Rai condannata anche in appello, legittimo il reintegro di Michele Santoro nella TV pubblica

Tuesday, 24 March 2009
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ultimo aggiornamento: 24 marzo, ore 12:56

Roma 24 mar. – (Adnkronos) – “Ieri la Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, presidente Ermanno Cambria e relatore Donatella Casablanca, ha confermato integralmente la sentenza emessa dal tribunale di Roma in primo grado con la quale la Rai era stata condannata a reintegrare Michele Santoro nelle mansioni di realizzatore e conduttore del suo programma in prima serata e aveva condannato la Rai a un risarcimento danni in misura di circa un milione di euro”. Lo rende noto l’avvocato Domenico D’Amati, legale di Michele Santoro

Per uno scambio di battute su Facebook, Gioacchino Genchi sospeso dalla polizia

Tuesday, 24 March 2009
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di Sergio Fornasini

Non avete letto male, il titolo di questo articolo è corretto: Gioacchino Genchi è stato sospeso a tempo indeterminato su disposizione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno e sottoscritta dal Capo della Polizia Antonio Manganelli. Secondo quanto riportato da Adnkronos, l’atto è motivato da dichiarazioni “lesive per il prestigio di istituzioni dello Stato” e pubblicate sul blog del poliziotto-consulente.

Il 19 marzo Genchi scrive su Facebook un messaggio di auguri per la festa del papà, il giornalista di Panorama Gianluigi Nuzzi ricambia “seppur mal tollerando alcune tue bugie”. Questo innesca uno scambio di battute che viene riportato successivamente da 19luglio1992.com oltre che in “Legittima difesa“, il blog personale dello stesso Genchi. Il contenuto della replica conclusiva è stato ritenuto talmente grave da generare il provvedimento disciplinare, con sospensione dalle funzioni e dello stipendio. Ma sono davvero così lesive per gli organi dello stato le parole scritte in risposta alle accuse del giornalista, sono “atteggiamenti deontologicamente scorretti per un funzionario della Polizia di Stato” come è scritto nel documento di sospensione? Basta leggerle per rendersi conto del pretesto strumentale, prosegue l’isolamento di colui che è stato consulente di tanti magistrati.

Per il momento a favore di Genchi la solidarietà arriva solo via Facebook, nulla da segnalare ancora dal fronte travaglino-grillino-dipietrino. Invece Salvatore Borsellino annuncia iniziative di protesta e lancia questo appello: “Tenetevi pronti : io, Sonia Alfano e Benny Calasanzio stiamo per lanciare un appello per protestare sabato davanti alle questure di tutta Italia contro il vergognoso provvedimento preso nei confronti di Gioacchino.
Non lo lasceremo massacrare in silenzio, dobbiamo difenderlo finchè è vivo, non piangerlo quando sarà morto, dobbiamo portare davanti a tutti la nostra rabbia o saremo anche noi complici di questo assassinio.
Preparatevi, non è più tempo di parole, alziamo la testa, non accetteremo più che la Giustizia sia calpestata e che prevalga il sopruso nei confronti dei servitori onesti dello stato. Reagiamo ora, subito, o ci elimineranno uno per uno.

RESISTENZA non deve essere solo una vuota parola da scrivere in un blog, deve essere un urlo che si deve levare nelle piazze, davanti ai luoghi del potere, che deve fare tremare le vene e i polsi a chi sta distruggendo il nostro paese, a chi sta rubando il futuro ai nostri giovani.

Alcuni media sembrano ignorare completamente le motivazioni della sospensione, ne cito tre scelti non a caso: il Corriere scrive che il fatto è avvenuto a seguito dell’inchiesta che vede l’ex consulente di De Magistris indagato per abuso d’ufficio e violazione della privacy, antimafia2000.com invita a precisare ma tuttora senza esito. Il Giornale non si discosta di una virgola ed anche per Repubblica la sostanza non cambia, anzi alla disinformazione comune aggiunge anche una bella perla confondendo cognomi, vedere qui nell’allegato che bello svarione. Da enciclopedia del giornalismo, nemmeno il copia-incolla sanno fare. Adnkronos pubblica prima la notizia già ben definita e dopo neanche mezz’ora riporta il contenuto dell’atto notificato a Genchi, subito ripreso da libero-news.it, riportando la notizia correttamente a testimonianza della professionalità della redazione diretta da Vittorio Feltri.

Occhio a quanto scrivete su Facebook, può essere pericoloso. Ma non c’era la libertà di espressione?

Scontro maddeche?

Tuesday, 24 March 2009
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di Filippo Facci da Facebook

Certi toni asseverativi della Chiesa, opinione di chi scrive, in passato erano più rari. Forse la la radicalizzazione del linguaggio è un adeguamento al «vero scontro di civiltà» che secondo il capo della Cei sarebbe in atto «fra credenti e non credenti».

Eppure, tra tutti gli scontri che ci dilaniano, quello tra credenti e non credenti è l’ultimo che vedo. Gli italiani, sappiamo, sono credenti a modo loro, cioè credenti o meno secondo circostanza. Sono divisi in se stessi, impossibile dividerli gli uni dagli altri.
Vana, poi, è la velleità di soppesarne la fede secondo le bandiere politiche.

Un sondaggio di Crespi Ricerche, la scorsa settimana, spiegava che su certi temi gli italiani si dividono per esempio così: l’80,4 per cento di essi ritiene di dover stabilire i trattamenti sanitari che gli siano o non gli siano praticati una volta che fossero in stato di incoscienza; applicata agli elettori del Pdl, la percentuale resta alta: 70,9 per cento. Il 55,6 per cento degli italiani, poi, pensa che un medico non abbia diritto di imporre una cura; tra gli elettori Pdl la percentuale è del 47,5 per cento. Riconoscimento delle coppie di fatto: italiani favorevoli 55,8 per cento, elettori Pdl favorevoli 50,9 per cento. Divorzio breve: italiani favorevoli 70,5 per cento, elettori Pdl 69 per cento.

Su certi temi, ergo, stare con la Chiesa e stare con la maggioranza degli italiani non è matematicamente possibile.

Da mostro violentatore di capodanno a semplice sballato

Monday, 23 March 2009
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Ovvero un caso di cattiva informazione, consumato sull’altare della lotta ai violentatori ed alla insicurezza. Del crimine che arriva quando non te lo aspetti, mentre la gente si sta divertendo.  Non si tratta di rumeni questa volta, ma non cambia nulla: la stampa ha descritto Davide Franceschini, 22enne da Fiumicino, come  “il mostro di capodanno”, il violentatore di una ragazza di 25 anni. Presunto episodio di violenza sessuale accaduto la notte di capodanno, nei locali della nuova Fiera di Roma. Per il mega-party migliaia di giovani e sballo a volontà per molti di loro, compresi i due protagonisti della brutta storia. Sta di fatto che le cose sembra proprio non siano andate come da subito hanno raccontato i giornalisti, sempre a caccia della notizia a sensazione e senza remore nel descrivere il giovane come un efferato violentatore. Perché a giudicare dai titoli e dagli articoli, è così che si fa in genere nelle redazioni: quando c’è un potenziale mostro passa in secondo piano la sua versione di come sono andate le cose. Proprio come un branco di lupi che si buttano a sbranare una preda agonizzante. (sf)

Vera storia di Davide, il mostro di capodanno – di Filippo Facci da Facebook

Si può dire in molti modi. Per esempio: lo stupro di capodanno non fu neppure uno stupro. Oppure: lo stupratore di capodanno, il 22enne che ha sollevato incredibili polemiche perché messo agli arresti domiciliari, non è propriamente uno stupratore. Ancora: il Decreto anti-stupri, nato dal suo caso, è dovuto a un caso di lesione trasformato in stupro dalla vittima. Questo dopo che che i due romeni della Caffarella si sono rivelati innocenti. E non è finita: non se se abbiate presente lo stupro di una donna di 41 anni a Primavalle il 21 gennaio scorso. Bene: si accettano scommesse.

