Una cittadina in rivolta: in Sicilia un caso di malasanità scatena la ribellione

Thursday, 27 August 2009
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filippo-li-gambi

di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Non è il primo e malauguratamente non sarà nemmeno l’ultimo caso, l’argomento disfunzioni nella sanità è purtroppo sempre ben alimentato da episodi simili.

A causa del ritardo con il quale è giunto in una struttura attrezzata, un giovane di appena 23 anni è morto. Vittima di un incidente stradale e della chiusura della sala operatoria nell’ospedale che gli ha prestato i primi soccorsi. Costretti a trasferirlo altrove, i medici non hanno potuto intervenire in tempo: il ragazzo è morto dissanguato.

Il triste episodio poteva passare inosservato, non fa quasi più notizia uno dei tanti morti in incidenti stradali. Questa volta invece la gente di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, si è stretta attorno alla famiglia del giovane e si è ribellata. Oggi negozi chiusi, strade bloccate: un paese intero in rivolta.

Un esempio di come ci si possa ribellare al consueto andamento delle cose. La notizia è ora su tutti i quotidiani online, se a Mazzarino oggi avessero piegato la testa da sudditi anziché come cittadini non sarebbe successo quasi nulla.

Come sempre.

La società civile è anche indignarsi e far sentire le proprie ragioni.

( la notizia sul corriere.it )

Comunione e Liberazione. Da movimento a impresa con fatturati a nove zeri

Thursday, 27 August 2009
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CL

di Fulvio Lo Cicero da dazebao.org

Il tradizionale meeting di Rimini accoglie ecumenicamente tutti, berlusconiani e antiberlusconiani, atei e devoti. Da trent’anni, l’appuntamento estivo di Cl detta l’agenda politica del Paese. In nome di una disinvolta interpretazione del Vangelo

ROMA – Cambiano i sistemi politici e quelli elettorali. Emergono nuovi leader, le legislature trascorrono con il peso di quanto di buono e di cattivo esse producono. Gli italiani crescono, invecchiano, muoiono. Ma lei, Cl, cioè “Comunione e Liberazione” ed il suo meeting tutto politico di Rimini sono eterni, destinati per sempre a dettare l’agenda politica del Paese.

Sempre uguale a se stessa, Cl mostra di guardare al futuro; così, esattamente come accadeva trent’anni fa, individua in Giulio Andreotti (90 anni) il suo politico d’elezione e l’esempio da seguire. Con un significativo aggiornamento: Silvio Berlusconi. È lui ora il leader cui i ciellini guardano con ammirazione, fino a considerare scarsamente degne di nota le sue disavventure amorose. Per i cattolici di Cl, infatti, non conta quello che fa in privato un Capo di governo, se frequenti escort o, pur inconsapevolmente, personaggi al centro di inchieste della magistratura per spaccio di stupefacenti, se telefoni a minorenni perché ne ha ammirato le giuste positure. Tutto questo non ha importanza, perché al centro delle valutazioni di questi cattolici c’è soprattutto il “principio di sussidiarietà”.

In questa cornice “evangelica” c’è allora posto per tutti. Negli anni Ottanta per personaggi come Vittorio Sbardella, detto amorevolmente “lo squalo”, leader della corrente andreottiana nel Lazio, ex assaltatore fascista della libreria “Rinascita”, diventato editore di “Il Sabato” ed inquisito nella tangentopoli romana che costò la poltrona di sindaco al suo affiliato Pietro Giubilo. Lui stesso, poco prima di morire per un male incurabile a 59 anni, disse: “Dio mi perdonerà”.

Santità e affari, Vangelo e interessi economici. Nella fenomenologia di Comunione e Liberazione c’è tutto questo ed anche di più. Un’inchiesta del mensile “Altreconomia” in uscita a settembre, mette in evidenza la propensione all’impresa di questi cattolici che sembrano aver letto e assorbito il weberiano “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, sostituendosi ai discendenti di Lutero e Calvino.
[Roberto Formigoni (foto Lo Cicero)]

Roberto Formigoni (foto Lo Cicero)
«A Crema, in provincia di Cremona – si legge nell’inchiesta – sono arrivati 4,5 milioni di euro per costruire una scuola privata. La Regione Lombardia, ricevuta la richiesta di finanziamento dalla Fondazione Charis, ha stanziato i soldi in appena due settimane. Efficienza, secondo gli amministratori regionali. Favoritismo, dicono dall’opposizione: la scuola è di fedele osservanza ciellina, ovvero è riconducibile a Comunione e liberazione».

Ma si sa, fra il governatore lombardo Formigoni e la premiata ditta fondata da Don Giussani negli anni Sessanta c’è un rapporto strettissimo. Tanto da oltrepassare qualsiasi ostacolo. Nell’assestamento del bilancio regionale per il 2009, si prevede una sostanziale parificazione degli ospedali di proprietà di enti ecclesiastici con quelli pubblici e la conseguente possibilità di ripianare i loro deficit con i soldi dei cittadini. Il provvedimento riguarderebbe anche il
[Luigi de Magistris]

Luigi de Magistris
San Giuseppe, struttura di cui è coordinatore scientifico l’ex leader di Cl Giancarlo Cesana, l’allievo prediletto di Don Giussani, appena nominato presidente del polo di ricerca e cura del circuito sanitario Policlino-Mangiagalli-Regina Elena, che significa nascite ma anche aborti.

Praticamente le strutture e gli uomini di Cl sono dovunque in Lombardia ci siano fondi pubblici e finanziamenti europei, come ad esempio l’Ente fiera, che fattura 306 milioni e ha profitti per 4,7. Poi, elemento certamente non secondario, c’è il vero e proprio braccio affaristico di Cl, la “Compagnia delle opere”, nata nel 1986, una holding che, secondo un modello rivoluzionario di gestione economica, raggruppa 34 mila aziende che fatturano complessivamente 70 miliardi di euro. Lo scopo di questa holding, secondo il suo statuto, è “promuovere e tutelare la presenza dignitosa delle persone nel contesto sociale e il lavoro di tutti, nonché la presenza di opere e imprese nella società, favorendo una concezione del mercato e delle sue regole in grado di comprendere e rispettare la persona in ogni suo aspetto, dimensione e momento della vita”.

Una lettura un po’ diversa di questa concezione evangelica dell’impresa economica è fornita da Mario Agostinelli, capogruppo al Consiglio regionale di “Sinistra-Un’altra Lombardia”, secondo il quale «nel sistema lombardo, la Compagnia delle Opere è un’invenzione formidabile, perché si interpone tra i bisogni dei cittadini e una massa considerevole di imprese del campo etico-sociale: assistenza, istruzione, formazione. Così sfugge l’elemento della privatizzazione ed emerge quello del volontariato,
[Giancarlo Cesana]

Giancarlo Cesana
del “dono”». Aggiunge ancora Agostinelli: «Tanta fama di eccellenza è a scapito del bene pubblico, della qualità della vita delle generazioni future. I diritti privatizzati vengono erogati soltanto se sono remunerativi».

Della Compagnia delle opere si è occupata anche la magistratura, in particolar modo la Procura di Catanzaro e il pm Luigi De Magistris, che, nel 2007, ha indagato su Antonio Saladino, referente della Compagnia in Meridione e in Calabria in particolare, per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato. Ma, come si sa, De Magistris ha subito una vera e propria epurazione, con l’avocazione delle sue inchieste e il suo trasferimento, tanto da aver chiesto l’aspettativa dalla magistratura per candidarsi al Parlamento europeo nelle liste dell’Idv. Forse stava indagando troppo in alto, quasi vicino al Padreterno.

La strage dei delfini

Thursday, 27 August 2009
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strage-delfini

di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Sembra impossibile, ma l’uomo riesce a fare anche questo: annualmente migliaia di delfini vengono uccisi per finire sulle tavole dei giapponesi. Ne parla oggi in un articolo de lastampa.it Stefano Gulmanelli, prendendo spunto da un documentario girato nella cittadina di Taiji, cittadina posta a circa 120 Km a sud di Osaka. Il filmato è stato presentato e premiato all’edizione 2009 del Sundance Film Festival, per realizzarlo ha richiesto un certo impegno per superare la rigida sorveglianza intorno all’area di pesca, o meglio di mattanza.

