IL DENARO VERRA’ DATO GRATIS?

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria NONSOLOSOLDI

di Gianluigi De Marchi per dituttounblog.com

Con il ribasso del costo del denaro approvato dalla banca centrale Europea i soldi rendono “ufficialmente” solo 1,5% all’anno.

Attenzione: questo è il costo del denaro applicato dalla BCE alle banche che lo chiedono in prestito, quindi è un rendimento valido solo per il sistema bancario.

Ma è noto che il tasso ufficiale influenza tutti i tassi, da quelli sui conti correnti (prossimi allo zero) a quelli sui BOT (a stento sopra l’1%), a quelli dei BTP (intorno al 3%).

Da oltre sei mesi il costo del denaro scende, e probabilmente non è finita perché gli esperti prevedono che prima dell’estate si scenderà di un altro mezzo punto.

Perché questa politica di “denaro gratis”? Perché si spera che, abbassando il costo, qualcuno lo chieda in prestito per avviare attività produttive, costruire nuovi stabilimenti, creare nuove imprese, progettare nuovi investimenti.

Le leggi di mercato insegnano così, in effetti: il denaro caro blocca spese ed investimenti, il denaro a buon mercato li stimola. Ma se ciò è avvenuto per secoli, non sembra possa avvenire adesso, dopo una crisi così profonda che non si era mai vista prima, e che ha stravolto anche le leggi di mercato. Qualcuno ha visto nascere un nuovo negozio, un nuovo stabilimento, una nuova officina negli ultimi sei mesi?

Qualcuno ha sentito dire da un proprio vicino di casa “A questi tassi ho chiesto un finanziamento alla banca per aprire, insieme a mio figlio, un’attività per la produzione artigianale di gelati, una sartoria, un laboratorio per il finissaggio dei tessuti”?

Purtroppo non pare proprio che il denaro gratis (o quasi) spinga gli italiani a produrre, a rischiare qualcosa per rovesciare la situazione. Troppe sono ancora le incertezze e soprattutto le diffidenze verso il sistema bancario, che magari oggi ti offre l’ombrello gratis, ma poi, appena pioverà, te lo richiederà indietro con modi spicci perché ne ha bisogno per pagare i bonus ai suoi dirigenti…

Non basta il denaro gratis, non basta agevolare la grande industria automobilistica a produrre nuove auto (con la scusa che, essendo “ecologiche”, sono buone…), non basta fare convegni sull’economia.

Bisogna ricreare le condizioni per avere fiducia, che passano anche attraverso la “pulizia” nel sistema bancario che ha provocato enormi disastri, la fissazione di regole severe per evitare speculazioni, la predisposizione di controlli per evitare che i risparmi spariscano in qualche “buco nero”.

Riusciranno Governi, banche, istituzioni internazionali ad avere sufficiente coraggio per riscrivere le regole?

La nuova F1 delle polemiche e dei ricorsi regala al pubblico un debutto 2009 elettrizzante

Monday, 30 March 2009
Pubblicato nella categoria E'SPORT!

brawn3

di Sergio Fornasini

Dopo anni di noia mortale, sembra iniziare una stagione 2009 molto vivace per la Formula 1. In Australia, nel primo GP della stagione, le sorprese sono iniziate già prima delle prove, con i reclami sulle soluzioni aerodinamiche adottate da due scuderie non di primissimo piano: la Brawn, cenerentola del circus che ha acquisito team e piloti dalla Honda, e della Toyota, grande costruttore da sempre alla ricerca della stagione giusta che tarda ad arrivare. Il reclamo è stato per il momento respinto, ma i big fra i costruttori hanno subito presentato ricorso.

Fra le polemiche, le nuove monoposto hanno iniziato a macinare giri e la griglia di partenza ha dell’incredibile: la Brawn, scuderia esordiente, ha piazzato entrambe le vetture in prima fila. Non era mai accaduto in Formula 1, se si esclude il primo GP in assoluto nel 1950. Masticando amaro, Ferrari, McLaren e Renault si sono dovute accodare dal sesto posto in giù, e sarebbe andata anche peggio senza la retrocessione delle due Toyota per irregolarità riscontrate durante le qualifiche.

Era dagli epici tempi della Lotus con le minigonne, della Tyrrel a sei ruote e della Ligier con motore Matra e la grande presa d’aria che non si vedeva qualcosa di così innovativo alla partenza di un Gran Premio. I risultati della gara sono andati oltre qualsiasi previsione e le Brawn, sponsorizzate all’ultimo momento dalla Virgin, hanno tagliato il traguardo ai primi due posti: Jenson Button alla sua seconda vittoria ed un Rubens Barrichello rigenerato vanno a festeggiare sui gradini più alti del podio. Complici del successo sono stati i bravi Vettel e Kubica che per un attimo hanno buttato alle ortiche il loro grande talento: mentre occupavano il secondo e terzo posto in classifica sono venuti a contatto distruggendo le rispettive auto. Vettel ha tentato di percorrere gli ultimi due giri su tre ruote emulando il mitico Villeneuve ma ha dovuto mollare, rischiando di prendere la bandiera nera. Terzo arriva Jarno Trulli, partito in ultima fila ed autore di una strepitosa rimonta. Il valido pilota abruzzese sarà però squalificato ore dopo a causa di una manovra ritenuta irregolare in regime di safety car. La sua posizione in classifica andrà al campione del mondo in carica, Louis Hamilton, giunto quarto. Le Ferrari per questa volta si sono perse per la strada, ritirandosi nel mistero di quale rottura meccanica sia occorsa alle monoposto del cavallino rampante.

Se questa è la nuova Formula 1, ben venga. Innovazione e sperimentazione tecnica sono state determinanti nella odierna vittoria della scuderia cadetta. I sorpassi non sono mancati, seppure su una pista difficile come quella di Melbourne. Colpi di scena continui hanno mantenuto vivo l’interesse per tutta la durata della gara, le gomme ritornate finalmente senza quelle ridicole scanalature e le altre modifiche al regolamento hanno vivacizzato il sonnolento spettacolo che la F1 era solita offrire al pubblico. Non bisogna essere dei veggenti per immaginare che, visti i risultati, tutti i team lavoreranno giorno e notte per seguire la strada tracciata dalla Brawn in tema di aerodinamica.

E ad aprile riparte la Moto GP, lo spettacolo è assicurato.

Berluscraxi. Caro Bettino

Friday, 27 March 2009
Pubblicato nella categoria WEBNEWS

berlusconi_craxi_1984

di Antonio Borghesi per www.politicamentecorretto.com

«Caro Bettino, grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho trovato giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli TV prima della ripresa per non esporti oltremisura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio»

Questa lettera è stata scritta da Silvio Berlusconi a Bettino Craxi nel 1984, dopo che era stato emanato un decreto (detto appunto decreto Berlusconi) per contrastare i provvedimenti con i quali il 16 ottobre 1984 i pretori oscurarono in alcune regioni le tv Fininvest. Bettino Craxi non prese carta e penna per scrivere: «Caro Silvio, non dovevi disturbarti!», perché aveva una sua furbizia in queste cose. Però, evidentemente una risposta l’ha data, se è vero che le inchieste giudiziarie hanno accertato che, dopo tale decreto, fiumi di denaro – lo ripeto: fiumi di danaro – miliardi e miliardi di lire sono finiti dai conti della Fininvest ai conti personali, anche all’estero, di Bettino Craxi. Inoltre come è evidente in questa lettera vi è anche la dimostrazione che già allora Berlusconi imponeva ai direttori dei telegiornali ciò che dovevano fare o non fare, e ciò la dice lunga a proposito del suo modo di intendere i rapporti con i “suoi” mezzi di informazione.