Ma per intanto, dopo un’attesa intollerabile, ecco la storia dello «stupro» di capodanno, vicenda che nessuno in tutto questo periodo è riuscito a raccontare. Ci aveva provato un giornalista del Tg5: niente da fare. Ci aveva provato un inviato di Repubblica: nisba. La storia non passava, perché il clima è quello che è, e si teme che certe storie possano sembrare giustificazioniste o peggio maschiliste.

Questo, basato su carte giudiziarie e informazioni varie, dovrebbe uscire sul Giornale di domani, lunedì.

***

Quel Davide Franceschini che il 29 dicembre si scaraventò davanti alle telecamere di Studio Aperto non era un 22enne come tanti, ma come tantissimi: «Nel 2009 c’è da divertirsi» disse prima di spiegare che «luci strobo e musica techno» era tutto ciò che gli serviva.
Che poi è quello che gli servirono la sera del 31 al Festival internazionale «Amore 09», insomma al festone della Fiera di Roma: migliaia di giovani, alcol e droga come neanche a Capodanno. Lui era di Fiumicino ed era già fattissimo, perché si usa così. Lei invece aveva 25 anni ed era di Genzano, zona Castelli, pure lei fattissima: i suoi amici non avranno difficoltà ad ammetterlo agli inquirenti.

Ma non c’è bisogno di raccontare proprio tutto, tantomeno il nome di lei o altri fatti perfettamente suoi: c’è da dire tuttavia il necessario affinché questa brutta storia prosegua. Cioè che lei, per esempio, alle 4 e mezza, era ubriaca persa e ballava in mezzo a un gruppetto di ebeti che le si strusciava addosso, le tirava su i vestiti: tanto che un amico dovette intervenire per difenderla; e sarebbero fatti suoi, nondimeno, che lei in un momento imprecisato abbia anche avuto un rapporto sessuale con qualcuno che non fu, però, Davide Franceschini, ossia il ragazzo accusato d’averla stuprata: l’ennesima prova del Dna infatti non lascerà dubbi, quelle tracce sessuali appartengono ad altri. Mentre Davide, quel ragazzo con la felpa bianca e i capelli cortissimi, ovviamente strafatto, lo conobbe solo più tardi.
Gli amici ricordano che verso le 5 del mattino i due si scambiavano effusioni senza problemi, ed erano quasi teneri mentre mano nella mano, alle 5 e 15, si dirigevano stravolti e barcollanti verso i bagni chimici dove ogni cosa accadde.

Quanto avvenuto, di qui in poi, è sospeso tra la confusione di lei e il racconto di lui: che però verrà ritenuto credibile non solo dai giudici, ma anche dalla difesa della ragazza.

Tralasciando per quanto possibile i dettagli, successe questo: in bagno c’erano andati solo per una rapida fellatio da ascriversi al delirio di quella notte: ma lui, strafatto, non funzionava. Prese l’iniziativa, usò una mano, e qui è difficile entrare nell’ottica convulsa e alterata di chi è sovralimentato dalla cocaina: sta di fatto che a un certo punto lei gli disse che non era buono manco con la mano, e cominciò a sfotterlo, sinché lui perse la testa e ogni confine fu superato ufficialmente, droga o non droga. Lui le fece violenza, sempre con la mano, le diede anche due pugni in volto.

E lei, poco più tardi, invocava aiuto e aveva delle macchie di sangue sul vestito. Disse che era stata violentata da più persone in mezzo alla pista, e uno di loro aveva una felpa bianca. Parve impossibile. Seguirà un’altra versione: un tizio con la felpa bianca l’aveva scaraventata in bagno e violentata.

«La ragazza aveva ricordi confusi», dovrà annotare il giudice, una donna, «in quanto aveva bevuto e aveva assunto sostanze stupefacenti».

Quello con la felpa bianca, intanto, quella notte era stato identificato mentre tornava a Fiumicino dopo aver già percorso 15 chilometri a piedi: ai poliziotti aveva ammesso solo d’aver sbaciucchiato una ragazza dei Castelli. Ci sarà una perquisizione a casa sua, e la felpa bianca verrà acquisita come fonte di prova.
E qui andrebbe spiegato il contesto familiare di questo 22enne: che nessuno, beninteso, qui vuole compatire. Ultimo nato in una famiglia dove il fratello ha 20 anni più di lui, e dove tutti lavorano al forno di famiglia, la madre cominciò a pressarlo: che è successo, che hai fatto? Forse non era più chiaro neanche a lui: anche perché giorni dopo, quando lo chiamarono in questura per un confronto, la ragazza lo vide ma ufficialmente non lo riconobbe. E non l’ha riconosciuto mai, incastrata nelle troppe versioni di una storia che intanto si era gonfiata al punto da esporre la sua famiglia e indignare un Paese.

Pressato dalla madre, e su consiglio del suo avvocato, Davide decise di costituirsi. Non l’avrebbero mai beccato, se non l’avesse fatto: nessuna prova del Dna avrebbe potuto riscontrare un rapporto sessuale mai avvenuto. Il fornaio 22enne, incensurato e balbettante di vergogna, impressionò anche il capo della Mobile, Vittorio Rizzi, che si premurò che potesse ottenere i domiciliari perché «sennò quello s’impicca» – disse.
Li ottenne. Il gip, alla luce dei riscontri raccolti, scriverà che «Le dichiarazioni della ragazza contengono almeno tre diverse ricostruzioni dei fatti incompatibili fra loro, sono smentite dalle altre fonti di prova, non sono riscontrate neanche dalla natura delle lesioni subite che invece ben si spiegano alla luce del racconto offerto dall’indagato».