Apparentemente da quelle parti i delfini e le balene sono tenuti in grande considerazione: ovunque a Taiji sono raffigurati questi maffimeri marini. La realtà non è così idilliaca, ogni anno la baia si tinge del rosso sangue di migliaia dei nostri cugini acquatici che finiscono massacrati.

La denuncia de “La Stampa” non è propriamente su un argomento inedito, ma ben venga, seppure non faccia che riprendere quanto era già da tempo in rete. Basta mettere in moto il motore di ricerca ed ecco emergere un articolo di settembre 2005 (in inglese), da corriere.it ad ottobre 2005, dal blog di Panorama ad aprile 2007, Los Angeles Times a dicembre 2008 e così via. Taiji purtroppo non è l’unico luogo del Giappone nel quale vengono praticate queste stragi, ne parla anche elcriso.it, sito dedicato principalmente alla cura delle piante.

È una storia molto simile a quella che ha fatto il giro del mondo lo scorso anno, le immagini del massacro di delfini e balene alle isole Faroe hanno provocato una forte reazione di sdegno. Per ravvivare la memoria su quanto accade in quelle isole, che fanno parte della Danimarca quindi della civile Europa, segnalo un link ad un video particolarmente cruento, non guardatelo se il sangue vi fa impressione. Dalla stessa fonte verabestia.org un breve documento filmato sulla cruenta mattanza dei delfini in Giappone: qui la raccomandazione di evitarne la visione se siete impressionabili è ancora più necessaria.

Mi auguro che il documentario del quale parla l’articolo de lastampa.it contribuisca a squarciare il velo di scarsa notorietà su questa barbara consuetudine, di seguito pubblico il trailer di “The Cove” (La Baia).

Nel filmato, da notare la reazione dei giapponesi ai quali, per strada, vengono mostrate le immagini cruente del massacro. Una cosa è mangiare una bistecca, l’altra vedere come viene ucciso l’animale dal quale proviene. Vale anche per le salsicce, i polli arrosto, ecc.

Questo trailer di un film sulla TV è stato rifiutato dalle reti televisive italiane

Thursday, 27 August 2009
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Che strano, questo trailer l’hanno rifiutato…

Mettiamoci l’anima in pace, la TV costituisce il mezzo di informazione più potente. Meglio filtrare meticolosamente tutti i messaggi che transitano dal piccolo schermo. Poi già che ci siamo buttiamolo fuori anche dalla Mostra del Cinema di Venezia, non si sa mai. (sf)

Dagospia tira in ballo Furio Colombo sull'eredità Agnelli. Noi l'avevamo già fatto più di due mesi fa

Thursday, 27 August 2009
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Dagospia ha pubblicato ieri esattamente quello che Fabrizio Spinella ha trattato in questa nota del 15 giugno scorso. Fra l’altro Spinella ha esposto l’argomento in maniera decisamente più elegante ed incisiva, a mio giudizio. Ho come la sensazione che pur di non citare questo blog si faccia riferimento a vecchi libri di MT, forse si tratta solo di una impressione personale. Certo che un piccolo link verso di noi ogni tanto ci starebbe bene, siamo volenterosi ma poveracci. (sf)

(*) Dal sito “Dagospia” di mercoledì 26 agosto, dove si ricorda quello che in questo blog è stato nel giugno scorso trattato…

L’AVVOCATO OFF-SHORE NON STIMOLA FURIO COLOMBO – PECCATO, DAL LIBRO DI TRAVAGLIO “IL PROCESSO” (‘97) emerge che il Furetto ha fatto parte per ben 10 anni (’84-’94), del CDA della Overseas Bank di Nassau – CHE Travaglio DEFINISCE come “la banca off-shore delle tangenti Fiat”…
Si dice che il neo-direttore di Libero Maurizio Belpietro, dopo le dieci circostanziate domande sul patrimonio estero dalla famiglia Agnelli e sui fondi Fiat oltrefrontiera, stia sperando segretamente in qualche reazione anche da Sfurio Colombo, neo-fondatore del Fatto Quotidiano insieme ad Antonio Padellaro, ma soprattutto a suo tempo ambasciatore e fiduciario dell’Avvocato all’estero ed in particolare nel mercato americano, dove riceveva i clienti Fiat nel suo invidiatissimo ufficio a Park Avenue.
Anche perché proprio nel libro “Il Processo”, scritto da Travaglio insieme a Massimo Novelli e Paolo Grisieri (Editori Riuniti, Roma. 1997), si racconta – come spiega il sottotitolo – “la storia segreta dell’inchiesta su Cesare Romiti: guerre, tangenti e fondi neri Fiat”.
Dalle carte di quel processo emerge che il Furetto ha fatto parte per ben dieci anni, dal 1984 al 30 giugno 1994, del consiglio di amministrazione della Overseas Union Bank & Trust di Nassau. La Oubt situata nella capitale delle Bahamas, in un basso palazzotto della Bay Street, viene definita da Travaglio & c. come “la banca off-shore delle tangenti Fiat”.
Anzi, meglio, “più che una banca vera e propria, l’Overseas Union Bank & Trust è uno sportello aperto dalla Fiat nelle Bahamas, a disposizione dei vari manager bisognosi di fondi neri. Non solo, dunque, per custodire sul celebre conto gli interessi del tesoretto Sacisa, ma anche per elargire generosi prestiti alle diverse società sprovviste di fondi neri in proprio: prestiti senza garanzie nè cauzioni. E soprattutto, a babbo morto: senza obbligo di restituzione”…

(*) segnalato da Fabrizio Spinella

Fisco, ecco il trucco per dribblare Tremonti e Obama

Wednesday, 26 August 2009
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italiaoggi-260809

un gustoso e fiscalmente driblante articolo di Franco Bechis per il suo blog e per Italia Oggi

Prima mossa, prendere su tutti i propri risparmi ovunque conservati e portarli in Lichtenstein. Sì, proprio nel paese che per primo ha tradito la fiducia dei propri depositanti vendendo i loro nomi alla Germania. A Vaduz, ma dai gestori giusti. Pronti a varcare l’Oceano, destinazione Panama, l’ultima terra libera dalla morsa del fisco internazionale, visto che di lei se ne è dimenticata pure l’Ocse. Lì costituire una fondazione a cui intestare capitali e conti detenuti in Lichtenstein, e non c’è Barack Obama o Giulio Tremonti che possa bussare a quella porta.

Chi ha ideato il sistema e lo ha messo in vendita perfino su Internet assicura che funziona. Si tratta di un gruppo di specialisti nella gestione dell’offshore. Il sistema è stato ideato dalla Panama offshore Incorporation e propagandato dal sito www.doubleassetprotection.com in risposta sostanziale alla guerra santa verso i paradisi fiscali.

Nessuno ovviamente sostiene che bisogna beffare o dribblare il proprio sistema fiscale nazionale, ma l’ingegnoso meccanismo viene utilizzato per sfuggire al pressing di creditori insistenti. Vero che agli americani i gestori di patrimoni panamensi spiegano che è difficile blindare i propri risparmi standosene seduti comodamente in poltrona, perché poi accade che perfino la Svizzera con la sua Ubs ti volta le spalle e arrivano i guai.

Che funzioni davvero o no, certo il meccanismo non è alla portata di chiunque, e chissà se bisogna fidarsi dei professionisti di Panama. Ma non farei spallucce, prendendo la cosa come un banale tentativo di truffa ai risparmiatori. Quel che oggi viene senza pudicizia alcuna suggerito e addirittura messo in vendita attraverso la rete, è poi lo stesso mestiere che fior di consulenti e studi tributari internazionali con più o meno raffinatezza fanno da decenni ideando architetture complesse e sfruttando tutti i meandri della legislazione per fare più ricchi i loro clienti e assai meno le esattorie dei singoli Stati.