La vicenda Mediaset nasce su un’illegalità che dura da venticinque anni, e che è iniziata attraverso questo tipo di relazioni tra l’imprenditore Berlusconi e il Presidente del Consiglio di allora! È una vicenda in cui la politica è stata asservita ad un imprenditore che oggi fa il Presidente del Consiglio! Continuiamo la storia. Eravamo al 1984; arriviamo al 1988, giusto ventuno anni fa. La Corte costituzionale respinge una questione di costituzionalità relativa al cosiddetto decreto Berlusconi, e si rivolge al legislatore invitandolo ad attivarsi «per dare una disciplina definitiva alla materia, che si sottragga a censure e appresti quel sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche». Questo scriveva ventuno anni fa la Corte costituzionale, e siamo qui oggi a parlare di un duopolio che, in occasione della nomina di Berlusconi a Presidente del Consiglio, diventa monopolio pieno! Questo è il motivo della nostra opposizione!

Quindi, la Corte costituzionale nel 1988 esorta a «ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche, non solo nell’ambito della connessione fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell’informazione, incluse quelle pubblicitarie». Che cosa succede, però? Non succede nulla!

Arriviamo finalmente al 1990, quando entra in vigore la cosiddetta legge Mammì. Qualcuno l’ha chiamata «legge Polaroid»: lo dico per i più giovani qui presenti, che forse non lo sanno; fu chiamata così perché non fece altro che fotografare l’esistente, quell’esistente che era già stato dichiarato illegale e che poi è continuato in una situazione di illegalità, che è quella che ancora oggi viviamo in questo settore. Tale legge stabilisce un principio astratto, un principio per cui le concessioni ad un singolo soggetto non potevano superare il 25 per cento del numero delle reti nazionali previsto dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre. E, guarda caso, l’imprenditore Berlusconi aveva in quel momento tre reti.

Nel 1994, la Corte costituzionale boccia la legge Mammì, ritenuta illegittima in quanto contrastante con l’articolo 21 della Costituzione. Le ragioni di tale illegittimità sono da ricercarsi nel trattamento diverso e assolutamente più morbido che – chissà perché? – la legge stabiliva per le televisioni rispetto alla carta stampata. Ciò perché evidentemente la carta stampata viene ritenuta un mezzo divulgativo più innocuo rispetto alla televisione, dove c’è un limite di concentrazione al tempo addirittura più ristretto. La Corte costituzionale continua ad esortare, anche nel 1994, il legislatore ad emanare una normativa coerente e definitiva e pone un limite, nell’agosto del 1996. Quindi, la Corte costituzionale, massimo organo di verifica e di controllo, dà un ordine nel 1996 e non succede assolutamente nulla.

POLIZZE VITA: ATTENTI, LE COMPAGNIE POSSONO SBAGLIARE I CONTI!

Friday, 27 March 2009
Pubblicato nella categoria NONSOLOSOLDI

soldi

di Gianluigi De Marchi per dituttounblog.com

Raccontiamo un fatto vero accaduto recentemente ad un povero cliente di una compagnia assicurativa.
Stipula una polizza decennale a capitale differito (quelle che non assicurano nulla, ma pagano alla scadenza una somma pari ai premi versati maggiorati del rendimento – ma: attenzione! dedotte le commissioni…- ) e versa la bellezza di 50.000 euro complessivi. Al momento dell’incasso del capitale faticosamente accumulato si vede recapitare una lettera che gli comunica che avrà diritto ad incassare 41.000 euro.

Si stropiccia gli occhi, ma non c’è niente da fare, sembra tutto in regola. Poi, a fatica ed a forza di reclamare, scopre che la polizza era stata stipulata in dollari (e quindi aveva subito, negli ultimi anni, un calo legato al negativo andamento della valuta americana); scopre che la polizza era del tipo “rendita” (quindi non prevedeva il rimborso di un capitale ma l’erogazione di un vitalizio; e la “trasformazione” costa una barca di soldi); scopre che sui premi sono state trattenute commissioni enormi non dichiarate (30,9% sui primi due premi, 8% su tutti i successivi); scopre che per ogni versamento la compagnia tratteneva 25 giorni di valuta (cioè considerava infruttifero il capitale per oltre tre settimane!).

Insospettito, fa un reclamo ufficiale, grazie al quale scopre, con raccapriccio, che la compagnia si era anche sbagliata nei calcoli! La colpa è stata data ad un non specificato “disallineamento informatico verificatosi in sede di liquidazione”…. (alzi la mano chi capisce di cosa si tratti; noi comuni mortali pensiamo si tratti di incapacità a fare i conti, ed è una cosa gravissima per chi gestisce il denaro altrui!). Incassa 7.000 euro in più con tante scuse, ma capisce che non dovrà mai più stipulare una polizza; meglio tardi che mai…

Il consiglio che deriva da questa breve storia vera è uno solo, con alcuni corollari.

Primo, non fate polizze assicurative del tipo “vita”, ma solo del caso “morte” (queste sì che assicurano qualcosa!).

Secondo, chiedete sempre costi, commissioni e “caricamenti” (il termine che usano gli agenti per indicare con pudicizia il loro guadagno).

Terzo, nella malaugurata ipotesi che abbiate una polizza vita in essere, chiedete subito il conteggio del capitale maturato, le spese che vi hanno trattenuto, poi decidete cosa fare (e probabilmente converrà sospendere subito i versamenti).

E per finire, ricordatevi che una polizza vita garantisce al massimo il 2% lordo, dal quale è dedotto il 20% trattenuto dalla compagnia ed il 12,5% trattenuto dal Fisco; morale: il netto “garantito” è dell’1,4%, meno (molto meno!) di un tranquillo BTP vendibile in ogni momento senza penali.

Strategie di flusso mediatico

Friday, 27 March 2009
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dal blog di Pietro Orsatti (26-03-2009)

La notizia arriva ieri sugli schermi delle redazioni. Fonte AdnKronos, la seconda agenzia di italiana.

: CASO GENCHI, TUTTI I NUMERI DELL’ARCHIVIO

AL VAGLIO DELLA PROCURA DI ROMA L’IMPRESSIONANTE MOLE DI DATI ACCUMULATI DAL SUPERCONSULENTE

Roma, 25 mar.- (Adnkronos) – Prosegue, presso la Procura della Repubblica di Roma, la valutazione degli esiti delle perquisizioni ordinate il 13 marzo scorso a ai del nei confronti del superconsulente Gioacchino Genchi, sospeso dalla lunedi’ scorso. Nell’abitazione e presso l’ufficio palermitano di Genchi, gia’ consulente dell’ex pm Luigi De Magistris, e’ stata acquisita una vera e propria banca dati con numeri impressionanti.