Lesioni, brutto reato: sta di fatto che nessuno, nel clima montante, col governo che si apprestava a varare un decreto antistupri derivante proprio da quel caso, nessuno, insomma, tantomeno i magistrati, si sognò di derubricare l’accusa di stupro in quella di lesioni.
Eppure il pubblico ministero che ottenne i domiciliari per Davide Franceschini, per dire, è lo stesso Vincenzo Barba accusato di accanimento contro i due romeni del parco della Caffarella.
E il gip che aveva acconsentito ai domiciliari, Marina Finiti, era nota per le dure condanne inflitte agli stupratori di una studentessa del Lesotho e a un giovane pirata della strada che per la prima volta nella storia giudiziaria italiana era stato incriminato per omicidio volontario anziché colposo: dovranno avvedersene anche gli ispettori ministeriali.
Persino il legale della ragazza, Fabrizio Federici, lo ripeté più volte: «Gli arresti domiciliari a Franceschini sono ineccepibili».
Mentre Pierangelo Maurizio, giornalista e consigliere del Fnsi, nel visionare le prime carte del caso Franceschini, si chiedeva se la categoria giornalistica non avesse niente da ridire a proposito.

A torto o a ragione, il clima era ormai quello che era: «Se non fanno giustizia come si deve, io giustizia me la farò da sola» mandava a dire la vittima mentre il padre era ancora più categorico: «Il ragazzo deve pensare a che cosa gli può succedere: io lo aspetto, non c’è problema».
Approvato il decreto antistupri, Davide Franceschini tornava poi in carcere negli stessi giorni in cui la ragazza veniva fermata per possesso di cocaina.
E veniva nuovamente ri-liberato, Franceschini, nell’attesa di giudizio che riguarda un reato non migliore nè peggiore di quello che semplicemente è: «Non c’è stato uno stupro per come comunemente s’intende, ma una violenza grave per la quale il ragazzo pagherà pesantemente», ha detto il suo avvocato Francesco Bergamini.

Ma non è tempo di sottigliezze. Non è uno degli stupratori romeni di Guidonia, ma resta difficile che Davide Franceschini, da stupratore, divenga il lesionatore di Capodanno.

I magistrati moralisti

Sunday, 22 March 2009
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giudici

da napolionline.org – grazie a Tommaso Farina che lo ha segnalato su Facebook

Scritto da Adolfo Scotto di Luzio da il Corriere del Mezzogiorno

Alcuni magistrati diffidano della politica e si oppongono ai suoi tentativi di riformare la giustizia. Sono restii, tuttavia, a guardarsi allo specchio. Non si chiedono, ad esempio, che cosa sono diventati in questi anni di grande esposizione mediatica. Al contrario, da loro viene una forte pretesa a spiegare il mondo e a caricarsi di compiti generali. In questa pretesa il magistrato travalica spesso i confini della giurisdizione e occupa campi di tradizionale pertinenza del discorso pubblico.

Questa rilevanza pubblica, a sua volta, retroagisce sulle scelte del magistrato e seleziona le cause da perseguire. Abbiamo magistrati in politica e inchieste che sembrano fatte apposta per dare rilievo politico ai magistrati. Il caso di De Magistris, candidato alle Europee e in aspettativa dalla magistratura, è esemplare da questo punto di vista. Il problema, naturalmente, è più generale e riguarda la nascita, in questi anni, di un magistrato di nuovo tipo, che tende a interpretare il proprio ruolo in termini etici.

La scrittura dei giudici è un terreno interessante sul quale verificare i tratti di questa trasformazione. La magistratura ha sfornato molti autori di romanzi. Il cosiddetto fenomeno del noir all’italiana ha prodotto nell’opinione pubblica del nostro paese una vera e propria fascinazione degli atti processuali, pari almeno al voyeurismo delle intercettazioni pubblicate sui giornali. Si pensi al fenomeno Gomorra e all’idea che contiene delle inchieste di camorra come serbatoi inesauribili di storie da narrare e fonti indiscutibili di verità.
Questa narrativizzazione spinta della fonte giudiziaria ha un impatto molto forte sul lavoro di questi giudici, perché fa delle loro scritture degli oggetti potenzialmente mediatici. Non più solo una tecnica della motivazione dell’atto processuale, ma il nucleo di un racconto, il pezzo di un’argomentazione che può finire sui giornali. Questo spinge il giudice a rivolgersi, anche solo idealmente, a un pubblico più vasto di lettori. Che non è precisamente il popolo italiano in nome del quale si emettono tradizionalmente le sentenze, ma una massa di consumatori che domanda alle storie che legge emozioni e criteri pratici per le condotte del vivere: dall’educazione dei giovani, al vivere e al morire, ai conflitti etnici e religiosi.

Ora, se i giudici che sono diventati scrittori famosi sono pochi, la magistratura è invece piena di magistrati che nella motivazione dei loro provvedimenti aspirano a farsi di volta in volta storici, sociologi soprattutto, pedagogisti. Senza, naturalmente, esserlo e senza avere dunque gli strumenti per controllare la produzione di enunciati che pure aspirano ad una portata generale.

Atteggiamenti di questo tipo segnalano una tendenza più ampia a sconfinare dai limiti della giurisdizione che è stata duramente contestata di recente dall’Associazione nazionale magistrati. In un comunicato del dicembre 2008, che suona come una decisa inversione di tendenza e un primo richiamo all’ordine, l’Anm ha ritenuto «di dover ricordare che il dovere di motivazione dei provvedimenti giudiziari consiste nella chiara e analitica descrizione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali il provvedimento si fonda».

C’è da chiedersi però da dove venga questo stile di una parte della magistratura e in fondo questa sua insofferenza per i limiti della giurisdizione e le regole formali dell’ordinamento. Le sue radici affondano nella divaricazione che nel corso degli anni Settanta si produsse nel corpo stesso della magistratura, isolando una componente, allora minoritaria, di giudici progressisti che, con gli strumenti di quella che all’epoca fu chiamata giurisprudenza alternativa, invasero il terreno tradizionale della politica. Su temi come la casa, il diritto alla salute, l’ambiente, quei magistrati cominciarono a fare politica con delle sentenze che prendevano il posto della politica e pretendevano di anticiparne le possibili riforme.

È da lì che viene la confusione attuale, l’idea che sul magistrato ricadano compiti più ampi di rappresentanza di interessi e valori collettivi. Questa idea incrocia ai giorni nostri il vento dell’antipolitica e della spettacolarizzazione. Il fatto, tuttavia, che si tratti oggi del sostegno dato ai gruppi di cittadini che si oppongono ad una discarica attraverso il sequestro di un sito o della difesa del buon nome del tifoso napoletano, come nella recente richiesta di archiviazione per i fatti relativi alla partita Roma Napoli del 31 agosto 2008, cambia di poco e niente la natura del problema. Che è e resta un problema di ruoli e di equilibri istituzionali infranti di cui i magistrati per primi dovrebbero sentirsi responsabili.

Safilo: un'altra azienda leader che porta la produzione all'estero. E lo chiamano ancora "Made in Italy"

Friday, 20 March 2009
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safilo

dal nostro amico Wil, nonleggerlo.blogspot.com

Estremo Nord-Est. La Crisi arriva fin qui. Provincia di Udine, tasso di Occupazione tra i più alti in Europa. Un’isola apparentemente felice. Ma l’assenza dello Stato si sente eccome, uno Stato incapace di esaltare le nostre eccellenze, incapace di tutelare il “Made in Italy”, marchio che d’ora in poi verrà completato da un Punto di Domanda.