Dalle operazioni finanziarie più ingegnose alla costruzione di catene di controllo esterovestite, la storia delle imprese italiane è piena dei frutti dell’ingegno dei migliori consulenti. Tutti legalissimi, finchè le maglie della legge non si sono ristrette. Ma con un solo scopo: non pagare quel che verrebbe chiesto dal fisco nazionale. Non lo si è pagato e non lo si paga in parte per colpe di chi scappa, in parte per responsabilità di chi fa scappare. E nè per le une nè per le altre può risolvere solo uno scudo fiscale…

Posta e risposta / 4: nuova replica di Gabriele Mastellarini

Tuesday, 25 August 2009
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lens_email

Ricevo via email e pubblico volentieri:

Caro Sergio,

leggo l’email del collega Biancardi, dimissionario dall’Assostampa. Mi permetto un’ultimissima replica.

Mi spiace che il collega continui a “balenare” plagi, stavolta tirando in ballo i “segni” apposti sull’articolo de Il Centro. Forse e’ una fissazione, la sua. E sono costretto ancora una volta a smentirlo. Io con l’avv. Rossi Stefano ho parlato diverse volte e nell’articolo scrivo anche “che e’ sfollato a Pescara”, particolare non da poco. Il num dell’avv. Rossi l’ho trovato sul sito dell’ordine degli avvocati, poi sono stato trasferito a un cellulare, prefissato 335 e ho parlato con lui (se volete fornisco il numero in pvt). Strano ma vero. Eppure Rossi aveva fatto gia’ un comunicato stampa, riportato da Il Messaggero, Il Tempo, Il Centro (ecco perche’ l’ho sottolineato) e nelle conversazioni mi ha semplicemente detto di riconfermare quanto riportato nel precedente comunicato.

Non capisco perche’ non ci si voglia piu’ “addentrare” sulla storia della delibera. Io, invece, voglio addentrarmi eccome. Si contestava che Il Mondo avesse bluffato, parlando di “un documento che abbiamo potuto consultare” e ora, suvvia, meglio “non addentrarsi”. E no, caro Sergio, qui si mischiano le carte in tavola.

Riguardo alla data del fax, il collega – calendario alla mano – potra’ controllare che il 19 era domenica e il 20 lunedi’, quindi se io mando un fax ad un ente pubblico la domenica, lo dato lunedi’ perche’ gli uffici municipali la domenica sono chiusi.

Sul fatto di non esser venuto direttamente a L’Aquila, mi permetto di sorridere. A parte il fatto che dal 6 aprile sono stato decine e decine di volte nel capoluogo (pensa, caro Sergio, che il 5 aprile fino alle 21 circa ero in pieno centro a L’Aquila, per lavoro) e poi non e’ mica reato procurarsi i documenti via fax o per email. Se fosse obbligatorio presentarsi ogni volta sul luogo di cui si scrive, sarebbe pressoche’ impossibile lavorare. Non credo che Rizzo e Stella si siano presentati dal barbiere della Camera prima di scrivere La Casta e non penso che quelli dell’Espresso siano mai stati a Villa Certosa, eppure ne parlano.

Conclusione. Chiunque abbia seguito quest’assurda vicenda – che dovra’ essere chiarita necessariamente nelle competenti sedi – avra’ facilmente intuito dov’e’ la ragione e dove il torto.

E quando si ha torto e’ sempre meglio chiedere scusa, senza far troppe perifrasi, confidando nel buon senso dell’interlocutore.

Un caro saluto
Gabriele Mastellarini

Può far sorridere un telegiornale quando parla dell'Afghanistan?

Tuesday, 25 August 2009
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di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Il quesito del titolo non è propriamente retorico e la risposta è: decisamente si.

Questa mattina nell’edizione delle 7:30 del notiziario di RaiNews24 si è verificata una sequenza paradossale.

Prima notizia: il Ministro della difesa Ignazio La Russa ha espresso il suo apprezzamento per l’andamento delle elezioni in Afghanistan, che nonostante “il catastrofismo” sono state portate a termine ordinatamente. La tensione era prevista ma il voto è riuscito, provocano “apprensione” gli attacchi ai militari italiani ma di certo “grandi passi avanti sono stati fatti”.

Seconda notizia, subito di seguito: il Presidente americano Barack Obama è molto preoccupato dell’andamento delle cose in Afghanistan. Dopo le elezioni si sta scatenando la rissa tra i due candidati, Karzai e Abdullah, e la situazione militare rimane critica, con i talebani che si stanno rafforzando e godono di una certa libertà di movimento sul territorio.

La sequenza delle notizie è paradossale, praticamente comica. Uno degli esternatori ha una visione distorta della realtà, di chi si potrebbe trattare?

Ecco come sono stato trombato dall'Italia dei Valori

Tuesday, 25 August 2009
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carlo-vulpio

Il titolo originale del post è “Ecco perché non sono entrato nel Parlamento europeo”, mi sono permesso una leggera modifica che rende più espliciti i fatti esposti. Seppure non recentissimo, mi sembra interessante da leggere: nell’articolata descrizione emergono particolari molto significativi di come Antonio Di Pietro ha gestito la campagna elettorale. Ovvero in modo molto personalizzato, come del resto è il suo partito. (sf)

dal blog di Carlo Vulpio, giornalista e candidato alle europee con le liste IdV

Prima premessa, grande quanto una casa: ciò che state per leggere non è frutto né di risentimento, né di delusione, né di recriminazione. Ma di pura e semplice esigenza di verità. E questo perché, come avevo detto “prima” di accettare la candidatura come indipendente alle Europee con l’IdV, “io ho già vinto nel momento in cui mi sono candidato”.

Ho vinto già in quel momento perché sono uscito dall’angolo del ring in cui mi avevano costretto la malapolitica, la malaeconomia, la malamagistratura e insomma la malavita che da sempre combatto.

Ho così esercitato il mio diritto alla legittima difesa e nello stesso tempo ho potuto condividere un progetto politico fondato sulla difesa e sull’applicazione della Costituzione italiana.

Un progetto di cui sono stato convinto protagonista, in quanto fondato su una “terna” di indipendenti (Alfano, de Magistris, Vulpio) proposta agli elettori come altrettanti “simboli” di temi forti, che sono state le ragioni fondanti delle rispettive candidature: l’antimafia, la giustizia, l’informazione.

Seconda premessa, anche questa grande quanto una casa: se non credete a ciò che ho appena detto, o se solo avete dei dubbi, allora fermatevi qui, non vi serve leggere oltre.

Io però, per quella insopprimibile esigenza di trasparenza e di verità di cui parlavo ne “Il virus benefico della libertà”, devo qualche spiegazione alle centinaia di persone che mi scrivono e soprattutto alle 37.499 persone che mi hanno votato.

Tutti, mi fanno la stessa domanda. Vogliono sapere da me come sono andate “davvero” le cose in questa campagna elettorale e come ha funzionato il meccanismo delle “opzioni” per stabilire quali dovessero essere, alla fine, i sette eletti dell’IdV per Strasburgo.

Bene. Consentitemi però un’ultima premessa: se dicessi che non immaginavo a che cosa sarei andato incontro candidandomi, direi una bugia. Sapevo benissimo che cosa mi aspettava e dunque non mi sono meravigliato di che cosa poi è accaduto.

L’unica cosa che non mi aspettavo – ma questo per colpa mia, perché io sono fatto così – è stata la scelta di alcuni miei “compagni di strada”, che hanno “sacrificato” sull’altare del risultato elettorale personale rapporti umani che ritenevo saldi e sinceri.

Sapevo bene, invece, di dover nuotare controcorrente, con gli squali che mi inseguivano e gli elicotteri che mi sparavano dall’alto. E sapevo anche che se ce l’avessi fatta a raggiungere la riva tutti avrebbero detto: “Ce l’abbiamo fatta”, mentre se fossi colato a picco tutti avrebbero detto, come in effetti hanno detto: “Peccato, non ci sei riuscito”.

Sapere in anticipo tutto questo però non significa doverlo accettare supinamente. C’era da battersi e mi sono battuto. Fino alla fine. Anche se a un certo punto, dopo la metà di maggio, stanco e sfiduciato, stavo per mollare.