Segue immediato il take de Il Velino. Due righe ma quanto basta.

Genchi, sequestrati i tabulati di 13 milioni di utenze telefoniche

Roma, 25 mar (Velino) – Sarebbero 13 milioni gli intestatari di utenze telefoniche finiti nell’archivio di Gioacchino Genchi e consegnati dal Raggruppamento operativo speciale dei carabineri ai magistrati della procura de… (su c’è solo questo. Per leggere il resto bisogna abbonarsi)

Ma di che cosa si parla ce lo spiega La Voce d’

Roma – Emergono nuovi nuomeri dalle investigazioni sull’archivio di Gioacchino Genchi, il consulente dell’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, ora votato alla politica, prima solo televisiva, ora anche reale, candidandosi alle europee con L’ (giustizialista) dei Valori di . I del avrebbero individuato 13 milioni di intestatari di utenze telefoniche, le cosiddette “anagrafiche”. Questo lo si apprende in ambienti investigativi. Sequestrati anche dati relativi a un milione e 160 mila persone ricavati dalle anagrafi di , e di alcuni comuni Calabresi. Il totale dei tabulati acquisiti da Genchi ammonterebbe, infine, a 350 milioni di righe di traffico telefonico, ognuna delle quali contiene un chiamante, un chiamato, data, ora, durata e ubicazione della cella telefonica.

Numeri da far girare la testa e non solo, ma è da tener presente che il lavoro di Genchi era proprio quello di scoprire a chi appartenevano i numeri telefonici trovati dalla magistratura o dalle forze dell’ordine. Quindi è ovvio che i dati esaminati rimarrebbero in memoria, finchè il processo non viene chiuso con una sentenza definitiva. Visto che Genchi era consulente, legalmente, della procura di Mazzaro del vallo nell’indagine sulla scomprsa di Denis Pipitone, scomparsa il 1 settembre 2004, è normale che conducesse le sue indagini nelle zone di Mazzara e . Nello steso modo è consulente di De Magistris per le inchieste Poseidone e , che giustifica le acquisizioni sul territorio calabrese.

Genchi non rilascia commenti sul caso, ma visto che i dati sono al vaglio della procura di Roma, da dove escono questi numeri? Queste fughe di notizie la stampa da dove le prende? E poi questi dati, come ha precisato lo stesso Genchi in una puntata di Anno Zero, sono sempre spiegati mali così da creare consusione e “terrore” nella mente della gente.

Angelo Laino

A quanto pare quelli della Voce D’ l’abbonamento a Il Velino l’hanno pagato. E qualche domanda se la fanno. Da dove escono questi dati? Chi li ha fatti arrivare sul tavolo di un paio di redazioni? Il segreto istruttorio dove sta?

E allora qualche “però” bisogna iniziare a metterlo. Perché c’è sempre un però.

Ritorniamo ai terminali delle agenzie e andiamo a cercare nel flusso temporale delle notizie di giornata se ci fosse qualcosa che potrebbe aver provocato una così tempestiva fuga di notizie. Perché si rischia molto a far uscire dati coperti dalle indagini, e quindi deve valerne, per forza, la pena.

Ed eccolo lì, un solitario take dell’Ansa di un paio d’ore prima. Che se non fosse per lo scoop presunto dei numeri dei tracciamenti di Genchi avrebbe creato il caso della giornata.

Ciancimino teste a processo Mori

Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di , Vito, sarà sentito tra il 21 e il 23 maggio a Roma nel processo in cui è imputato di favoreggiamento aggravato alla il generale dei Mario Mori. Lo ha deciso, rinviando al 3 aprile l’indicazione della data precisa, la IV sezione del tribunale di , che ha fissato una trasferta di 3 giorni per motivi di per ascoltare il dichiarante Ciancimino e i collaboratori di del procedimento in cui Mori è imputato assieme al colonnello Mauro Obinu. Secondo la Procura, i due ufficiali dell’Arma non avrebbero organizzato il blitz che avrebbe potuto portare alla cattura di a Mezzojuso, il 31 ottobre 1995, e non avrebbero sviluppato le successive indagini. Deponendo di fronte ai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo, Ciancimino ha parlato della trattativa tra e nel periodo delle stragi del ’92. Questo, secondo l’accusa, potrebbe spiegare il mancato blitz. A dare ai militari l’input sull’operazione era il confidente Luigi Ilardo, che aveva anticipato al colonnello dei Michele Riccio la presenza, nella zona, di Provenzano che doveva partecipare a un summit con altri capimafia. (ANSA).

La guerra si combatte sulle agenzie di , nel flusso delle informazioni. Come dire: a chi la spara più grossa. Esce una notizia? Allarme! Si corre al riparo cercando una notizia che ne copra la visibilità. Si chiama effetto riverbero. Tecnica, solo tecnica. I contenuti, sia quelli delle dichiarazioni di Ciancimino che quelli dei presunti numeri di Genchi, non interessano a nessuno. E i giornali non hanno neppure più il bisogno di “prendere ordini”. Per pigrizia e mancanza di fantasia si adeguano.

Oggi chi la sparerà più grossa?


AVVISO AI NAVIGATI: IL GRANDE INCIUCIO LOTTA INSIEME A NOI

Friday, 27 March 2009
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da dagospia.com

Scene da una presa di potere – fecero i figli e i banchieri quel che Silvio e Carlo non riuscirono a fare con “M & C” – L’INTERVISTA PROMESSA A ’LA STAMPA’ DA PIERSILVIO: “NO, è MEGLIO ’LA REPUBBLICA’”

Massimo Riserbo per Dagospia

SCENA PRIMA:
il “vecchio repubblicano” Paolo Garimberti viene prelevato da uno scantinato di Repubblica è issato al ruolo di centrotavola nel banchetto Raiset.

SCENA SECONDA:
il “sincero democratico” Massimo Pini, per conto di don Ligresti, va nella tv della Telecom ad annunciare che in Via Solferino “è finita l’era dei direttori kingmaker”, perchè la politica c’è già chi la fa, e anche piuttosto bene. Si chiama Berlusconi Silvio e sta ri-edificando la nazione.

SCENA TERZA:
questo sito rompe il silenzio e annuncia per primo che Mielig viene fatto fuori e al suo posto ci va Flebuccio De Bortoli, al quale non a caso aveva rifiutato la presidenza Raiset. Di qui la grande spartizione, a Bazoli il Corrierone, a Geronzi il Sole 24 Ore con la direzione di Roberto Napoletano. I due Grandi Vecchi garantiranno nei riguardi di Berlusconi da eventuali ‘disturbi’ e ‘incidenti di percorso’.