Oggi vi mostrerò in anteprima un documento che alcuni Dipendenti Friulani della Safilo hanno inviato alla redazione di Report e a molti altri, tra cui Beppe Grillo. E’ arrivato anche qui, non posso dire di più: l’anonimato dei mittenti per ora deve rimanere tale. Molte società, “con la scusa della Crisi”, per coprire errori indipendenti dall’attuale dissesto economico/finanziario o solamente per tagliare i costi di manodopera, sceglieranno di delocalizzare in qualche “Paradiso Impreditoriale”. Ecco la Lettera:

“Vi scriviamo questo messaggio trasportati da un senso di impotenza di fronte alla certezza, non più minaccia, della perdita del posto di lavoro.

Siamo dipendenti della Safilo SpA, un’ azienda leader mondiale nella produzione di occhiali di alta gamma; a seguito del CdA del 16 marzo, la nostra Azienda ha dichiarato che lo stabilimento di Precenicco, 331 dipendenti, verrà chiuso a breve e quello di Martignacco (entrambi in provincia di Udine) ha 450 esuberi. Le scelte aziendali porteranno al licenziamento di 781 persone! Qui non stiamo parlando degli effetti della Crisi Mondiale sui consumi e le imprese, ma bensì sull’occasione che molti imprenditori stavano aspettando per Delocalizzare le proprie produzioni.

Il Gruppo Safilo, presente da oltre 70 anni nel mercato dell’occhialeria, è il 2° operatore mondiale, in termini di ricavi, nello sviluppo, produzione e distribuzione all’ingrosso di prodotti del mercato dell’occhialeria. Grazie alla qualità della manodopera di operai qualificati, alla vasta gamma di griff, ma soprattutto alla possibilità di marchiare i prodotti con il Made in Italy, il fatturato ha segnato una costante crescita (solo nel ’08 lieve flessione del 3,7%). Purtroppo il margine operativo lordo è fortemente appesantito dagli interessi passivi che il gruppo paga sul forte indebitamento verso le banche (principalmente gruppo Intesa e Unicredit).
La discesa economica, per non parlare di tracollo, a nostro avviso non è dovuta alla crisi in atto, ma a scelte aziendali sbagliate. Ora, per riparare a tali errori la maggior parte della produzione verrà spostata nel sud est asiatico. Nonostante ciò, grazie a legislazioni sbagliate o incomplete, la Safilo continuerà a forgiarsi del marchio Made in Italy. Questa regolamentazione ha portato al fallimento o ad enormi difficoltà molte imprese tessili, nonché tanti altri comparti, tra cui il nostro. La Safilo ha già costruito in Cina uno stabilimento che occupa 400 dipendenti ed a regime ne avrà 3.000 (link)! Nel 2005 aveva già cominciato tale strategia, chiudendo tre sedi operative, Calalzo, Ronchis e Coseano. Ed acquistando da terzisti cinesi (a loro volta importanti azionisti Safilo) semilavorati ai quali in Italia, presso i nostri stabilimenti, viene fatta solo la finitura ed il controllo, per poi apporre il tanto rinomato Made in Italy.

A grandi linee la legge in materia afferma che affinché un prodotto sia marchiato Made in Italy è sufficiente che sia fatto in Italia solo il 40% del costo della lavorazione (ma in Cina il costo del lavoro è 1/10 rispetto al nostro!). Tale legge sembra fatta appositamente per garantire un grande margine di guadagno ai potenti industriali a scapito dei piccoli artigiani e ancor più di noi lavoratori. Non solo, così come vengono prodotti gli articoli oggi, la truffa colpisce pure i consumatori, che acquistano occhiali, abbigliamento o altro convinti di salvaguardare l’economia italiana o di acquistare un prodotto di una certa elite (alcune firme prestigiose richiedono per contratto il marchio Made in Italy), ignari del fatto che lo stesso sia in realtà prodotto in Cina. Un consumatore ha diritto di poter scegliere, deve esigere di poter valutare, Made in Italy o meno, cosa sia più opportuno acquistare relazionando in maniera trasparente prezzo, qualità, provenienza. I produttori avrebbero il dovere di dare alcuni forti garanzie: se una montatura ha serigrafato la dicitura Made in Italy essa deve rappresentare in maniera realistica il frutto artistico, intellettuale e manuale dei cittadini italiani!

Non si tratta ovviamente di questioni ideologiche nazionaliste, ma di salvaguardare il nostro lavoro, il nostro patrimonio sociale e culturale. Sappiamo inoltre che queste grandi potenze industriali sfruttano i paesi dell’est proprio perché poveri e privi di legislazioni a tutela dei lavoratori. Ecco che quindi che ad appesantire la situazione socio-economica si mischiano pure importantissime ragioni Etiche. Vi ricordate Gomorra di Roberto Saviano? L’autore denuncia la libera impresa e la concorrenza selvaggia, imprenditori che operano in una “legalità” malata, che spesso sfocia nell’illegalità. Controlli assenti, deboli o consenzienti permettono ai grandi gruppi di trarre il massimo dal marchio Made in Italy, spesso con uno sforzo minimo per quel che riguarda la dignità dei lavoratori. Fuori e dentro il Bel Paese.

Siamo affranti, delusi e molto arrabbiati: a Gennaio ci sono stati chiesti straordinari obbligatori; a Febbraio ci hanno messo in cassa integrazione; a Marzo ci comunicano che chiudono! Ci sentiamo feriti nel nostro orgoglio anche perché CONTRIBUENTI FRIULANI, perché la Safilo ha beneficiato di contributi ed agevolazioni che la nostra Regione, in quanto autonoma, ha potuto offrirle, oltre che averne beneficiato anche in Veneto, a Longarone, sfruttando la tragedia del Vajont!
Da parte nostra sono stati allertati gli organi politici a livello locale, ma ci sentiamo soli ed indifesi in questa lotta di poveri verso i potenti dell’economia.

Certi che questa nostro grido d’aiuto non resterà indifferente, rimaniamo in attesa di un vostro gradito riscontro.

Alcuni Dipendenti Safilo”

Potete leggere i post dei dipendenti Safilo su questo forum dedicato. Qui la LETTERA INTEGRALE (con maggiori dettagli sugli errori societari e molto altro: questa versione è stata sintetizzata). Interessante in materia anche la puntata di Anno Zero del 19 marzo, nonchè la storica puntata di Report sul “nero” delle grandi griffe nazionali.

20 marzo 1994 – 20 marzo 2009. Ilaria Alpi, una storia ancora da raccontare

Friday, 20 March 2009
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Unicredit chiede 4 miliardi di aiuti di stato

Friday, 20 March 2009
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da informazionesenzafiltro.blogspot.com

Il Corriere.it, giusto ieri, titolava: “Unicredit, niente bonus ai manager. Profumo: Il 2009 sarà un anno duro”. I colleghi di Repubblica.it: “Unicredit, 4 miliardi di utili nel 2008. Profumo: bene ma 2009 sarà duro”. Mentre per il Financial Times on line, più banalmente, il succo era un altro: “Unicredit in cerca di 4 miliardi di aiuti” di stato.

Questione di punti di vista.