Volevo convocare una conferenza stampa e ritirare la mia candidatura. Ma non l’ho fatto. Ho stretto i denti e, da solo, sono andato avanti. Non ho ritirato la candidatura perché dentro di me ha prevalso il senso di responsabilità.

Se lo avessi fatto in quel momento – oltre ad attirarmi addosso la scontata accusa di voler consegnare il Paese nelle mani del nemico – avrei sfasciato, senza che nessuno potesse comprenderne le ragioni, un progetto politico che qualche milione di italiani cominciava a ritenere nuovo, forte, credibile, trasparente, anche perché basato su “quella” terna.

La “terna” ha incontrato fin da subito il favore della gente e ha fatto anche da traino all’arrivo di altre ottime candidature. Tanto è vero che Di Pietro ha voluto candidarla in tutte le circoscrizioni italiane per l’alto valore simbolico (e l’appealing elettorale) attribuitole.

(Io poi ho rinunciato a candidarmi nella circoscrizione  Isole per un gesto di rispetto e di considerazione nei confronti della Alfano, poiché sembrava probabile – ma poi non è stato così – che in quella circoscrizione si potesse esprimere una sola preferenza e non tre).

Cosa è accaduto, allora? Semplice. Una volta “incartate” le candidature, piano piano, la “terna” è diventata sempre di più una “coppia”. E non certo per mia volontà.

Per prima cosa, è stata ritirata dalla competizione elettorale la foto che ritrae Di Pietro insieme con la “terna”, foto che invece doveva essere l’unico manifesto gigante, 6 metri x 3, dell’IdV in tutto il Paese.

Poi, al momento della compilazione delle liste, senza che nessuno mi abbia interpellato, mi sono ritrovato – al Centro e al Nord Est – collocato agli ultimi posti, in ordine alfabetico, mentre la “coppia” era tra le teste di lista in tutte le circoscrizioni.

Un segnale politico preciso.

Persino nella circoscrizione Sud, da dove io provengo e dove i voti si comprano in mille modi più che altrove, sono finito al sesto posto, dopo un tale che aveva pesantemente attaccato de Magistris per le sue inchieste (naturalmente, io ho pubblicamente difeso l’ex pm, e lo rifarei, perché ho difeso un principio, mentre tutti gli altri sono rimasti zitti).

Ma questa è ancora una di quelle cose che mi aspettavo. Andiamo avanti. Con il passare dei giorni, la mia faccia e il mio nome – già oscurati completamente da tv, radio e giornali – scompaiono da volantini, video, manifesti, addobbi dei palchi, e persino dai discorsi “degli altri”… In Rete – o meglio sui blog di Grillo, Di Pietro e Idv, tutti e tre gestiti dalla medesima società commerciale “Casaleggio e Associati” – compare un logo: “Sonia Alfano e Luigi de Magistris in Europa”. E Vulpio, si chiedono in tanti, dov’è finito? Non deve andare anche lui in Europa? O forse è destinato alla Svizzera? E mi telefonano, mi scrivono… E io zitto… E nessuno che dica una parola…

Intendiamoci. Non ho mai chiesto, né mai preteso, e nemmeno mi aspettavo, che Grillo o Di Pietro o l’IdV – o chi per loro – sostenessero la mia candidatura, come è stato fatto con gli altri due candidati, benché il “progetto” poggiasse sull’idea trainante della “terna”. Ma da qui a essere epurato in malo modo da tutti e tre i blog e da ogni altra iniziativa che non fosse organizzata e pensata da me medesimo, come fossi un corpo estraneo, ce ne corre.

Un esempio, uno solo, farà capire ancora meglio.

Napoli, 23 maggio, Palapartenope. Grande manifestazione con Di Pietro e Grillo, musica e canzoni, con questo e quello, e con il logo della “coppia” che campeggia ovunque, sui tre blog e sui festoni del grande palco… Io, invece, scomparso. Non ci sono nemmeno nei “frames” del video che pubblicizza l’incontro sui tre blog e in cui compaiono tutti, ma proprio tutti, pure il gatto della zia Camilla, ma non Vulpio… E che diamine… Ma nessuno fiata. Tutti zitti…

Quella sera, cercano addirittura di non farmi parlare, cambiando la scaletta ogni due minuti e rinviando sempre e solo un intervento: il mio. Alla fine, devo afferrare un paio di persone per la collottola e alzare la voce. Solo così riesco a fare un intervento (scusate, ma lasciatemelo dire: applauditissimo) di sette-otto minuti.

Tutto questo per dire che la mia “suerte” era stata decisa prima, non dopo le elezioni. Per quanto anche il “dopo”, e cioè il meccanismo delle opzioni, abbia avuto il suo peso. Visto che le “opzioni” non hanno nulla di “tecnico”, come sostiene Di Pietro, ma sono frutto di una scelta politica. Specie se hai candidato una persona in tutte le circoscrizioni e quella ha ottenuto 38 mila preferenze…

Ma andiamo con ordine.

Al Nord Ovest, a urne chiuse, mi “classifico” dopo Gianni Vattimo. A quel punto, se Alfano optasse per il Sud o per le Isole (quella circoscrizione alla quale io avevo rinunciato per lei) sarei eletto. Ma ecco che prima di me, con 237 voti in più, spunta Roberto Louvin, del partito valdostano Democratie Liberté Autonomie, apparentato con l’Idv.

Forse ero l’unico a non saperlo, ma giuro che nessuno mi aveva detto nulla di questo apparentamento… Che strano… In ogni caso, non è certo colpa di Louvin, che ha preso più voti di me e ha il merito di averne portati 9.028 (io, 8.971) all’IdV.

Qui, comincia un’altra storia, che somiglia molto a un giochino davvero sgradevole. Lo dico, ripeto, senza alcun rancore. Anzi, con una certa tristezza.

La Alfano, che in campagna elettorale aveva sempre detto: “Cosa ci vado a fare io in Europa senza Carlo Vulpio?” e che ancora dopo le elezioni, anche sul suo blog, dice: “L’unico neo è l’assenza di Carlo a Strasburgo”, per quasi un mese non smentisce la notizia “ufficiale” diramata con grande fretta dall’IdV il 9 giugno, in base alla quale tutte le opzioni sarebbero state già fatte. Non smentisce, Alfano, nemmeno dopo il mio post in cui parlo di “frettolose opzioni”, che la coinvolgono direttamente.

Poi, diversi giorni fa, la Alfano mi telefona e mi dice che in realtà lei non ha fatto alcuna opzione e non ha firmato ancora nulla. La cosa mi sorprende. Ma potrebbe esser vera, visto che i termini scadono otto giorni dopo il deposito dei risultati definitivi in Corte di Cassazione.

“Carlo – aggiunge la Alfano -, se ci fosse anche un solo modo su mille per recuperarti non esiteremmo (plurale, ndr) a farlo”.

Le chiedo se è sicura di ciò che dice e, soprattutto, se è sicura di poter optare liberamente.

Sicurissima, dice lei.

Allora le prospetto questa soluzione, che sarebbe un forte segnale politico e che potrebbe recuperare in extremis il “progetto” della “nostra” terna: tu Alfano, le dico, potresti optare per le Isole (da dove provieni) e al Nord Ovest subentrerebbe Louvin. Con lui potremmo fare un “patto di legislatura”, in base al quale, dopo un anno o due, o comunque appena Louvin si candidasse in altre elezioni (cosa provabilissima, per non dire certa), io gli subentrerei come primo dei non eletti.

“Bene, parliamone con Louvin”, dice lei.

Lo faccio subito.

Louvin è d’accordissimo.

Risento la Alfano.

Mi dice che deve parlarne con Di Pietro e con de Magistris, ma che la decisione, com’è giusto, sarà sua e solo sua, anche perché lei è stata eletta come indipendente.

La avverto che questa sua opzione scatenerà l’inferno e che se non se la sente è meglio che lasci perdere.

Ma lei mi ribadisce la sua determinazione.