SCENA QUARTA:
non ci si fila nessuno perchè il manovratore in manovra non va disturbato, ma oggi il Giornale di Paolino Berluschino scrive candidamente che no, De Bortoli non sarebbe quel riposizionamento a destra promesso, ma se gli mettono sotto dei videdirettori che “riequilibrino” ci si può anche stare.

SCENA QUINTA.
Alessandro Mignon Profumo, quello che votava alle primarie di Prodi, va a genuflettersi al nuovo Matrix dementanizzato e si cosparge il capo di cenere e loda pure Tremendino Tremontino.

SCENA SESTA:
Pier Silvio Berlusconi parla alla nazione dalle colonne di Repubblica. Manda messaggi di pace e di dominio. Benedice l’ultima cotta senile dell’ingegner Cidibì. Dà un buffetto a papà Silvio che “invitando Fiorello ha fatto uno spot per Sky” e lo sgrida amorevolmente come un qualunque figlio di Cidibì. L’intervista che brilla per nessussina domanda urticante era stata promessa alla ‘Stampa’ di Anselmi, poi il culturista di Cologno ha chiamato Torino e si è scusate: “Devo parlare da ‘Repubblica’, che mi funziona meglio”.

SCENA SETTIMA:
Ezio Mauro studia l’inglese per scappare a New York. Repubblica assiste muta all’agonia del Corriere. E l’Italia dei valori by Di Pietro sparisce da ogni teleschermo e da ogni giornale.

SCENA OTTAVA:
al Lingotto offrono il sacrificio di Giulio Anselmi, che stava facendo l’unico giornale un po’ antigovernativo, e sono pronti a sostituirlo con il figlio di Feltri, che è più saggio e meno rompicoglioni perfino di suo papà. Feltrino mai avrebbe scritto che il Vaticano era furioso per la nomina di Garimba.

MORALE FINALE
fecero i figli e i banchieri quel che Re Silvio e Papà Carlo non riuscirono a fare qualche estate fa con la goffa “Management & Capitali”: Debenedettoni. Loro, i padri, con ‘sta mania di pensare che i soldi e la finanza siano tutto. Più bravi i figli, che tra tv, assicurazioni, banche, giornali, cliniche e centrali elettriche, oggi vanno dritti al sodo: spartirsi il poter – e la democrazia – anche in parti non uguali.

PS: se qualcuno ha notizie di Libertà e giustizia, fare un fischio, grazie

La Rai cita in giudizio "il Riformista" e chiede 25 milioni di danni

Friday, 27 March 2009
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rai-logo

da ilriformista.it – leggi anche agendacomunicazione.it

La Rai perde il pelo ma non il vizio

AGI) – Roma, 25 mar. – La Rai ha dato mandato ai suoi legali di citare in giudizio per 25 milioni di euro il quotidiano ‘Il Riformistà. La decisione – dice un comunicato stampa aziendale – è stata presa “in relazione al gravissimo danno di immagine arrecato all’azienda da un articolo pubblicato oggi dal giornale in cui vengono riportati dati palesemente parziali in una costruzione evidentemente tendenziosa che sembra avere come unico obiettivo quello di screditare la Rai. L’accostamento improprio ad altre realtà industriali italiane e l’esposizione non obiettiva corredata da una serie di informazioni distorte è stata giudicata oltraggiosa e inaccettabile dall’azienda”, che ha quindi deciso di procedere immediatamente con la richiesta di risarcimento “che verrà estesa a qualunque altro mezzo di informazione riporterà quei dati errati”.

Nel dettaglio, la Rai precisa, a titolo esemplificativo, che “nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro (e non dunque indebitata per 937 milioni di euro come scrive il Riformista) e che il numero degli abbonati Rai paganti è in costante crescita da 10 anni a questa parte (nel 2007 sono stati 95.000 in più che nel 2006) nonostante ci siano ogni anno decine di migliaia di disdette dovute quasi esclusivamente a ragioni demografiche”. (AGI)

La replica del giornale:

La Rai perde il pelo ma non il vizio

Apprendiamo da un lancio di agenzia che la Rai ha dato mandato ai suoi legali di citare in giudizio il Riformista per 25 milioni di euro. A tanto ammonterebbe il «danno d’immagine» che le avremmo arrecato con un nostro articolo sui conti aziendali dal titolo: “Un carrozzone di 2004 giornalisti, 264 dirigenti, 8150…”. La nota furibonda di Viale Mazzini parla di «dati palesemente parziali», di «esposizione non obiettiva», di «informazioni distorte». Due dati, soprattutto, hanno fatto giudicare alla Rai «oltraggiosa e inaccettabile» la nostra fotografia della televisione pubblica: «Nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro (e non dunque indebitata per 937 milioni di euro come scrive il Riformista) e il numero degli abbonati Rai paganti è in costante crescita da dieci anni (nel 2007 sono stati 95.000 in più che nel 2006) nonostante ci siano ogni anno decine di migliaia di disdette dovute quasi esclusivamente a ragioni demografiche».

Come si vede, la Rai non smentisce i dati da noi pubblicati. Del resto non potrebbe. Non ce li siamo inventati in redazione. Tutte le cifre che abbiamo utilizzate sono tratte dalla relazione della Corte dei Conti del 2008 e dallo stesso bilancio della Rai, quello del 2007, dove alla voce “Totale debiti” per l’anno 2004 è scritta la cifra 807.268; per il 2005, 843.395; per il 2006, 911.311, e 936.629 per il 2007. Tutti i dati da noi pubblicati sono verificabili e verificati.

Nella sua nota la Rai gioca sulle parole, confondendo tra «debiti» e «indebitamento», due cose ben diverse. Invece di smentire, aggiunge un’altra cifra: «Nel 2007 la posizione finanziaria del gruppo era positiva per 110 milioni di euro». Benissimo, ma questo non smentisce l’entità dei debiti: 936.629 euro. Quanto “al numero degli abbonati”, noi non abbiamo scritto che “è in decrescita”, ma che – come riconosce anche la nota dell’azienda di Viale Mazzini aggiungendovi un “nonostante” – ogni anno ci sono decine di migliaia di disdette.

Per la precisione, abbiamo scritto: «Nel 2007 le disdette sono arrivate a 340mila e i morosi accertati hanno superato quota 700mila». Dove abbiamo preso questi dati? Dal bilancio della Rai. Voce “Morosi” anno 2007: 664.827. Voce “Disdette” anno 2007: 338.592. Non abbiamo scritto che la Rai perde abbonamenti, ma che circa 700mila italiani che dovrebbero pagare il canone nel 2007 non l’hanno pagato e che circa 400mila persone, sempre nel 2007, quell’abbonamento l’hanno disdetto. Né più né meno.
Forse è vero, come dice Luca Ricolfi, che in Italia la matematica non dà certezze. I bilanci vanno letti e interpretati. Viale Mazzini dà la sua interpretazione, ovviamente ottimistica. Ne ha pienamente diritto. Noi stessi nell’articolo abbiamo riportato del «notevole sforzo» dell’azienda per «abbattere le spese del personale». Ma la stampa libera ha altrettanto diritto di giudicare i numeri che sono scritti nei bilanci, e non ha un obbligo di presentarli in buona luce, come pare suggerire la nota della Rai lamentandosi di «dati palesemente parziali», di «costruzione evidentemente tendenziosa», di «esposizione non obiettiva» e di «accostamento improprio ad altre realtà aziendali» (si riferiscono all’Alitalia). Anzi, parlando di «dati errati», la Rai arreca a noi un gravissimo danno d’immagine se quei dati, da noi presi dal bilancio Rai, risultano veri.