Punti di vista – evidentemente – diversi. Che hanno spinto questi giornali on line a usare anche spazi diversi. Ieri sera, attorno all’ora di cena, le home page del Corriere si presentava così:

unicredit-1.png

E trovare la righina di titolo (che noi abbiamo cerchiato in nero) dedicata ad Unicredit era un po’ un’impresa. Mentre il Financial Times on line, invece, abbondava così:

unicredit-2.png

Ma questi son dettagli. Anzi: solo tagli (editoriali, s’intende). E il punto è un altro. Dopo il Banco popolare, anche Unicredit – che ieri ha presentato il suo bilancio 2008 alla stampa – è intenzionato a chiedere aiuto alle sgangherate casse dello stato italiano. E – a quanto pare – pure a quelle dello stato austriaco. Totale, appunto: circa 4 miliardi di euro di aiuti. Alla faccia della solidità delle banche nostrane. E per la gioia dei soliti contribuenti (italiani e austriaci) poverazzi.

Ma andiamo per ordine. E cominciamo dalle buone notizie. Scriveva, ieri pomeriggio, Repubblica.it:

Unicredit ha chiuso l’esercizio 2008 con un utile netto di 4,01 miliardi di euro, come previsto dal gruppo e al di sopra delle attese degli analisti finanziari, ferme a 3,77 miliardi. Subito dopo l’annuncio il titolo ha preso il volo in avvio di seduta in Piazza Affari segnando un rialzo iniziale del 7,8 per cento, a 1,04 euro. Ha poi chiuso a + 19,05″.

A proposito di azioni. Forse Repubblica avrebbe anche potuto ricordare che , nell’ultimo anno, le azioni Unicredit sono andate così:

azioni-unicredit.png

(Via it.advfn.com )

Ma anche questi – va da sè – son dettagli. Inezie. Ma esaurite le buone, passiamo alle cattive notizie. Scriveva sempre ieri, il Corriere.it:

Il Cda del gruppo – riunito martedì – ha annunciato che negozierà aiuti di Stato per 4 miliardi di euro dal ministero dell’Economia italiano, attraverso i “Tremonti bond”, da quello austriaco (al massimo 2,7 miliardi) dove il governo ha messo a disposizione un pacchetto di sostegno al sistema creditizio, e da investitori terzi. A Vienna il gruppo di piazza Cordusio è presente con Bank Austria, cui fanno capo le partecipazioni nella banche dell’Est.

Ora tralasciamo – come tralasciano Corriere e Repubblica on line – di ricordare che Bank Austria era proprietaria del 25% di Bank Medici, vittima della truffa Madoff (e tornata di recente agli onori delle cronache). E concentriamoci su un’altra questione. Profitti non fa rima con richiesta di aiuti di stato. Il che – per noi bamboccioni che sappiamo giusto fare i conti della lavandaia e siamo digiuni delle alchimie dell’Alta finanza – solleva un bel punto interrogativo. Ovvero: perchè

  • una banca che fa 4 miliardi di euro di profitti
  • dopo aver deciso un aumento di capitale (cioè aver chiesto altri soldi al mercato) per altri 3 miliardi di euro

chiede (in prestito) 4 miliardi di aiuti di stato?

Per fortuna, sempre ieri, l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo ha dato una spiegazione cristallina: “Siamo pienamente convinti di poter attraversare il ciclo economico con il nostro capitale ma abbiamo dovuto considerare anche l’arena competitiva, caratterizzata da banche europee che usano gli stessi strumenti – ha detto l’ad -. Il mercato si aspettava un cuscinetto di liquidità, per questo abbiamo deciso di fare richiesta per gli aiuti di Stato”. Ambeh. Per fortuna – per chi non avesse capito bene – il Financial Times on line ha ricordato che:

UniCredit’s stock price has slumped in recent months because of a perception that its capital base was weak and its heavy exposure to the struggling economies of central and eastern Europe.

Il prezzo delle azioni di Unicredit sono crollate negli scorsi mesi perchè il suo patrimonio di base era percepito debole e a causa della pesante esposizione verso le economie dell’europa centrale e dell’Est che sono in difficoltà.

In difficoltà, per modo di dire. Visto che alcuni paesi dell’Est sono considerati a rischio crac. Ma comunque sia: speriamo che la spiegazione sia tutta lì. Che le alchimie finanziarie incoomprensibili per i poveri bamboccioni non nascondano sorprese. E non ci sia polvere sotto il tappetto. Perchè, se no, i soliti contribuenti poverazzi saranno – più presto che tardi chiamati – a rimettere mani al portafoglio.

Ma – dubbi e punti interrogativi a parte – una cosa è certa. I soldi – quando sono quelli dei soliti contribuenti poverazzi e vengono prestati a destra (alle banche) o a sinistra (alle aziende) – non fanno mai notizia. Non in Italia, almeno.

Annozero del 19 marzo: Sabina Guzzanti scatenata

Friday, 20 March 2009
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sabina-berlusca

Sono arrivato tardi a casa questa sera, giusto in tempo per la performance di Sabina Guzzanti ad Annozero. Forse ero stanco o forse sto invecchiando: più che divertente l’ho trovata quasi oscena in alcuni passaggi del suo intervento. Ho anche avuto l’impressione che Santoro fosse imbarazzato per alcune battute. Ho come la premonizione che domani si leveranno nuovamente voci molto critiche sulla trasmissione, magari invocando l’intervento della commissione di vigilanza. Staremo a vedere. Tempo a disposizione permettendo, domani cercherò di rintracciare il video e pubblicarlo, per proporlo al giudizio dei lettori del blog.

P.S.: mi hanno brevemente riassunto il monologo iniziale di Travaglio, se la descrizione è stata corretta ho trovato punti di vista in comune con MT su alcuni avvenimenti della settimana politica Altro video da rintracciare per me domani. (sf)

FF a testa bassa contro Di Pietro

Friday, 20 March 2009
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dipietro

Non so se domattina la troverete su Il Giornale, in cartaceo oppure online. Poco fa Filippo Facci ha inserito una nota su Facebook dal titolo “Un buffone”, veramente dura su Antonio Di Pietro. Pubblico solo la prima frase e gli ultimi due punti, quelli che personalmente ritengo ineccepibili. Lascio a voi immaginare gli altri (sf) **** Update ore 10:00: articolo completo pubblicato su ilgiornale.it ****

di Filippo Facci da Facebook

Luigi De Magistris è quello che è: ma Di Pietro? Il problema è sempre lui, chi la candidatura l’ha proposta: un omone che ha sullo stomaco il pelo di King Kong ed è pronto a cavalcare qualsiasi piagnonismo che possa nascere da una disperazione vera o presunta.