Ci risentiamo il giorno dopo e mi dice di essersi ricordata che Di Pietro, al momento della sottoscrizione delle candidature, aveva chiesto a lei e a de Magistris di lasciar decidere a lui sulle “opzioni”…

(A me, devo dire la verità, Di Pietro questo non lo ha mai chiesto: forse perché immaginava che da “indipendente” avrei obiettato che optare significa scegliere, e che la scelta è un libero e consapevole atto della propria volontà?).

La Alfano però mi ribadisce la sua determinazione e mi promette: “Oggi pomeriggio ti faccio sapere”.

Da quella mattina, sono passati dieci giorni. La Alfano non ha più richiamato.

Devo essere sincero però: immaginavo che la cosa sarebbe finita lì. Ma era necessario che fosse finalmente chiaro come il “dopo” (le opzioni preconfezionate e i finti dispiaceri) sia stato soltanto la chiusura del cerchio di quanto avvenuto “prima” (lo smembramento della “terna”, la creazione della “coppia” e la mia epurazione audio-video-stampa).

Resta da rispondere alla domanda: perché è stato fatto tutto questo? Non bisognerebbe chiederlo a me, ma a chi – persone fisiche, società commerciale, politburo o partito invisibile che sia – ha messo in atto questa “strategia”.

Per parte mia, posso solo provare a fare una ipotesi. Questa: ci sono dei cavalli a cui non puoi mettere né le redini, né il morso e nemmeno la sella. Altrimenti scalciano. Poi ce ne sono altri a cui puoi fare di tutto, anche infiocchettarli e addobbarli con campanelli e lucine colorate e farli trotterellare sulla pista di un circo.

Io, scusate, scalcio.

p.s.

Ringrazio Antonio Di Pietro, che ha avvertito la necessità di scrivere un post che mi riguarda (“Non volto le spalle a Carlo Vulpio”) e in cui fornisce spiegazioni che non condivido. Tengo a precisare tuttavia che non ho bisogno di incarichi né di altre forme di “coinvolgimento” che possano apparire un surrogato della mia mancata elezione. Anche perché gli uomini passano, ma i princìpi restano. E i miei princìpi, io me li tengo ben stretti.

Posta e risposta / 3: ci scrive di nuovo Alessandro Biancardi, direttore di primadanoi.it

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria LETTERE

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Interviene di nuovo in questo blog Alessandro Biancardi, direttore della testata online primadanoi.it – Riporto qui integralmente la mail che mi ha inviato la settimana scorsa, seguita dalla mia breve replica. Ricordo che il botta e risposta ha avuto origine con la pubblicazione sul settimanale “Il Mondo” di un articolo di Gabriele Mastellarini, ripreso da questo blog e del quale Biancardi ha messo in dubbio l’originalità delle fonti di informazione. Le altre due puntate della diatriba le trovate qui:  link 1link 2

Oggetto: SCUSE MASTELLARINI

Gentile Sergio Fornasini,

credo ora mi conosca (purtroppo), sono Alessandro Biancardi, direttore di PrimaDaNoi.it, si è occupato di me nella faccenda di un appalto su smaltimento di macerie all’Aquila.
Il tutto nasce da un articolo de Il Mondo di Gabriele Mastellarini.
In realtà nel commento scritto di getto dopo la lettura dell’articolo, da lei ripreso, non intendevo riferirmi nè al blog nè a lei.
La storia intendo chiuderla anche io ma mi conceda qualche chiarimento.
Non ho nulla contro Mastellarini e mi scuso se ho utilizzato espessioni forti e toni duri dettati dalle emozioni del momento ma il giornale  che dirigo è spesso vittima di veri e propri plagi e furti da parte di quei giornalisti che potrebbero (anzi dovrebbero) fare molto di più disponendo di mezzi che noi non abbiamo. La consuetudine pare che sia: è sul Web dunque si può prendere…
Le regole sono chiare: è obbligatorio citare la fonte sempre. Questo l’Ordine lo sa benissimo e lo ripete spesso.
Leggere giornali, trarne informazioni e notizie per poi rimaneggiarle come proprio frutto di lavoro -benchè consuetudine sempre più in voga- è vietato.
Quando ho letto l’articolo de Il Mondo sono andato su tutte le furie: dopo 15 giorni di polemiche, infatti, sulla notizia del settimanale non c’erano tutti questi elementi inediti e  nemmeno virgolettati con dichiarazioni rilasciate alla testata e che non fossero già stati pubblicati.
Dopo la polemica innescata dal mio commento ho riletto l’articolo e credo che la sua deduzione sia quella più esatta: abbiamo percorso strade diverse per arrivare allo stesso risultato (così si potrebbero spiegare le molte informazioni in comune tra l’articolo di Mastellarini e quelli nostri).
Non intendo addentrarmi nella faccenda della delibera 154 (e non come erroneamente scritto 152) che Mastellarini ha trovato (con un fax dunque senza andare a L’Aquila).
Non intendo nemmeno approfondire la stranezza  che si evince dal rapporto di avvenuta  spedizione del fax al Comune dell’Aquila (?) che reca la data del 19 luglio mentre la data della richiesta è del giorno dopo.
Faccio i complimenti a Mastellarini che è riuscito ad avere una risposta dal Comune in meno di 3 giorni (mentre le nostre -perchè anche noi ne abbiamo fatte- sono state ignorate)
Non capisco quale senso abbiano poi gli articoli allegati da Mastellarini (articolo de il Giornale del 13 luglio o l’articolo de il Centro del 18 luglio?). Cosa dovrebbero provare?
Curiosi poi quei segni di penna biro sull’articolo de Il Centro in corrispondenza delle dichiarazioni dell’avv. Rossi, proprio quelle poi riportate  nell’articolo de Il Mondo.
Quando il Giornale ha scritto il primo pezzo noi ne avevamo già scritti due di cui uno il 7 luglio come già lei stesso ha fatto notare (in verità ne abbiamo scritti diversi sull’argomento http://www.primadanoi.it/search.php?query=t%26p+macerie&mid=6&action=showall&andor=AND ).
Troverà agevolmente anche quello del 17 luglio dove il titolare della ditta alle 12 di quel giorno a noi ha detto che non si sarebbe ritirato dalla gara di appalto quando per tutto il giorno anche i tg continuavano a dare notizie non aggiornate.
Poi il giorno dopo arriva il Centro che fa confermare a Cialente la notizia lanciata solo da noi.
Gli articoli dei “grandi” giornali sono successivi e riportano moltissime cose già da noi riportate (occorre però leggere anche gli allegati documenti).
Anche perchè se l’inviato de Il Giornale era presente davvero alla conferenza stampa ha ricevuto copia dei nostri articoli dalle stesse mani di Giuliante…
Qualcuno mi vuol far credere che i giornalisti delle testate nazionali ci sono arrivati (dopo) per altre vie?
Bene, ma come vede qualche dubbio potrebbe sorgere.
Francamente mi vergogno di stare qui a rivendicare cose o meriti, me ne vergogno.
Ma sono state dette imprecisioni come quella che  il caso sia nato da una conferenza stampa è falso (noi avevamo già scritto) così come non è vero che il caso è nato da un comunicato stampa di Giuliante (l’interessato potrà confermare tutto compreso la contabilità dei contatti avuti con i nostri giornalisti).
Sulla questione avevamo già parlato con Giuliante la mattina stessa e lo abbiamo sollecitato noi a mettere per iscritto le cose che diceva proprio perchè particolarmente pesanti (nel primo articolo si trovano infatti particolari che non ci sono nel comunicato).
Ma anche questo è ininfluente e forse secondario.
La cosa che mi preme di più è che quei nostri pezzi sono sempre infarciti di  virgolettati e di interviste dirette agli interessati.
Gli attori della vicenda hanno parlato di sicuro con i giornalisti di PrimaDaNoi.it, è un fatto incontestabile. Noi c’eravamo sul campo ed abbiamo scritto prima.
Mi riservo di fornire ulteriori dettagli nel merito nelle opportune sedi e di far evaporare le altre insinuazioni strumentali che il collega ha lanciato con altrettanta foga e leggerezza nei nostri confronti e dunque commettendo lo stesso deprecabile mio errore.
Mi scuso però con lui per i toni accesi, anche se non credo che abbia fatto un grosso sforzo per confezionare il suo articolo, non credo nemmeno possa ironizzare sul nostro lavoro visto che in fondo ha mandato solo un fax (con risposta) mentre le nostre richieste sono cadute nel vuoto.