La Rai ci chiede 25 milioni di euro di risarcimento. Le diciamo subito che non ce li abbiamo. Equivalgono a due anni di reddito di Silvio Berlusconi, secondo la sua ultima dichiarazione dei redditi, e benché lui si sia impoverito, noi non siamo così ricchi. A proposito del Cavaliere, una domanda: come mai la Rai non ha citato per danni – che si sappia – il Giornale della famiglia Berlusconi quando il 10 marzo di quest’anno, evidentemente utilizzando le nostre stesse fonti ufficiali, ha pubblicato quella stessa cifra, 937 milioni di debiti, in un grafico di bella evidenza?

Questo l’articolo incriminato:

Un carrozzone di 2.004 giornalisti, 264 dirigenti, 8.150…
di Gianmaria Pica

Altro che Alitalia, Ferrovie dello Stato e Tirrenia, il Gruppo Rai è l’ultimo vero carrozzone pubblico sopravvissuto alla stagione delle privatizzazioni: 13.200 dipendenti, 8 società controllate, 9 consiglieri di amministrazione e debiti che sfiorano il miliardo di euro. Ma dagli anni Ottanta ragiona (o almeno dovrebbe farlo) con logiche di mercato. Con la fine del monopolio televisivo, la posizione della tv pubblica nei confronti dello Stato muta radicalmente: la Rai diventa un’impresa privata di proprietà pubblica che opera in regime di concessione alla pari delle altre imprese private. Peccato che, a differenza di queste ultime, la Rai viva grazie al canone di abbonamento che vale il 54 per cento delle sue entrate (1,6 miliardi di euro), mentre dalla pubblicità arriva solo il 40 per cento (1,1 miliardi). Nel novembre del 2004 la Rai Holding Spa si fonde con la controllante Rai-Radiotelevisione Spa dando vita a una nuova società: la Rai-Radiotelevisione italiana Spa il cui capitale sociale, 242,5 milioni di euro, è in mano al ministero dell’Economia al 99,56 per cento, la quota restante la detiene la Siae. E la Rai, come quasi tutte le società pubbliche, ha la tendenza a chiudere i bilanci in rosso: nel 2007 – ultimo disponibile – ha registrato una perdita di 5 milioni di euro con debiti per 937 milioni.

Quanto costa al Paese mantenere in vita “mamma Rai”, come la chiamano i suoi dipendenti? Per capirlo bisogna partire dalle piccole spese della società, quelle che la Rai stanzia per i compensi dei nove amministratori e dei tre membri del collegio sindacale. Soldi che ogni anno crescono: se nel 2002 per le retribuzioni degli amministratori e dei sindaci sono stati spesi 984 mila euro, cinque anni dopo la cifra è cresciuta di quasi tre volte toccando i 2,6 milioni di euro. Poi ci sono tutti gli altri tredicimila dipendenti: 264 dirigenti, più di mille funzionari, 2.004 giornalisti e 8.150 unità tra impiegati, cameraman, tecnici e operai. Il costo del fattore lavoro – diarie, viaggi, costi accessori personale, fondi pensione e prestazioni di lavoro autonomo – che all’erario della società di viale Mazzini costa 1 miliardo e 125 milioni di euro, più di quanto incassa in un anno con la pubblicità.

Una forza lavoro ipertrofica, forse troppo. Tanto che il consiglio di amministrazione della Rai nel 2007 ha stanziato 30 milioni di euro per finanziare esodi agevolati del personale e 20 milioni di euro per operazioni di incentivazione all’uscita – per il triennio 2008-2010 – di 200 dipendenti. Ma questo (notevole) sforzo economico non è servito ad abbattere le spese per il personale. Infatti, mentre alcuni dipendenti uscivano dall’azienda, tra il 2002 e il 2007 ne venivano reintegrati con provvedimenti giudiziari 526. I contenziosi in materia di lavoro per la Rai sono cresciuti anno dopo anno: 1.198 giudizi pendenti nel 2004, 1.331 nel 2005 e 1.392 nel 2007. E costano: per quattro anni di contenziosi la Rai ha speso quasi 50 milioni di euro. Dal 2002 al 2007 è aumentato di 139 milioni di euro anche il costo complessivo dei servizi esterni (cosa che fa infuriare i tantissimi giornalisti interni che si sentono sviliti), con un picco di 830 milioni di euro registrato nel 2006. A guardare i dati sul canone si direbbe che gli italiani si stiano stancando di finanziare gli eccessi della Rai: nel 2007 le disdette sono arrivate a 340mila e i morosi accertati hanno superato quota 700mila.

Questo i link al sito del bilancio del gruppo Rai dove potete controllare l’attendibilità dei dati riportati nel pezzo qui sopra.

http://www.bilancio2007.rai.it/ita/bilancio/cons07.htm

Per i debiti:
http://www.bilancio2007.rai.it/ita/bilancio/civ03.htm

Né libertà né coscienza

Friday, 27 March 2009
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di Filippo Facci (da Facebook)

Ci sono temi, ed è noto, per i quali un Parlamento non può permettersi di legiferare sulla base degli umori popolari: è impensabile che certe scelte economiche e legislative siano asservite a dei sondaggi. Per altri temi riguardanti le scelte personali, viceversa, un Parlamento ha il dovere di sondare l’autentica volontà popolare e di legiferare nel senso più democratico e referendario possibile.

Ebbene: col decreto antistupri, e col testamento biologico, le parti sono state invertite. La custodia cautelare come extrema ratio, tema delicatissimo, è stata abolita a furor di popolo in tre minuti netti, ciò in virtù di un’emergenza stupri che peraltro non c’era; e il Senato ha appena approvato, dall’altra, un finto testamento biologico che consegna il tuo corpo inanime nelle mani dello Stato e ti impone dei trattamenti sanitari obbligatori fregandosene del tuo consenso: e fregandosene, soprattutto, del particolare che la maggioranza degli italiani di destra e di sinistra (dati-alla-mano) non è d’accordo per niente.

Dettaglio: i parlamentari del Pdl che in privato si dicevano contrarissimi a questo testamento biologico, sino a ieri, si contavano a mazzi.

Morale. Berlusconi aveva detto che la libertà di coscienza è intangibile, mentre ieri ha detto che molti parlamentari sono lì per fare numero. Mettiamola così: se non sanno che farsene neppure della libertà di coscienza, molti parlamentari sono lì per fare numero.

