiana per Condotte d’Acque e SATAP S.p.A., società autostradale controllata dalla finanziaria Argos di Marcellino Gavio [azionista IGLI-Impregilo]. Più Astaldi, capogruppo dell’ATI «contrappostasi» a Impregilo, con le associate Grandi Lavori Fincosit e Vianini Lavori dell’imprenditore-editore Caltagirone.

Uno dei prossimi maggiori impegni della Stretto S.p.A. sarà quello di ritoccare l’ammontare del contratto sottoscritto da Impregilo & socie; ferro e acciaio sono cresciuti vertiginosamente nel mercato internazionale, mentre altre voci di spesa potrebbero essere state sottostimate in fase di pre-progettazione. Date affinità e cointeressenze, chissà se alla fine, per comodità, non ci si veda tutti in Piazza Cola di Rienzo 68, sede dell’IGI e dei signori del Ponte.

Antonella Clerici "epurata" dai palinsesti della Rai – Dalla "Prova del cuoco" alla prova del pupo

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

antonella-clerici

da www.bolggente.com

La presentatrice più brava di casa RAI è stata elegantemente esclusa dal palisesto per la sua ingombrante gravidanza. Antonella Clerici che presentava ormai da tanti anni “La Prova del Cuoco” e “Il treno dei desideri” non potrà riprendere le sue trasmissioni.

Lei che ha avuto una splendida bambina e che si era dovuta allontanare dalla TV per motivi ovvii, ha appena appreso di non poter riprendere a condurre il suo beneamato programma di raiuno. Lei stessa dice di non riuscire a guardarlo, perchè soffre nel vedere la presenza di qualcun altra tra i “suoi” fornelli.

A TV Sorrisi e Canzoni confessa:
“Lavoro in Rai da 23 anni, il mio contratto scade a giugno e lì farò le mie scelte, si apriranno nuovi orizzonti. A causa della maternità hanno deciso di sostituirmi alla conduzione de ‘La prova del cuoco’. Io sono pronta a riprenderlo, ma ho appreso che non sarà così. Se negassi l’amarezza sarei ipocrita, ma il grande affetto della gente mi ha sostenuto.E’ poi vero che nella mia vita non ho paura dei cambiamenti: sono momenti di crescita. E l’arrivo di mia figlia Maelle mi ripaga di tutto, perchè una nascita porta bene. Poi, vedremo”.

Ora condotta dalla più giovane Elisa Eloardi, la Clerici ribadisce la mancanza della conduzione de La Prova del Cuoco: “Quando ti lasci con il tuo grande amore non lo vuoi rivedere con un’altra, no? Ho dedicato nove anni a rendere forte questo programma, fatto a mia immagine e somiglianza. Quindi ne sono un po’ gelosa”.

In questi giorni si vede la pubblicità del programma “Ti lascio una canzone”, forse presentato da Pupo e non più da lei, e il “Treno dei desideri” sarà invece presentato da Caterina Balivo.

Per la Clerici a giugno scade il contratto. Pure lei Sky?. Staremo a vedere