Andare oltre sarebbe un errore per entrambi.

Per quanto riguarda il mio ruolo nella associazione stampa abruzzese (ruolo elettivo – altro deprecabile errore): in seguito a mie spontanee dimissioni (credo di gennaio 2009) non ricopro più alcun ruolo.

grazie per la sua pazienza, non ne abuserò più.


Alessandro Biancardi
direttore www.PrimaDaNoi.it


Gentile Alessandro Biancardi, mi spiace solo di averla conosciuta via email e non di persona. In questa vicenda credo di avere agito correttamente, mi fa piacere che abbia riconosciuto come “esatta” la mia deduzione. Mi sembra invece molto scorretto che il Comune de l’Aquila non abbia fornito copia di atti pubblici ad una testata regionale quale la vostra.

Leggendo la sua lettera, direi che traspare una certa insofferenza verso chi fa il suo stesso lavoro percorrendo strade diverse, non attingendo alle fonti bussando fisicamente porta a porta. Se solo a questo fosse limitata l’informazione, le redazioni dei giornali e le migliaia di blog presenti oggi nel nostro Paese (compreso questo) non potrebbero offrire il loro contributo alla pluralità dei punti di vista. Sarebbe uno scenario ben triste.

Io non sono un giornalista, come avrà intuito, ma in un certo senso quando mi dedico al blog faccio un’attività non molto diversa, anche fisicamente, da quella dei professionisti che siedono alla loro scrivania in redazione. Nell’era dell’informazione in tempo reale, si impone di attingere alle notizie nel momento stesso in cui si verificano, non nel luogo ove accadono i fatti. Per i giornali, ovviamente, potrebbe essere richiesto un certo approfondimento da perseguire nel luogo specifico della notizia, interpellando direttamente i protagonisti.

Ho forse una visione diversa dalla sua, questo è però nella normale per via della natura decisamente diversa delle nostre reciproche attività. Da parte mia cerco sempre di attenermi una policy di correttezza, citando le fonti nel proporre spunti di discussione e pubblicando i contributi che pervengono sul blog, come il suo commento di qualche giorno fa che ha poi dato il via a questa articolata discussione.

Francamente non posso che dissentire con la conclusione della sua lettera, lei probabilmente non conosce di persona Gabriele Mastellarini e ne sminuisce il lavoro e la meticolosità con la quale opera.

La ringrazio per il suo contributo e le auguro buon lavoro

Sergio Fornasini

L'ultimo articolo. Forse

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria STAMPA E DINTORNI, WEBNEWS

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di Stefano Di Michele per ilfoglio.it

In questa stagione gli addii ai giornali vanno così forte che Travaglio addirittura ne fa due

Beh, non è un addio alle armi (piuttosto all’armeria), ma comunque una certa solennità è richiesta. Richiesta e, nel caso, replicata. Marco Travaglio – a maggior tormento dei lettori tutti dell’Unità – il suo lo ha dato due volte: prima del grande esodo estivo, e adesso a esodo estivo concluso. Un addio, come si conviene, da bollino rosso. A fine giugno, sotto il maestoso titolo “Commiato” salutava tutti, amici e parenti e lettori “dopo circa 2 mila articoli”: “Domani 30 giugno uscirà la mia ultima rubrica quotidiana su questo giornale…” – un bacio ai pupi e via verso il manufatto padellariano. Ma come si verifica sempre il controesodo, ecco il controaddio. Ieri, pagina 14 dell’Unità, rispunta Travaglio (“ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”). Titolo: “La vergogna di non vergognarsi” – così si capisce subito dove si va a parare – e un p.s. a fine pezzo: “Questa è la mia ultima rubrica su l’Unità… Ancora grazie di cuore a tutti i colleghi e i lettori” – e si ricomincia con baci e abbracci e un divertito clima da “arrivedorci, arrivedorci”, e c’è da vedere chi mette le pizzette e il prosecco per il secondo rinfresco. Forse la ragione del mistero del corso e ricorso (e chissà, Concita avrà tentato di trattenere il partente: Marco, ne me quitte pas…) sta in quella definizione di “rubrica quotidiana” nell’addio di inizio estate e di semplice “rubrica” in quello del dopo Ferragosto – ci fosse vagante ancora una più indefinita “rubr…”, potrebbe giungere un terzo saluto verso Ognissanti.

Ma mica c’è solo Travaglio. Qui è tutto un salutare di direttori e di Illustri Firme, tutta una transumanza redazionale che non poco ha contribuito all’intasamento che ha condotto dall’allarme col bollino rosso a quello col bollino nero. A parte l’addio di Furio Colombo, sempre sull’Unità (uno spopolamento), ancora ieri si registrava quello di Lanfranco Vaccari dal Secolo XIX, “questo è l’ultimo numero…”, e poche settimane fa Mario Orfeo aveva riverito i lettori del Mattino, “non è facile salutare sette anni pieni di avvenimenti e di emozioni” (chiamale se vuoi). Poi, un vero e proprio ingolfamento, la Salerno-Reggio Calabria del transito direttoriale. Vittorio Feltri ha dato l’addio ai lettori di Libero, “vado, non scappo, sia chiaro”, così Mario Giordano ha dovuto dare, più nolente che volente, l’addio ai suoi di lettori, quelli del Giornale, per fargli spazio: “Mi dispiace… Avrei voluto restarci ancora un po’, un bel po’…” – ma almeno ha avuto la consolazione di farlo sulla stessa pagina insieme a Filippo Facci. Intanto Maurizio Belpietro, più volente che nolente, prendeva congedo dai lettori di Panorama diretto a Libero: “Arrivederci”. Arrivedorci. Ma solo Travaglio ha generosamente regalato un doppio addio e, a parecchi del Pd, una doppia festa.

Il settimanale Time attacca i giornali italiani: «Inaffidabili»

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria STAMPA E DINTORNI, WEBNEWS

quotidiani

di Elysa Fazzino da www.ilsole24ore.com – articolo ovviamente ripreso da dagospia.com, peccato l’abbia rinominata Elysa Razzino. Succede anche ai siti più frequentati di sbagliare qualcosa (tipo il copia-incolla)

Se c’è qualcosa di sbagliato nella politica italiana, la colpa è anche della stampa del Belpaese: influenzata da industriali e politici, molto attenta ai potenti e poco ai lettori. L’atto di accusa arriva dal settimanale Usa Time, che lancia l’affondo: «Giornali italiani, fonti inaffidabili».

In un Paese dove il primo ministro controlla le tv, solo una persona su dieci compra un quotidiano, contro una su cinque negli Stati Uniti e tre su cinque in Giappone, osserva Stephan Faris, citando i dati della World Association of Newspapers. «Agli italiani, a quanto pare, non interessa leggere le notizie». E se il problema non stesse nell’appetito degli italiani per le notizie, ma in «quello che c’è sul menu?».

«I giornalisti italiani sembrano scrivere l’uno per l’altro, per i politici o per il piacere di leggere la loro prosa»: Faris racconta di averlo detto, il mese scorso, a un festival letterario in Sardegna e di essere stato applaudito dal pubblico. Così si è reso conto dell’insoddisfazione della gente per quello che oggi l’informazione offre.

«Non è cambiato molto – si legge sul Time – da quando 50 anni fa il giornalista politico Enzo Forcella dichiarò che i giornali italiani sono scritti solo per 1.500 lettori: ministri, parlamentari, leader di partito, capi sindacali e industriali». L’articolo cita Paolo Mancini, professore di sociologia delle comunicazioni all’Università di Perugia: la stampa in Italia è sempre stata scritta da e per l’élite intellettuale. E quando c’è una notizia politica, ci sono magari cinque articoli di grandi firme, ma «raramente viene fornito il contesto o il background». «Il lettore della stampa scritta sa già quello che succede. Hanno le notizie. Vogliono il gossip».