Serata Saviano in TV

Thursday, 26 March 2009
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di Sergio Fornasini

Ieri sera su Rai 3 edizione speciale di “Che tempo che fa” dedicata a Roberto Saviano. Due ore molto intense di trasmissione, hanno in me rafforzato la convinzione che se nel nostro paese funzionasse meglio l’informazione, “Gomorra” sarebbe stato solo un romanzo di successo. Punto. Invece i giornalisti che fanno bene il loro mestiere, conducendo inchieste fastidiose, vengono lasciati completamente da soli a combattere la loro battaglia civile, come Domenico Palmesano. Come ha sottolineato più volte in precedenza lo stesso autore del best seller, rinnovando il concetto ieri in TV, il problema per la camorra non è il contenuto del libro, bensì i molti occhi che lo hanno letto. Non c’è nessuna clamorosa scoperta nel contenuto del romanzo, c’è solo un ragazzo bravo a scrivere che un giorno ha aperto la sua finestra ed ha raccontato ciò che si poteva vedere al di fuori.

Per averlo fatto, Roberto è costretto a vivere blindato da tre anni, Dead Man Walking è stato definito in un articolo di BBC News che abbiamo riportato in questo blog. C’è anche chi riesce ad denigrarlo per la sua notorietà, come Emilio Fede. Alcuni sono arrivati a parlare del successo letterario di “Gomorra” come di “pubblicità negativa per l’Italia”.

Niente da aggiungere sul Saviano scrittore, il suo libro ha venduto più di due milioni di copie in Italia, per l’estero è stato tradotto in una cinquantina di paesi e ne sono state vendute altre tre milioni e mezzo di copie. Ne è stato tratto un film premiato a Cannes, è divenuto anche spettacolo teatrale.

Chiudono i giornali: internet e informazione, un binomio oramai inscindibile

Wednesday, 25 March 2009
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di Antonio Rossano da socialblog.yurait.com

Leggevo l’ articolo di Bernardo Parrella su Apogeonline “Paure e speranze nel futuro delle news”, che sviluppa un analisi  completa ed esaustiva sulla situazione di grave crisi e di profondo mutamento che il settore specifico dei media, con particolare riferimento alla carta stampata, sta attraversando, negli Stati Uniti, e quindi, nel nostro prossimo futuro.
E tra i suoi riferimenti, l’ ultima elugubrazione di Clay Shirky sul suo sito, dal titolo “Newspapers and Thinking the Unthinkable”.
E Shirky, come suo solito, non tralascia  di inserire nel suo percorso storico-analitico la sua lucida e geniale visione delle cose. Eccone alcuni brani.

Nel 1993 il gruppo editoriale Knight-Ridder si accorse che la rubrica del giornalista Dave Barry, pubblicata sul Miami Herald e su molti altri giornali, veniva copiata e distribuita senza rispettare il copyright.
Decise quindi di fare un’indagine e scoprì diverse cose: una versione pirata della rubrica era riprodotta su Usenet, duemila iscritti di una mailing list la leggevano e un adolescente del Midwest si occupava personalmente di copiarla perché adorava gli articoli di Barry, e voleva che tutti potessero leggerli.
Una delle persone con cui gironzolavo sulla rete, Gordy Thompson, che all’epoca curava i servizi online del New York Times, disse: “Se un ragazzino di quattordici anni riesce a mandare all’aria il tuo business nel suo tempo libero, non perché ti odia ma perché ti adora, allora hai un problema”. In questi giorni ho ripensato spesso a quella conversazione.
Il problema dei quotidiani non è che non avessero previsto l’arrivo di internet. Non solo lo avevano previsto con grande anticipo ma avevano anche capito che avevano bisogno di un piano per affrontarlo. Negli anni novanta ne escogitarono più d’uno: entrare in società con aziende come America Online, spiegare a tutti la legge sul diritto d’autore, proporre nuovi modelli (tra cui i micropagamenti) o vivere esclusivamente dei ricavi pubblicitari. E poi si poteva sempre citare in giudizio chi violava il copyright per dare l’esempio a tutti gli altri.
Ma c’era una sola eventualità che tutti ritenevano inverosimile, e quindi non veniva mai discussa. Accettare e proporre le condivisioni (violazioni del copyright) direttamente, creando un modello di questo.
Le regole che vanno contro i desideri della gente non vengono rispettate. Le vecchie abitudini dei pubblicitari e dei lettori non funzionano online. E, come diceva Thompson, citare in giudizio qualcuno perché condivide le cose che gli piacciono di più lo farà sicuramente incazzare.
Le rivoluzioni producono un  curioso cambiamento della percezione. In tempi normali le persone che non fanno altro che descrivere il mondo intorno a loro sono viste come dei  realisti, mentre chi immagina scenari alternativi e fantastici sono giudicati dei rivoluzionari. Ma gli ultimi vent’anni non sono stati tempi normali.
Nei giornali, i realisti erano quelli che semplicemente guardavano fuori dalla finestra e si rendevano conto che il mondo si avvicinava sempre di più all’impensabile. Queste persone erano considerate completamente folli. Allo stesso tempo, le persone che immaginavano un futuro di “walled gardens”  e la entusiastica adozione dei micropagamenti, visione non supportata dalla realtà, erano considerati non dei ciarlatani ma saggi.
Quando la realtà è etichettata come inimmaginabile, nelle imprese si crea un senso di malessere. Chi comanda comincia a basarsi sulla fede, mentre quelli che hanno il coraggio di dire che qualcosa sta cambiando vengono rinchiusi nel Reparto innovazione, dove possono essere completamente ignorati.
Accantonare i realisti per seguire gli affabulatori produce effetti che variano a seconda del settore e del momento. Una delle conseguenze nei quotidiani è che molti dei loro difensori più appassionati non riescono, ancora oggi, a elaborare un piano per quel mondo che conoscevano e che si sta dissolvendo sotto i loro occhi.

La cosa curiosa di quei piani sviluppati negli anni novanta è che, in sostanza, erano tutti uguali: “Ecco come terremo in piedi i vecchi modelli di organizzazione in un mondo dove  fare copie perfette non costa nulla!”. I dettagli erano diversi, ma tutti gli scenari (tranne quello inimmaginabile) erano fondati sul fatto che la struttura del giornale, un ottimo strumento per la diffusione di notizie e opinioni, fosse fondamentalmente valida e avesse solo bisogno di un lifting digitale. Di conseguenza, le discussioni sfociavano in un entusiastico arrampicarsi sugli specchi , perseguito dalle risposte degli scettici.
“Se il Wall Street Journal è a pagamento, facciamolo anche noi!” (le notizie finanziarie sono una delle poche informazioni che i lettori non vogliono condividere).
“I micropagamenti funzionano per iTunes, facciamoli anche noi!” (i micropagamenti funzionano solo quando non ci sono alternative commerciali valide).
“Il New York Times dovrebbe far pagare i suoi contenuti!” (ci ha già provato).
E così all’infinito, mentre chi dovrebbe salvare i giornali si chiede: “Se il vecchio modello si è rotto, cosa lo sostituirà?”. La risposta è: niente. Niente potrà sostituirlo. Non esiste un modello generale per i quotidiani che possa sostituire quello appena distrutto da internet. Ora che la vecchia economia è andata in frantumi, le forme di organizzazione che funzionavano per la produzione industriale dovranno essere sostituite con sistemi ottimizzati per i dati digitali. Non ha più senso parlare di un’industria dell’editoria, perché il problema che l’editoria risolveva – la difficoltà e il costo di distribuire informazioni – non è più un problema.
………….