[…]

5) Di Pietro dice cose terribili contro la casta e i suoi i privilegi, ma vediamo lui: ha cooptato la famiglia in politica, ha il figlio indagato, la moglie in tesoreria e il cognato in Parlamento. Ricordiamo che il Partito appartiene a lui per statuto (anche i finanziamenti pubblici) laddove si prevede che lui, Presidente, non possa decadere mai come neppure Chavez in Venezuela. Poi: lui, ex poliziotto e dipendente comunale e ministeriale, è andato in pensione dopo 13 anni scarsi da magistrato e ora denota un carnet previdenziale che lo farà titolare della somma o dell’incrocio di tre pensioni. Tanti che continuano a macerarsi sul perché Di Pietro decise di dimettersi proprio nel dicembre 1994 (in realtà, formalmente, maggio 1995) seguitano a ignorare che il 14 ottobre precedente, dopo averla celermente chiesta, aveva ottenuto la nomina a magistrato d’Appello che gli permise di elevare la soglia di pensione minima. Poi c’è stata la pensione da europarlamentare, giacché si fece eleggere una seconda volta, e ora attende la terza, così che l’europensione non languisse. In definitiva: a partire dai finanziamenti pubblici, definiti «porcata» e tuttavia incassati personalmente anche nel 2001 quando pure non fu eletto, resta da conoscere anche solo un privilegio a cui Di Pietro abbia rinunciato.

6) Perché, serve altro?

Sicurezza: ma Berlusconi ce l'ha la retromarcia oppure no?

Thursday, 19 March 2009
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b-berlusconi

di Sergio Fornasini

Difficile decifrare la giornata odierna in tema di sicurezza ed in funzione della “lettera dei 101” del PdL. Forse la ormai famosa missiva non può dirsi un segno del dissenso, come l’ha definita l’Unità. Piuttosto un richiamo alla discussione parlamentare, luogo che dovrebbe essere eletto a massima espressione del confronto politico. O forse prova di forza interna al PdL, chissà. Comunque l’iniziativa qualche effetto lo ha determinato,  visto che il premier poche ore fa ha espresso la sua solidarietà ai firmatari, riscuotendo subito l’apprezzamento di Gianfranco Fini.

Oltre al segnale di condivisione per la propria squadra, arriva anche la bacchettata per gli alleati di governo: «Agli amici della Lega dico che non possono avere sempre tutto» dichiara Berlusconi, annunciando la disponibilità a cambiare la legge. E rincara la dose aggiungendo: «Gli amici della Lega sono esigenti su molte cose, ad esempio sulla vicenda delle ronde. L’esigenza delle ronde noi non la sentivamo come loro, anche perché sapevamo che sarebbe stata strumentalizzata dall’opposizione e quindi dai media come la volontà di sostituirci alla polizia». Mi sembra una significativa presa di distanze.

La Lega, per mezzo del suo leader nonché Ministro delle Riforme Umberto Bossi, sceglie per il momento la reazione morbida. Il Senatur dichiara: “Tutti vorrebbero volere tutto… Berlusconi è un amico, alla fine un equilibrio lo troviamo”. Aggiungendo  che Berlusconi ha subito “pressioni”, riferendosi forse alla situazione interna del nuovo PdL che va a formarsi con la confluenza di AN e FI, una fusione niente affatto fredda per il momento.

L’opposizione sta reagendo a modo suo alla novità odierna. La senatrice Finocchiaro dichiara che “Berlusconi fa marcia indietro su tutto. Si sta rendendo conto che le norme sull’immigrazione e sulle ronde sono socialmente pericolose e hanno prodotto effetti dannosi che non sono già più sotto il controllo del governo”. Rincara la dose Rosy Bindi, che esorta il Ministro Brunetta ad ingranare pure lui la retromarcia prendendo esempio da Berlusconi. Oggi il Ministro della Funzione Pubblica aveva definito “guerriglieri” gli studenti dell’Onda.

Pronta la replica di Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: “Ma quale marcia indietro di Berlusconi e indietro da dove, pretende di vedere la senatrice Finocchiaro? Questa sinistra ormai alle corde se ne inventa di tutte pur di dare addosso al governo e a Berlusconi”.

Non ho rilevato per il momento reazioni da parte dell’IdV, ma conoscendoli è facile ipotizzare che non tarderanno. A margine, c’è da registrare che in mattinata Di Pietro ha annunciato il voto favorevole del suo partito al federalismo fiscale.

Notizia di agenzia: De Magistris indagato a Roma, i suoi ex colleghi ne accompagnano così l'ingresso in politica

Wednesday, 18 March 2009
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luigi-de-magistris

da www.ansa.it

DE MAGISTRIS: INDAGATO A ROMA CON PM SALERNO

ROMA – L’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris è indagato a Roma per le ipotesi di reato di concorso in abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio, in relazione all’inchiesta avviata lo scorso dicembre dalla procura generale di Catanzaro, che indagò per i medesimi reati anche sette pm della procura di Salerno, tra cui l’ex procuratore Luigi Apicella. Anche i sette magistrati salernitani sono indagati a Roma.

La vicenda si riferisce alla cosidetta guerra tra le procure di Catanzaro e Salerno. Gli atti che riguardano De Magistris e i pm salernitani sono stati trasmessi alla procura capitolina nello scorso mese di febbraio per competenza territoriale, in quanto De Magistris, che ieri ha annunciato che si candiderà alle elezioni europee con l’Italia dei Valori, è giudice al Tribunale del riesame di Napoli.

EX PM, IPOTESI REATO DEL TUTTO INFONDATE
Sono “del tutto infondate” le ipotesi di reato a suo carico: lo dice l’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, commentando con l’ANSA la sua iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma per concorso in abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio. “Si tratta di una vicenda che nasce dall’illegale contro-sequestro compiuto dalla Procura generale di Catanzaro”, ha continuato l’ex pm, che in questi giorni ha dato notizia della sua intenzione di candidarsi alle Europee con l’Idv e lasciare le toghe. “Ritengo si tratti di una iscrizione dovuta, e l’ipotesi di reato è del tutto infondata. Del resto – ha concluso – rientra nelle plurime, reiterate, infondate segnalazioni di reato che provengono dai magistrati di Catanzaro, indagati per fatti gravissimi dalla Procura di Salerno”.

IDV CANDIDA DE MAGISTRIS, VULPIO E SONIA ALFANO

Il Pm Luigi de Magistris, Sonia Alfano, figlia del giornalista Bebbe Alfano ucciso dalla mafia e il giornalista Carlo Vulpio sono i primi candidati dell’Italia dei Valori alle prossime elezioni europee. Le tre candidature, presentate dal leader dell’Idv, Antonio di Pietro in una conferenza stampa, sono “indipendenti”. “Altre – ha detto Antonio Di Pietro – seguiranno”.

DE MAGISTRIS: MANCINO, NON TORNI IN TOGA

I magistrati che scelgono la politica non dovrebbero più tornare in magistratura. E’ questa l’opinione del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, espressa in occasione del via libera del Consiglio Superiore all’aspettativa dell’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, che si candiderà alle europee con Antonio Di Pietro.