Si è molto parlato del fatto che Silvio Berlusconi controlla la televisione italiana, ma anche «la stampa scritta ha il suo conflitto di interessi», fa notare Faris. Il gruppo Fiat – scrive – ha partecipazioni di controllo nei quotidiani Corriere della Sera e La Stampa. La Repubblica è di proprietà di Carlo De Benedetti, «rivale di Berlusconi, con interessi nell’energia, nell’automobile e nella sanità». Il Sole 24 Ore appartiene alla principale lobby industriale del Paese (Confindustria, ndr). «Gli imprenditori italiani tendono a dipendere ampiamente dalla politica. Le possibilità di reporting aggressivo sono molto, molto limitate», dice al Time Ricardo Franco Levi, parlamentare dell’opposizione che nel 1991 diresse l’Indipendente, «breve tentativo di fare un giornale davvero indipendente».

Non manca neppure l’influenza diretta del governo. Il Time ricorda che in giugno, Berlusconi invitò le imprese a non dare pubblicità ai giornali «che cantano la canzone dell’insoddisfazione e della catastrofe», alludendo ai giornali che pubblicano le salaci vicende della sua vita personale. «Ciò sarebbe accettato in qualsiasi altro angolo del mondo?», si domanda Levi.

«Non c’è da sorprendersi se gli italiani sempre più si volgono verso fonti alternative d’informazione», continua il Time. Negli ultimi anni è cresciuta la free press: con budget limitati, «ha dovuto offrire ai lettori qualcosa di nuovo, le notizie». Faris ricorda che nel giorno in cui La Repubblica metteva in prima pagina tre articoli sulle dichiarazioni di Berlusconi «Non sono un santo», il giornale Metro aveva un titolo «ben più rilevante»: «H1N1: 15 milioni di giovani da vaccinare». Online, secondo il Time, hanno largo seguito il blog di Beppe Grillo e Dagospia.

La crisi mondiale dell’editoria non fa eccezione per l’Italia. E in un Paese dove i licenziamenti sono quasi vietati, a settembre perderanno lavoro oltre 500 giornalisti. «Eppure la domanda per un diverso tipo di reporting rimane impressionante». Faris cita il caso della rivista Internazionale, un settimanale che raccoglie notizie di media esteri, che l’anno scorso ha aumentato la circolazione del 25%. «La gente che smette di comprare i giornali non è gente che non vuole informazione – dice il direttore Giovanni De Mauro – E’ gente che vuole un diverso tipo di informazione».

In Italia, almeno, conclude l’articolo del Time, «gli editori che vogliono salvare i loro giornali potrebbero cominciare col soddisfare la fame dei lettori».

Facci-Feltri. Una prima spiegazione

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria ARTICOLI

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Filippo Facci da Facebook

«Stile da campari soda», «giurista da osteria», «Ne ho stecchiti per molto meno».
Perché Filippo Facci è scomparso dal Giornale dopo l’arrivo di Vittorio Feltri?

La risposta in questo scambio di badilate sul cranio, tra i due, risalente al novembre 2006…

Vittorio Feltri su Libero del 2 novembre 2006:

Vi spiego perchè è giusto dare l’Ambrogino d’oro a Farina

Filippo Facci sulla prima pagina del Giornale ieri ha mostrato di che pasta sia. Fingendo pietà, con quel suo stile da Campari Soda, seppellisce Renato Farina sostenendo che è già morto. Non vuole che gli si dia l’Ambrogino d’oro perchè, afferma, sarebbe un “disastro” proprio per Farina. Quanto altruismo, Poi, con la manina dell’accoltellatore che si avvicina con l’aria di fare una carezza, spiega: il solo merito di Renato è quello di “infrangere la legge e farsi pagare dai servizi”. Quindi si diletta pure a sentenziare e a menare gramo: “Farina è colpevole, ha pagato, pagherà”. Sulla (non) colpevolezza ci arrivo subito. Sul piano della iettatura avverto il dilettante del Giornale: ho la patente. Ne ho già stecchiti per molto meno.
Colpevole Farina? Facci ricava questa sentenza dal fatto che il mio vice ha proposto il patteggiamento all’Ordine lombardo dei giornalisti. Patteggiare in nessun caso vuol dire riconoscere una colpa: lo dice la legge. Quanto a Renato, ha avuto il torto di seguire il mio consiglio. Gli ho suggerito di fermare la pratica a Milano con il minor danno, sapendo bene che a Roma lo avevano già dichiarato radiato a prescindere, senza bisogno neanche di sentirlo.
Ma per Facci è colpevole e pagherà. Mi dicono passi per garantista. Probabilmente lo è, a seconda del reddito e del padrone. Paolo Berlusconi ci risulta abbia patteggiato. Perché non gli dedica un bel corsivo sulle discariche? O forse l’ha fatto e non ce lo ricordiamo?
La dico tutta. Farina merità l’ambrogino d’oro. Per quello che scritto di Milano e su Milano, e anche per il suo modo di intendere il giornalismo. Diciamo alla Testori. Aldo Brandirali proponendolo ha interpretato i sentimenti della gente, non solo milanese, che si identifica col modo farinesco di raccontare e giudicare la realtà.
Come si fa a non caopire che l’aggressione senza precedenti che ha subito è la prova che Renato è importante? Facci losa, e gli rode. Per questo cerca di affossare la candidatura di Renato e la denigra. Poi perà inciampa nelle sue stringhe da fighetto. Quando scrive che contro Farina si sono scatenati “i linciaggi sui giornali a torto o a ragione”. Bel garantistone di un Facci. Ci sono anche i linciaggi giusti per questa mente fina di giurista da osteria. Secondo me Facci andrebbe arrestato per apologia di reato.

Filippo Facci sul Giornale del 3 novembre 2006

Libero di contraddirsi

Ieri sono stato attaccato da Vittorio Feltri, un signore che non ha neppure il coraggio di essere direttore responsabile del suo giornale perchè ha paura delle querele. Un signore che ha fatto la battaglia contro le baby-pensioni e poi è andato in pensione a 53 anni. Uno signore che ha fatto la battaglia contro le sovvenzioni pubbliche ai giornali di partito e poi ha trovato il modo di prenderle anche lui. Uno che sparò tremila articoli contro Di Pietro e poi scrisse “scusa, abbiamo sbagliato” il giorno prima che Di Pietro andasse ai voti con Giuliano Ferrara. Uno che per solleticare il ventre più basso delle classi più basse ha fatto ogni cosa, compreso allegare videocassette simil-porno e piazzare racconti scabrosi di pedofili con fotografia. Uno che non cambia mai idea perché non ne ha. Uno che ai tempi dello scandalo Parmalat fece il giro delle sette chiese per prendersi i complimenti di certe volpi di direttori (vai avanti Vittorio, bravo) che in realtà lo pigliavano tutti per il culo. Uno che, sinchè l’inchiesta riguardò delle banche che avevano finanziato il suo quotidiano, trattò quell’inchiesta coi guanti bianchi. Uno che poi sbatté in prima pagina la foto di Giuliano Ferrara per faccende di denaro penalmente irrilevanti. Uno che alla fine dello scandalo Parmalat ebbe la faccia di scrivere “noi restiamo garantisti, guai a rifare gli errori di Mani pulite” dopo aver appena scritto che “Dieci anni fa, con Di Pietro in attività, le galere sarebbero già state riempite”, e dopo aver gioiosamente invitato Di Pietro a scrivere sul suo giornale: nostalgia canaglia.
Un signore così lucido da non capire neppure che per Farina si vuole solo scongiurare il peggio, come ho scritto ieri: perchè Farina medesimo ha abbandonato la posa del difensore dell’Occidente, si è detto pentito, ha chiesto scusa, ha ammesso l’errore. Perchè non puoi premiare un tizio per un errore peraltro penalmente rilevante. E non puoi prospettare alla classe giornalistica che se infrangi la legge e ti fai pagare dai servizi segreti ti premiano pure, alla fine. Non devi alzare la posta politica e farne una bandiera, di Farina: altrimenti diventa l’oggetto di un contendere che riguarda altre cose e insomma rischia di essere schiacciato in mezzo, di peggiorare una punizione già inflittagli e che per quanto mi riguarda va benissimo così.
Ma Feltri non ha capito un tubo. Ha scritto che “patteggiare non vuol dire riconoscere la colpa, lo dice la legge” quando la legge dice proprio il contrario. Mi ha dato di invidioso, di roditore, di iettatore e incredibilmente di “garantista a seconda del reddito e del padrone”, confondendo la mia storia di garantista con la sua di banderuola: passato com’è, lui, dal fare il quotidiano più forcaiolo della Storia al fare il più garantista, sinché gli è riuscito: per il grano e i quattrini, direbbe lui. Uno che ieri ha scritto di me: “Sul piano della iettatura lo avverto: ne ho già stecchiti per molto meno”. Una 44 Magnum per l’ispettore Feltri. Datelo a lui l’Ambrogino d’oro, anche se probabilmente lo venderebbe subito.