Internet compie quarant’anni. L’ utilizzo da parte del pubblico è iniziato circa venti anni fa. L’ utilizzo del web come  parte della nostra vita quotidiana da una decina d’anni. Siamo in questo preciso punto. Nemmeno i rivoluzionari possono prevedere cosa succederà.
Immaginate di essere nel 1996 e di chiedere a qualche esperto della rete di illustrarvi le potenzialità di Craigslist, che è nato da appena un anno.
Probabilmente vi risponderà che le mailing list sono strumenti molto potenti, oppure che gli effetti sociali si stanno intrecciando con le reti digitali, e via dicendo. Ma nessuno poteva immaginare quello che è successo: Craigslist è diventato una componente cruciale della rete, si è diffuso in centinaia di città ed è entrato a far parte delle cose che ora riteniamo possibili.
Gli esperimenti si rivelano punti di svolta cruciali solo dopo un po’ di tempo. Nel graduale passaggio di Craigslist da “interessante, ma secondario” a “essenziale e determinante” c’è una possibile risposta alla domanda: “Se il vecchio modello si è rotto, cosa lo sostituirà?”.
La risposta è: niente lo sostituirà, ma tutto potrebbe sostituirlo. È il momento di sperimentare.

La società non ha bisogno dei giornali, ha bisogno di giornalismo. Per un secolo l’imperativo di rafforzare il giornalismo e quello di rafforzare i giornali sono stati così collegati da diventare indistinguibili. È stato un caso felice, ma oggi dobbiamo trovare altri modi di rafforzare il giornalismo.
Se spostiamo l’attenzione da “salvare i quotidiani” a “salvare la società”, l’imperativo di “salvaguardare le istituzioni esistenti” si trasforma in quello di “fare qualunque cosa funzioni”. E quello che oggi funziona è diverso da quello che funzionava prima.
Nei prossimi decenni il giornalismo sarà fatto di una serie di casi particolari. Molti di questi modelli saranno creati da amatori, ricercatori e scrittori. Altri dipenderanno da sponsorizzazioni, sovvenzioni e donazioni. Molti altri esisteranno grazie a un gruppo di quattordicenni pieni di energia che diffonderanno le notizie.
Molti di questi modelli falliranno. Non sarà un solo esperimento a sostituire quello che stiamo perdendo con la fine del giornali, ma con il tempo l’insieme degli esperimenti che funzionano potrebbe darci il giornalismo di cui abbiamo bisogno.

Magistratura metastasi del paese

Tuesday, 24 March 2009
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di Sergio Fornasini

Non c’è Google che tenga, non si trova proprio un’altra affermazione così pesante pronunciata da un primo ministro in nessun paese al mondo. Tranne il nostro, siamo particolarmente fortunati o cosa?

Silvio Berlusconi l’ha esternata durante il viaggio inaugurale del treno “FrecciaRossa” da Milano a Roma, rammaricandosi per l’assenza dei vertici della società Impregilo, che detiene circa il 75% del consorzio che ha avuto in appalto i lavori Tav. L’impedimento è derivato dalla condanna in primo grado di pochi giorni fa, condanne fino ad un massimo di 5 anni ed oltre 150 milioni di danni da rifondere,  per i dirigenti dell’azienda accusati di smaltimento illecito di rifiuti durante i lavori di costruzione della tratta Firenze-Bologna. Per il premier «c’e’ una magistratura che e’ una metastasi», rinnovando gli attacchi dell’esecutivo al potere giudiziario.

Come per tutti gli imputati ed i condannati in gradi intermedi di giudizio, fino alla sentenza definitiva non c’è colpevolezza. Probabilmente ragioni di opportunità hanno impedito ai manager di Impregilo di partecipare al viaggio inaugurale. C’è da augurarsi che la magistratura faccia piena chiarezza sulla vicenda giudiziaria e pervenga rapidamente ad un pronunciamento definitivo, questo più o meno avrebbe dovuto affermare una delle più alte cariche dello stato.

O no?

Punti di vista sulla crisi economica: per Obama non bastano le mezze misure, per Berlusconi è sufficiente un'aspirina

Tuesday, 24 March 2009
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di Sergio Fornasini

Che sia in atto una enorme crisi finanziaria lo sanno anche i sassi: solo in Italia migliaia di persone stanno perdendo il posto di lavoro, il PIL va giù come anche i consumi e non c’è un solo indicatore economico che lasci presagire una pronta ripresa.

A poco più di una settimana dal G20 di Londra, in questo scenario si colloca l’intervento odierno del Presidente Obama, che dalle pagine dell’Herald Tribune dichiara: “Attraversiamo un periodo di sfide economiche mondiali che non possono essere vinte con mezze-misure o gli sforzi isolati di una qualche nazione”. Lancia poi un appello ai leader dei Paesi del G20 ad adottare nel vertice del 2 aprile a Londra, “misure audaci, a largo spettro e coordinate” per frenare la crisi economica mondiale. Secondo Obama, è necessaria una azione coordinata e globale sul quadro normativo: servono regole per evitare il ripetersi delle bolle speculative (rainews24.it). Il Presidente americano andrà quindi a Londra con l’obiettivo ben preciso e dichiarato di coinvolgere tutti, anche i partner europei, nella sua auspicata revisione delle norme applicate alla finanza.

Silviuccio nostro, come sempre, sembra invece molto più ottimista. Niente toni gravi, per Berlusconi “abbiamo tutte le condizioni per guardare al futuro con fiducia e uscire da questa crisi per la quale non si capisce bene quali siano le cure e che tutti stiamo tentando di superare con un po’ di aspirina“, ha detto Berlusconi parlando della crisi globale. Per il premier bisogna reagire “a questa influenza americana, questo virus che viene dall’America e che ha colpito un corpo sano”. Ma soprattutto “esistono tutti i presupposti per fare bene. Il governo ha una solida maggioranza che garantisce la governabilità e questo è importante per uscire bene dalla crisi” (reuters). Qualche minuto dopo, la stessa agenzia pubblica un chiarimento ulteriore: “Quella americana è una malattia che è diventata una influenza per noi”. Poi ha proseguito con una frase che più che ad un raffreddore fa pensare a qualcosa di peggio: “Spero che tutto possa risolversi. Sono stato per due giorni a Bruxelles, nessuno sa quale sia la cura giusta, né quale sarà il futuro e nessuno ha azzardato previsioni”.

Auguri di pronta guarigione.

COMUNICATO STAMPA “COMITATO AZIONISTI ITALIANI ”

Tuesday, 24 March 2009
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g-demarchi

riceviamo e volentieri pubblichiamo un comunicato di Gianluigi De Marchi

E’ stato costituito a metà marzo il Comitato Azionisti Italiani, organismo che ha per obiettivo quello di raccogliere i piccoli risparmiatori azionisti delle grandi banche quotate in Borsa per partecipare attivamente alle assemblee.