Il vice presidente del Csm, Nicola Mancino, prima di esprimere il suo voto favorevole al collocamento in aspettativa dell’ex pm Luigi De Magistris, ha letto al Plenum la seguente dichiarazione:” L’esigenza che esprimo è che venga disciplinata l’ipotesi del parlamentare che vuole tornare a fare il magistrato. A mio avviso è preferibile che venga stabilito il divieto di rientrare nell’Ordine Giudiziario, e venga garantita, a domanda, la mobilità nella Pubblica Amministrazione, nella funzione e nel ruolo press’a poco corrispondenti a quelli di provenienza”. “La Pubblica Amministrazione – ha detto ancora Mancino -recupera un patrimonio di esperienze e di professionalità e la magistratura perde un giudice divenuto parte”.

“La candidatura del dott. Luigi De Magistris, ma non è e non sarà la sola, pur legittima, chi può mai comprimere l’elettorato passivo? – ha detto ancora il vice presidente del Csm, Mancino – apre un dibattito (l’ennesimo) e una riflessione (vecchia)”. “Una volta candidato, il giudice ammette d’essere divenuto parte, non foss’altro perché si è schierato con una forza politica, e non certo per un solo giorno- ha sottolineato – lo status di parlamentare è a termine, permane fino a quando gli elettori lo confermano. Può anche accadere che il parlamentare spontaneamente rinunci alla carica elettiva”. “La questione è tutta intorno al rientro nel ruolo di magistrato. E’ giusto che rientri?Ho sempre sostenuto di no – ha concluso – anche se non sono mai riuscito, quando ero in Parlamento, ad avere condivisione da molti colleghi parlamentari”.

DE MAGISTRIS, SCELTA DI VITA, NON TORNERO’ INDIETRO
“Per me questa è una scelta di vita. Ho passato da poco i 40 anni e finora ho fatto il magistrato. Ora, con questa scelta di candidarmi con l’Idv, seguirò un nuovo progetto di vita: la mia è una scelta irreversibile, anche qualora non dovessi essere eletto”. Così il pm Luigi de Magistris, nel corso di una conferenza stampa ha spiegato che comunque non tornerà in magistratura dopo questa scelta “La mia – ha spiegato de Magistris – è una sorta di sconfitta della magistratura. Il mio sogno è sempre stato di fare il magistrato. La svolta c’é stata quando ho capito che non si voleva andare a fondo nelle inchieste. Ma da un’ apparente sconfitta – ha sottolineato – ho capito di avere una grande opportunità. Candidandomi con l’Idv posso fare qualcosa per il mio paese, per il bene pubblico. Anche perché c’é un grave pericolo per noi tutti: stanno svuotando la Costituzione con leggi ordinarie e la stanno stravolgendo con la prassi e c’é bisogno di fare comprendere all’Europa come è a rischio la nostra democrazia dove ormai c’é la criminalizzazione del dissenso e si tende al pensiero unico. Siamo in una fase che precede una svolta autoritaristica”.

Beppilbullo e quei giornalisti da licenziare – La ricetta grillina per la riforma dell'editoria: licenziare i giornalisti e chiudere i giornali

Wednesday, 18 March 2009
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grillo-01

di Alessandro D’Amato per giornalettismo.com

Soltanto di due cose potremo essere sicuri a questo mondo: che il sole sorgerà domattina, e che Beppe Grillo nello stesso giorno perderà l’ennesima buona occasione per starsi zitto.  A questo giro, il Beppone nazionale, non contento della clamorosa bella figura ottenuta in occasione dei referendum da lui promossi e finiti nel nulla, se la prende con i giornali e i giornalisti: “La crisi è piena di buone notizie. Una tra le migliori è la fine dei giornali. Il 30/40% della pubblicità li ha abbandonati da inizio anno. I lettori sono sempre più rari. I dati ufficiosi stimano tra il 10 e il 20% in meno le copie vendute nell’ultimo anno per molte testate. Rimane la carità del Governo e molti editori sono con il cappello in mano nelle sale d’aspetto a Palazzo Chigi. Per vivere grazie alle nostre tasse“. E fin qui, nulla da dire. Se non fosse che, visto che il ragazzone ci teneva tanto, poteva organizzare un’altra raccolta di firme contro le provvidenze all’editoria. Magari utilizzando gli incassi del Dvd registrato in occasione della penultima kermesse…ops, pardon: della penultima adunata democratica che ha visto il popolo dei grillini protagonista.

Poi si va sul concreto: “Entro il 2009 molti giornali ci lasceranno per sempre. Il problema occupazionale esploderà per i professionisti della balla stampata. Battista, Mauro, Mieli, Giordano, Feltri, Belpietro, Romano, Scalfari, Merlo, Giannini. Cosa faranno? Che futuro li aspetta? Potrebbero verificare la loro popolarità con un blog. Tanti accessi, altrettanta pubblicità on line e soldi. Negli Stati Uniti con 100.000 accessi unici al mese puoi vivere. Rendono fino a 75.000 dollari all’anno. Metti la tua credibilità e competenza in Rete e chi ti paga, anche se indirettamente, è il lettore“. Ora, non so se è vero che molti giornali ci lasceranno per sempre entro il 2009: IlBullo è fatto così, la spara grossa per vedere l’effetto che fa, tanto la memoria del pubblico è altamente selettiva.

Ma una cosa è certa: se anche questo dovesse essere l’anno della chiusura di molti giornali, ciò non andrà a detrimento di nessuno dei grandi nomi citati più su (e l’elenco non è fatto a caso: ce ne sono tantissimi di tromboni nel giornalismo, ma IlBullo ha accuratamente scelto quelli che hanno parlato male di lui, lasciando stare gli altri). No, semmai saranno i redattori semplici a perdere il posto. Un’evenienza che si deve mettere in conto quando si fa questo mestiere, certo. Ma sentire pure qualcuno che parla di “lavacro purificazionale per quei cattivoni dei giornalisti”, facendo di tutta la merda un fascio, fa piuttosto ridere. Ma la perla più divertente, Grillo, la raggiunge nel finale: “Uno degli obiettivi del V2 day era la fine dei finanziamenti ai giornali.Il referendum è stato respinto da Carnevale, ma finiranno prima i giornali dei finanziamenti. Non è un’eccellente notizia?“. Qui il capopopolo de’ noantri continua a raccontare barzellette, a discapito dell’aria seria. Inutile spiegare, a lui e ai suoi piccolifanZ, come è andata quella volta: era stato proprio un gruppo di costituzionalisti a fornire un parere nel quale venivano spiegati tutti i i rischi per la validità delle firme, rischi che – dalle scarne notizie che escono dal Palazzaccio – hanno portato alla situazione di oggi. Nella quale, a dire il vero, non c’è ancora nulla di deciso, visto che il presidente Corrado Carnevale ha deciso di ascoltare il promotore prima di fare una scelta. Nell’occasione, Carnevale disse anche che aveva convocato i responsabili del comitato referendario per ascoltare le loro ragioni. Peccato che a quella riunione Grillo non si sia presentato, e abbia deciso così di dare ragione a chi pensava che la storia fosse un pochino diversa da come il Comintern la raccontava. Ovvero, che i referendum fossero soltanto una scusa, e quello che più premeva era fare l’ennesimo spettacolino il cui resoconto si potesse vendere nel negozio on line più prestigioso del mondo.