Con Feltri cambia "Il Giornale", e Filippo Facci se ne va

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria STAMPA E DINTORNI

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di Sergio Fornasini per dituttounblog.com

Va da se, le cose cambiano con il tempo.

Come è noto, Vittorio Feltri è il nuovo direttore del Giornale e Maurizio Belpietro di Libero. Secondo me il cambiamento si è fatto notare particolarmente nella testata di proprietà di Paolo Berlusconi: grafica diversa e già che ci siamo nuovi editorialisti. Renato Farina ha seguito Feltri, ma non è questo il problema.

Ciò che mi sembra significativo è la radicalizzazione, l’ortodossia alle posizioni del centro destra, un nuovo taglio aggressivo e completamente acritico. Fuori dalle scatole allora i poco disponibili ad essere allineati e coperti, un biondo editorialista in particolare se ne va: Filippo Facci.

Il divorzio avviene dopo quindici anni di collaborazione, inutile dire che per Facci non mi sembra trattarsi di un momento esaltante, come traspare dal suo ultimo editoriale del 21 agosto scorso e dalla nota che Filippo ha pubblicato su FB.

Io accoglierò il suo invito e dirò la mia al nuovo direttore de “Il Giornale”, invito caldamente a fare altrettanto.

nota di Filippo Facci da Facebook

E’ arrivato Vittorio Feltri.
Due giorni prima di insediarsi, intervistato a Cortina, ha fatto sapere che «non mi considera un fuoriclasse». Boh.
Scrivevo sul Giornale dal 1994. La mia rubrica, «Appunto», c’era da circa dieci. Come anche l’ufficio marketing del Giornale mi aveva confermato – aho, l’avevan detto loro – ero il giornalista più letto del Giornale.
Io detesto Feltri. Un giorno vi spiegherò perché.

Intanto: se qualcuno ha qualcosa da dire a Feltri – tipo dirgli che senza di me sarà peggio, oppure anche meglio, fate vobis – questo è l’indirizzo email:

direttoreweb@ilgiornale.it

La mia ultima rubrica è stata questa:

ZERO TITULI

Si litigava sulla grazia a Sofri – qui, su questo Giornale – e volarono accuse al limite dell’insulto, roba pesante, un corsivo contro l’altro, mica finzione. Avevo cominciato io e il direttore Maurizio Bepietro ricambiò dandomi in sostanza dell’ignorante; io per contro accusai Mario Giordano, un giovane inviato, di puerilità e semplicismo. Il caso fece un chiasso trascurabile ma sentito, e i lettori comunque mi scotennarono; ricordo che un solo collega, Giampiero Mughini, da vero fuoriclasse, mi diede la sua solidarietà. Quel Mario Giordano, tempo dopo, me lo ritrovai come avversario in una partita di calcio: galoppavo sulla destra e mi fece un fallo da espulsione (a vita) che mi fece rotolare a terra per quattro volte; mi rialzai digrignando i denti e lui mi disse pure: «Non è fallo». Ne seguì una di quelle scene penose dove un esagitato (io) viene trattenuto a stento dai compagni mentre menziona uno e uno i santi del calendario. Quando poi quel Giordano divenne direttore del Giornale, tutti a dirmi: tu hai chiuso. Invece questa rubrica, che da anni scorrazzava impunita in questa prima pagina, non solo fu mantenuta, ma divenne ancora più libera, persino troppo, un caso praticamente unico nel panorama nazionale. E siccome si vive una volta sola, io, che a dire «grazie» mi viene un’emiparesi facciale, oggi gli dico: grazie. Non me ne hai mai censurata una e non mi censurerai neanche questa, l’ultima.

***

Seguiranno aggiornamenti. Avete la mia parola che ce ne saranno.
Eccome se ce ne saranno.

Ulteriori approfondimenti: Una prima spiegazioneFacci contro FeltriUna nuova redazione per Filippo Facci

MISTERI, SU ALDO MORO E LA P2 ANCORA MOLTO DA SCOPRIRE

Tuesday, 25 August 2009
Pubblicato nella categoria DOSSIER CASO MORO

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A Soveria Mannelli (Cz) inedite rivelazioni nel corso del dibattito sui misteri d’Italia. Rosario Priore e Aldo Mola rivelano inediti retroscena – Grazie a Fabrizio Spinella che ci ha girato questa nota inviatagli da Mario Caligiuri

SOVERIA MANNELLI (23.8.2009) – “I 150 anni della storia d’Italia sono caratterizzati da un rosario di questioni irrisolte, dal processo unitario al fascismo, dalla resistenza al terrorismo, dalla P2 a tangentopoli”. È quanto ha affermato Mario Caligiuri, professore universitario e sindaco di Soveria Mannelli, introducendo il convegno “Il prezzo della democrazia. Di Moro, Gelli e altre storie”, che si è tenuto a Soveria Mannelli con il giudice Rosario Priore e lo storico Aldo Mola.
Per Rosario Priore, i servizi di informazione francesi, e non solo quelli, erano a conoscenza almeno dal febbraio del 1978 che si sarebbe tentato nelle settimane successive il rapimento di un importante uomo politico democristiano.

Il giudice ha poi evidenziato che, nei giorni immediatamente precedenti all’assassinio, il figlio di Moro, Giovanni, chiese in tutta fretta il rilascio di un passaporto per recarsi nello Yemen del Sud, dove allora aveva una sede il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. “Questioni ancora da chiarire e che riportano ad inediti interrogativi sul ruolo dei servizi segreti occidentali, mediorientali e del blocco sovietico durante l’intera vicenda”, ha concluso Priore.
Aldo Mola ha invece ricordato l’affermazione del Gran Maestro Ennio Battelli che, scorrendo al lista degli iscritti alla P2 rinvenuta nel marzo del 1981 a Castiglion Fibocchi affermò che mancavano i nominativi dei comunisti. Lo storico, che ha recentemente pubblicato un documentato libro sull’argomento, ha evidenziato che Licio Gelli lascia perplessi quando afferma di avere distrutto il suo archivio a Montevideo, e ha aggiunto che “dovrebbe esistere almeno in parte in qualche altro luogo”. Infine, Mola, riportando una dichiarazione di Giovanni Agnelli, ha ricordato come la Fiat finanziasse regolarmente anche il Grande Oriente d’Italia ed ha pure evidenziato che “Carlo De Benedetti si fece iniziare alla massoneria”.
Di questi aspetti si preferisce ancora tacere, forse perché i santuari politici ed imprenditoriali sono rimasti gli stessi”, ha concluso lo storico.

Com’è noto Rosario Priore nel corso della sua carriera ha indagato su molti dei cosiddetti misteri d’Italia, dal caso Ustica alla scomparsa di Emanuela Orlandi, dall’attentato a Giovanni Paolo II al rapimento di Aldo Moro.

Aldo Mola, storico e docente universitario, ha scritto fra l’altro un’importante “Storia della Massoneria italiana”, biografie su Giolitti e Carducci e recentemente il libro “Gelli e la P2 fra cronaca e storia”.