Il Comitato opera all’interno di ART (Associazione Risparmiatori Tangobond, presieduta da Egidio Rolich), che da anni tutela non solo coloro che hanno subito perdite per investimenti nei titoli del paese sudamericano, ma tutti coloro che hanno avuto danni legati alle “maleconsulenze” del sistema bancario.

Responsabile del Comitato è stato nominato il dottor Gianluigi De Marchi, esperto finanziario e giornalista economico che ci ha dichiarato: “Intendiamo non solo raccogliere deleghe per partecipare alle assemblee, ma soprattutto convincere tanti piccoli azionisti che debbono essere presenti ai grandi appuntamenti societari, capire come si muovono le aziende, chiedere chiarimenti sulle prospettive e, quando è il caso, chiamare gli amministratori a rispondere delle loro azioni. Vogliamo cercare di attivare una “democrazia partecipativa”, perché essere azionisti non significa solo incassare un dividendo o sperare di guadagnare tanti soldi speculando in Borsa, ma invece essere protagonisti della vita aziendale, così come prevedono le leggi e gli statuti societari”.

Le adesioni si raccolgono presso la sede torinese di A.R.T. (C.so Re Umberto 88, tel. 011/5681299) o via mail (tangobond@tangobond.it).

Cronista scrive ad Articolo 21: «Camorra mi minaccia, non posso più pubblicare»

Tuesday, 24 March 2009
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dal Corriere del Mezzogiorno/Adnkronos

Domenico Palmesano: «Se avvenisse la mia eliminazione fisica essa è stata preceduta dalla fine professionale»

Roma, 23 mar. – (Adnkronos) – “Io non posso piu’ scrivere sulla stampa locale casertana, non posso pubblicare le mie inchieste sugli intrecci tra politica, affari e camorra, io, per i padroni e i padrini, devo morire; per un giornalista investigativo non poter pubblicare le proprie inchieste e’ come morire. Qualora avvenisse la mia eliminazione fisica, pericolo che non mi nascondo e che ritengo concreto e attuale, essa e’ stata preceduta dalla piu’ completa e devastante eliminazione professionale”. Il drammatico appello rivolto ad Articolo21 e’ del giornalista Vincenzo Palmesano.

“Io sono un giornalista professionista -scrive ancora Palmesano- vivo di giornalismo, ma nella mia terra non ho mai potuto lavorare per portare la pagnotta a casa. Non posso lavorare io ma nemmeno i miei familiari: la camorra non vuole. Mi hanno fatto il vuoto intorno, terra bruciata. E’ questo il clima in cui vivo nella ‘Svizzera dei clan’ con mia moglie e i miei tre figli. Non so che cosa ci riservera’ il destino, nel quale comunque ho speranza.”

“La redazione del giornale on line www.articolo21.info -afferma il direttore Stefano Corradino- ha deciso di pubblicare questo appello in grande evidenza perche’ preoccupata dalle continue minacce a cui giornalisti e cronisti nel sud sono esposti quotidianamente per il lavoro di informazione che svolgono, rischiando sulla propria pelle”.

“Non conosciamo personalmente Palmesano ma gli amici di ‘Libera Informazione’ e Lorenzo Diana ce lo hanno sempre descritto come un uomo schivo, coraggioso, quotidianamente impegnato nella lotta per affermare i valori della legalita’. Del resto -prosegue Corradino- la sua biografia e i suoi scritti sono li’ a testimoniarlo. La sua indipendenza di giudizio, il suo desiderio di scoprire gli intrecci tra la camorra, la politica e le istituzioni, lo hanno reso inviso ai boss, a quelli palesi e soprattutto a quelli occulti”.

“Le denuncie di Palmesano -afferma Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21- viaggiano in rete perche’ e’ sempre piu’ difficile trovare un giornale o una emittente che voglia registrarle. Nelle prossime ore consegneremo formalmente al Presidente della Camera Fini al presidente della commissione antimafia Pisanu e alle autorita’ competenti, questa lettera affinche’ sia compiuto ogni sforzo per ripristinare, anche in quella terra, il primato della legalita'”.

“A tutti i media -conclude Giulietti- chiediamo di recepire l’appello di Palmesano e di dare spazio alla sua denuncia per sgominare quella oscurita’ che e’ la migliore alleata dei poteri criminali e dei loro complici”.

Le nuove centrali – “La lista dei siti nucleari? Un esercizio tra amici”

Tuesday, 24 March 2009
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da www.dire.it

ROMA – Una lista di siti individuata per “un esercizio tra amici”, per di più “di area ambientalista”, una lista fittizia, quindi, ma non troppo lontano da quella ‘vera’, visto che le caratteristiche necessarie a realizzare una centrale nucleare son quelle. E’ la lista che solleva proteste in ognuna delle 14 località individuate come potenziale sede di una centrale nucleare, lista redatta da Francesco Meneguzzo, scienziato del Cnr, esperto di energia e innovazione, che lavora presso l’Ibimet di Firenze, che lo ‘confessa’ al ‘Foglietto’ di Usi/Rdb Ricerca, il sindacato di base dei lavoratori della ricerca, on line domani.

Ma Meneguzzo sul nucleare ha le idee chiare: “Si tratta di un modello energetico fallimentare”.Insomma, da quasi un anno il suo studio sulle 14 località (Monfalcone, Chioggia, Ravenna, Caorso, Trino, Fossano, Scarlino, San Benedetto del Tronto, Latina, Termoli, Garigliano, Mola di Bari, Scanzano Ionico, Palma e Oristano) che avrebbero i requisiti per ospitare centrali nucleari, crea aspre polemiche, riesplose nei giorni scorsi dopo l’accordo tra Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy per realizzarne 4 in Italia. Meneguzzo, raggiunto dal ‘Foglietto’, ha accettato di rispondere ad alcune domande. Dello studio si dichiara “coautore, a dire la verità, con altri amici anche più esperti della materia”. Si è trattato di “un esercizio tra amici, di area ambientalista. Io sono iscritto ai Verdi- aggiunge- ma non posso dire che l’esercizio sia stato commissionato da loro”.

Lo studio “può essere considerato uno ‘screening preliminare’- aggiunge lo scienziato del Cnr all’Ibimet di Firenze- probabilmente non tutti i criteri sono stati tenuti in considerazione, ma scommetterei di non essere andato troppo lontano dai risultati di un eventuale studio più rigoroso. Del resto, da qualche parte queste centrali andranno pure installate”.

Il ‘Foglietto’ chiede a Meneguzzi se non sarebbe più utile uno studio per l’individuazione di siti dove investire in fonti alternative al nucleare. “Ovviamente sì- risponde- anche non avendo niente contro il nucleare, non si può sorvolare sul fatto che l’uranio 235 estratto oggi non è sufficiente a coprire il fabbisogno delle centrali esistenti, e non si vede come ne possa essere estratto di più in futuro”.