E allora tanto vale ripetersi. ‘Che poi io mica lo capisco qual è il problema dei referendum del V-Day2. Basta ri-raccogliere di nuovo le firme al più presto possibile. Non ci sono i fondi, dite? Non è vero. Bisogna infatti ricordare che il Dvd del giorno in cui si è rovinato tutto è ancora disponibile per l’acquisto ad almeno 10 euro e 30 centesimi (e che oggi sono acquistabili anche i dvd dell’intervento settimanale di Travaglio), e di sicuro qualche soldino sarà quindi entrato nelle casse della holding dell’indignazione un tanto al kilo. Abbastanza per ripetere di nuovo la procedura, rispettando stavolta i termini legali, e la Cassazione non avrà nulla da obiettare. Non vedo dove sia il problema. Poi, se Grillo non lo fa, allora dovrà anche accettare che qualcuno cominci a pensare alla sua come a un’iniziativa strumentale. Ma di sicuro non è così, vero?

"Piano casa": il Veneto brucia i tempi e vara un suo progetto – Il governatore della Sicilia vorrebbe legarlo al fotovoltaico – Preoccupazione dell'Anci, perplessità per Bankitalia – Per Di Pietro è un condono preventivo, per Franceschini è solo demagogia

Tuesday, 17 March 2009
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berlusconi-muratore

di Sergio Fornasini

Secondo notizie di agenzia il premier vuole varare venerdì prossimo in Consiglio di Ministri il nuovo piano di rilancio dell’edilizia, il piano casa. Punterebbe addirittura ad un decreto legge, ritenendolo un provvedimento urgente da attuare. A questo scopo, è previsto per oggi un incontro di Berlusconi con il Presidente della Repubblica, sempre secondo voci di agenzia per assicurarsi il consenso (e la firma sul decreto)  di Napolitano. Si tratterebbe, fa notare l’Unità, del 35° decreto legge in neppure un anno di governo.

E mentre a Roma si manovra, in Veneto si da il via ad un disegno di legge regionale. Approvato ieri dalla Giunta regionale il Disegno di Legge “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per promuovere le tecniche di bioedilizia e l’utilizzo di fonti di energia alternativa e rinnovabile”. I contenuti sono quasi gli stessi dell’annunciata iniziativa governativa, praticamente una fotocopia. Superate quindi le perplessità in un primo tempo manifestate dal leader della lega Umberto Bossi, il governatore Galan passa direttamente alla fase operativa. Nella versione della regione Veneto è previsto un contributo fino all’80% per l’installazione di impianti fotovoltaici.

A proposito di energie rinnovabili, nei giorni scorsi il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ha palesato l’ipotesi di legare il rilancio dell’edilizia all’installazione di mini impianti fotovoltaici per uso domestico. La proposta non entusiasma però Domenico Cutrona, segretario del Movimento Popolare Federalista Europea, che al riguardo si è così espresso: in Sicilia ”nessuna imposizione ed obbligo dell’utilizzazione del fotovoltaico deve essere approvata, verso chi vuole ampliare il suo appartamento con il Piano Casa” (ASCA – Palermo, 17 marzo).

Il progetto governativo solleva molte critiche e perplessità, fra le altre quelle di Leonardo Domenici, Presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), con una lettera inviata ai Ministri Fitto e Matteoli richiede un incontro urgente prima dell’approvazione del piano in CdM. Domenici sottolinea che “le nuove disposizioni in materia urbanistica andranno a sovrapporsi o a sostituirsi a quelle statali, regionali e locali” e pertanto “incidera’ anche e pesantemente su competenze e funzioni in materia urbanistica dei Comuni italiani” (ASCA – Roma, 17 marzo).

Per il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, “Il progetto di un piano casa annunciato dal governo potrebbe essere di stimolo all’economia ma la portata è incerta ferma restando l’esigenza che il provvedimento rispetti l’ambiente e i piani urbanistici.”

Dure critiche arrivano dall’opposizione, per Antonio di Pietro (IdV) si tratta di un condono preventivo:  “Una volta c’era il condono post reato, adesso c’e’ il condono preventivo. Vi faccio una legge affinche’ potete fare tutto quello che volete”, per Franceschini del PD “È una norma demagogica fatta unicamente per raccogliere qualche voto. Per questo non la possiamo accettare”.

20 marzo 1994 – 20 marzo 2009: 15 anni senza verità e giustizia. Per non dimenticare Ilaria e Miran

Tuesday, 17 March 2009
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ilaria_alpi

Sono incredibilmente passati quindici anni da quel terribile giorno, senza che la commissione parlamentare d’inchiesta e la magistratura abbiano potuto appurare la verità sulla tragica morte della giovane inviata della Rai e del suo operatore. Da allora, in tutto il mondo, sono stati uccisi più di cinquecento reporter di guerra: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni, Marcello Palmisano, Raffaele Ciriello solo per ricordarne alcuni.

È arduo appurare la verità sui difficili scenari di guerra nei quali lavoravano questi coraggiosi giornalisti. Ancora più difficoltoso è maturare la convinzione che sia stato fatto abbastanza per scoprirla. (sf)

da www.ilariaalpi.it

20 Marzo 1994 – 20 Marzo 2009. 15 anni fa a Mogadiscio, in Somalia, venivano barbaramente assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Due persone, due giornalisti italiani inviati della Rai che erano in Somalia per svolgere un il proprio mestiere con passione e professionalità. Per raccontare quello che stava succedendo in quel, tuttora, martoriato paese.
Quest’anno ricorre il 15° anniversario dalla loro morte e verità e giustizia sono lontane. Il sito Ilaria Alpi, come ogni anno, durante il periodo che precede l’anniversario invita tutti i propri lettori ad inviare pensieri, commenti e riflessioni, che verranno pubblicati nella sezione PER NON DIMENTICARE.

Chi lo desidera può lasciare commenti e riflessioni inviando una mail all’indirizzo di posta elettronica info@ilariaalpi.it oppure scrivendo dei messaggi sulla bacheca del social network Facebook.
Per commemorare l’evento l’ Associazione Ilaria Alpi e il Comune di Riccione esporranno due teloni in memoria di Ilaria e Miran fuori dalle sede comunale riccionese e fuori dal Palazzo del Turismo.

Inoltre in questi giorni saranno pubblicati su questo sito le iniziative e i programmi tv che si occuperanno di loro e delle loro storie.

Proprio venerdì 20 marzo sono previste diverse iniziative.

Sui quotidiani “Repubblica” e “L’Unità” sarà pubblicato un necrologio che recita così:

20 marzo 1994 – 20 marzo 2009: 15 anni senza verità e giustizia.
Ilaria e Miran non vi dimenticheremo mai.
La nostra lotta è diventata una ragione di vita, nel tentativo di portare a termine il vostro lavoro e impegno. Noi non ci fermiamo, cerchiamo verità e vogliamo giustizia.

Giorgio e Luciana Alpi
Associazione Ilaria Alpi

Nello stesso giorno Rai Storia (canale 805 della piattaforma Sky) ricorderà Ilaria Alpi in un documentario dal titolo “Donne coraggiose”.